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Il fuoriclasse della normalità

di Marco Iacona - 23/10/2010

 

http://www.football-history.net/pics/players/pele-1958.jpg

 

Feliz aniversàrio senhor Pelé. Buon settantesimo compleanno Perla nera. Il 23 ottobre di settant’anni fa nasceva a Tres Coracoes, Edson Arantes do Nascimento molto più di un semplice giocatore di calcio, bensì l’icona (una delle poche rimaste, insieme a Cassius Clay), di un movimento culturale che ha fatto dello sport lo strumento di elezione per i giovani di tutte le etnie.

Vecchio? Vediamola da questo punto di vista: Pelé - ultima partita ufficiale il 1° ottobre 1977 - non si è mai ritirato e ha continuato a svolgere il proprio ruolo di sportivo per gli angoli del pianeta. È passato da “tesoro nazionale” brasiliano dal principio degli anni Sessanta, ad ambasciatore del calcio per la Fifa, divenendo infine testimonial contro le discriminazioni e (lui padre di un drogato), contro l’assunzione di stupefacenti. Instancabile promotore delle ragioni dello sport – e spesso delle proprie e di quelle del proprio Paese – Pelé (ma lui preferirebbe il nome Edson) è il più nobile e prezioso esponente dell’ala raziocinante, chiamiamola così, dello sport internazionale, contrapposta a quella folle e scellerata capitanata dall’amico-nemico Diego Maradona e dagli sportivi che (alla George Best) sono riusciti a buttar via talento, soldi e perfino la stessa vita. Pelé è riuscito a mettere al servizio delle istituzioni internazionali (divenendo egli stesso, se vogliamo un’istituzione, quel che non sarà mai Maradona) la propria immagine di “normale” fuoriclasse, di ragazzo poverissimo, ex “sciuscià”, che debutta in nazionale a 17 anni, rimane fedele al proprio Paese e alla propria squadra (se si esclude il triennio di fine a carriera), non cede alle lusinghe della vecchia e ricca Europa, né commette passi falsi.

Un ragazzo che macinerà record su record (tre mondiali, due coppe intercontinentali, “atleta del secolo” nel 1999 e calciatore del secolo – con Maradona – nel 2000), la cui carriera è ancora oggi genuinamente misteriosa (i suoi 1200 e passa gol sono in maggioranza sconosciuti: pare che ne abbia segnati anche otto alla volta e dei più belli manca il documento video), e che grazie alla sua intelligenza e alle sue doti tecniche definite “perfette” è in grado di donare al calcio l’emozione della fantasia e il magico tocco dell’eleganza (un po’ quello che avrebbe fatto Clay per la boxe, insomma). Tutto ebbe inizio con un papà calciatore sfortunato (ma per alcuni versi sfortunato lo sarà pure Pelé), una palla di stracci e un pompelmo utilizzati in vece di una “costosissima” palla...

Pelé genio e regolatezza. Da subito: giunge nel Santos – storico club di appartenenza – a quindici anni, segna il suo primo gol ufficiale nel settembre del 1956 (lui era del 1940!), va in nazionale nel luglio del ‘57 e segna una rete al suo debutto contro l’Argentina. Dopo undici mesi viene catapultato ai mondiali di Svezia. E qui splende a anzi abbaglia. Segna sei gol in quattro partite ed è protagonista della vittoria nella finale per 5-2 contro i padroni di casa realizzando due gol, di cui uno bello quasi quanto quello di Maradona ai mondiali dell’86, grazie a un “sombrero” in area di rigore. Ai mondiali del 1962 (vinti ancora dal Brasile) e a quelli del 1966 è infortunato, segna in entrambe le edizioni ma gioca pochissimo, la buona sorte non è con lui. Alla competizione del 1970 è protagonista indiscusso (gli italiani lo ricorderanno senz’altro). Segna quattro gol, l’ultimo in finale con un colpo di testa (lui alto un metro e settanta!) in anticipo sul nostro Tarcisio Burgnich (queste le dichiarazioni del difensore italiano dopo l’incontro: «prima della partita mi ripetevo che era di carne ed ossa come chiunque, ma sbagliavo…»). Un anno dopo smette di giocare in nazionale e nel ’74 si congeda definitivamente dal suo Paese.  Ha già vinto undici campionati di San Paolo, due coppe Libertadores, sei coppe del Brasile ed è stato undici volte capocannoniere del campionato paulista, dal ’57 al ’65 consecutivamente e nel ’69 e nel ’73. Nel periodo in cui ha giocato nel Santos, la sua squadra è stata considerata una delle più forti al mondo; adesso in America, al Cosmos di New York, lo attendono altri campioni (fra cui il “kaiser” Franz Beckenbauer e il nostro Chinaglia), Pelé è il massimo sponsor del calcio internazionale. Da lì in poi le cariche non si conteranno più.

Le tre stagioni americane (1975-76-77), sono la fine gloriosa di una carriera straordinaria. Edson Arantes do Nascimento è stato un calciatore dal talento immenso, a volte sfortunato ma sempre pronto a rialzarsi. Carismatico e amatissimo dal pubblico di tutto il mondo (al contrario di Maradona). A testimoniarlo episodi che hanno dell’incredibile: durante una partita un arbitro si vide costretto ad annullare l’espulsione della Perla nera causa le proteste del pubblico e non sapendo cos’altro fare prese la decisione “opposta”: si auto-espulse; in Nigeria venne sospesa la guerra civile in occasione di una partita di O Rey (questo rimane il soprannome più celebre di Pelé) disputata a Lagos nel 1967. Due episodi da tradurre in sceneggiatura, già, perché, da attore fu anche parte della carriera del numero dieci del mitico Santos (Fuga per la vittoria - 1981). Del re del calcio ci si chiede, infine, se sia stato o meno il più grande calciatore di sempre, oppure se sia “soltanto” secondo dietro lo scapigliato Maradona.

Domande di questo tenore (obiettivamente poco sensate) non gli hanno mai fatto un grande piacere, ma è pur vero che Pelé ha sempre replicato con la franchezza che tutti gli riconosciamo. I giocatori vanno giudicati “in ogni aspetto” ha detto con riferimento alla carriera irrequieta del proprio rivale argentino. E se è vero quel che dice, la medaglia da numero uno rimarrà appuntata sul petto dell’ex ministro straordinario dello sport brasiliano per molti anni ancora, c’è da crederlo. Cento di questi giorni allora, eccellentissimo senhor Pelé.