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Strage di Brescia, l’inutile sentenza di oggi e le bufale degli anni ’70

di Massimo Fini - 21/11/2010

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Lo scandalo della sentenza della Corte d’Assise di Brescia non è che abbia assolto Zorzi e compagni. La magistratura non deve trovare un colpevole a tutti i costi, per accontentare l’opinione pubblica. Lo scandalo è che a questa sentenza si arrivi dopo 36 anni quando, sia che condanni sia che assolva, è diventata del tutto inutile.      Il problema di quegli anni è che c’erano troppi dilettanti allo sbaraglio. Anche nel Sid. Cosa faceva il famoso "agente segreto" Giannettini? Prendeva le notizie dai giornali e le passava ai superiori come se fossero sue informative. A questo punto le notizie diventavano quasi ufficiali, i giornali ci ricamavano sopra e Giannettini le riciclava in un circolo vizioso grottesco. Ho conosciuto anche il capitano La Bruna, non mi sembrò fatto di una pasta molto diversa. È anche per questa cialtroneria collettiva che non si è mai riusciti a individuare gli autori degli attentati che insanguinarono l’Italia negli anni ’70.      Per consolarlo del "buco nell’acqua" gli dissi che avevo conservato un documento sul presunto "golpe Borghese". Sembrò molto interessato e, tornato a Milano dopo pochi giorni, venne a trovarmi a casa. Il documento che gli diedi aveva una storia. Il direttore dell’Europeo, Tommaso Giglio, mi aveva mandato a recuperarlo a Parigi. Mi incontrai in un lussuoso hotel con due loschi figuri. Il documento, da cui si ricavava che Andreotti era alle spalle del "golpe Borghese", mi parve "ictu oculi" una bufala. Rientrato a Milano dissi a Giglio che bisognava fare almeno una perizia sulla carta, anche perché i due ci chiedevano 5 milioni. La perizia confermò i miei sospetti: era un falso. Un paio di mesi dopo mi telefonò un redattore di Panorama, Giulio Anselmi, per incontrarmi. Mi chiese che cosa ne pensassi sul documento del "golpe Borghese". Evidentemente i falsari, avendo fallito con noi, ci stavano provando con Panorama. Dissi a Giulio che, secondo me, era una bufala. Ma non gli rivelai che avevamo fatto una perizia, in fondo erano soldi dell’Europeo. Panorama pubblicò ugualmente, si prese una querela da Andreotti e dovette sborsare parecchi quattrini.Due anni fa mi telefonò l’ispettore Cascioppo di Roma. Era a Milano e desiderava incontrarmi. "Volentieri, venga a prendere un caffè a casa mia". "Eh no", rispose: "Noi siamo la Digos, è lei che deve venire in questura". Ci andai con la preoccupazione che ha chiunque non abbia mai avuto a che fare con la giustizia. La preoccupazione si mutò in stupore quando Cascioppo mi disse che stavano indagando sulla strage di piazza della Loggia. "Ma sono fatti di 34 anni fa!", dissi io. Cominciò l’interrogatorio. Come sempre fanno gli investigatori erano domande generiche che giravano in tondo, ma che come dei cerchi concentrici si stringevano sempre più intorno a un nucleo centrale che non capivo cosa potesse essere. Finalmente Cascioppo arrivò al sodo. Avevo avuto contatti, come giornalista, con un certo gruppuscolo di destra legato a Ordine Nuovo? Dissi che lo conoscevo solo di nome. Allora Cascioppo mi mostrò un’informativa, anonima, che in quegli anni era arrivata al Sid, in cui si diceva che "tre giornalisti dell’Avanti!, Marco Sassano, Roberto Pesenti, Massimo Fini" avevano avuto contatti con questo gruppuscolo per realizzare un’inchiesta sull’"eversione nera" da vendere all’Espresso. Scorsi il documento. Era un’accozzaglia di incongruenze facilmente verificabili con un semplice controllo di date. Per quel che mi riguardava io, all’epoca, non lavoravo più, da tempo, all’Avanti!, ma all’Europeo. Cascioppo si convinse che non ne sapevo nulla. Mi stupii che un ispettore capace fosse utilizzato per indagare sul nulla.