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Nuove vittime, vecchi metodi?

di Jack Reacher - 02/11/2010

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Ha suscitato un certo clamore la pubblicazione di una nuova ondata di documenti da parte di Wikileaks, anche perché alcuni di essi si riferivano al mai completamente chiarito assassinio di Nicola Calipari. Dai documenti risultano non solo i maltrattamenti inflitti direttamente da militari USA, ma anche analoghi comportamenti tenuti dalle truppe del nuovo regime di Baghdad. Sarebbe interessante sapere se gli americani sapevano delle imprese dei loro alleati.
La coazione a ripetere modelli sperimentati è tipica delle forze armate di tutto il mondo. Merita allora leggere queste righe di Oriana Fallaci - scrittrice controversa ma certo non antiamericana - nel suo Niente e così sia (1969), un reportage dedicato al Vietnam (chi parla è un vietnamita del sud):
«Il mondo continua a vedere gli americani com'erano al tempo della Seconda guerra mondiale: ragazzoni innocenti, bonari. In Vietnam non sono affatto così. Sono senza pietà: dovrebbe vederli quando vanno ad evacuare un villaggio. Si portano dietro una compagnia di coreani, che sono i più spietati, e poi annunciano con l'altoparlante: "Fra quarantacinque minuti, fra trenta minuti, daremo fuoco al villaggio. Allinearsi per i camion". In trenta minuti, quarantacinque minuti, che fai? Gli abitanti cercano di raccogliere le masserizie, i coreani non gliene danno il tempo. Li spingono con i calci dei fucili, con le pedate, e le donne piangono, i bambini strillano. Nei villaggi il culto dei morti è profondo: lasciare il tempietto consacrato ai morti senza accendere una candela è gran sacrilegio. Spesso, prima che il camion s muova, qualcuno corre ad accendere la candela. E, mentre l'accende, i coreani lo uccidono con una raffica. Al momento in cui le fiamme si alzano sopra il villaggio, c'è sempre qualche morto che giace crivellato dai colpi.
- E' la guerra, signor Lang
- No, non è la guerra. E' l'ipocrisia degli americani che poi si presentano con le mani pulite. Gli americani sanno benissimo quello che fanno i coreani. Per interrogare i prigionieri, ad esempio. Li portano sugli elicotteri, a coppie, e poi ne legano uno alla corda, lo calano giù. Lui incomincia ad oscillare, a girare, a gridare, e quando ormai è mezzo morto gli taglian la corda. L'altro, per non fare la stessa dine, dice tutto. Quando ha detto tutto, lo buttano giù».