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Calearo, Ratzinger e l'economia comunitaria di sussistenza

di Massimo Fini - 21/11/2010

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Ratzinger e Calearo Sfoglio una copia del “Corriere”, quella di lunedì 15 novembre le cui pagine, oltretutto, dovrebbero essere compresse da quelle dedicate tradizionalmente allo sport. Le prime undici sono occupate interamente dalla politica, se così la si può chiamare: “Il ribaltone per favore no”; “Al voto solo per la Camera”; “Milano, le primarie a Pisapia”; “La mossa di Berlusconi ‘Il voto, solo per la Camera’”; “L’ultima mediazione, crisi pilotata e nuovi ministri’; “Quirinale in trincea sui poteri”; “I costituzionalisti: improbabile”; “No dai finiani”; “Battaglia al Senato, ma vincono i sì”; “Bossi, un ‘bis’ è possibile”; “Alfano è incredulo. La Carfagna? Tormentata”; “Il terzo polo incalza il premier”; “Vieni via con me: Bersani e Fini ci saranno”; “I partiti non bastano”; “Da Milano ‘schiaffo’ al Pd”; “La sfida è al centro”; “Torna l’effetto Vendola”; “Moratti, arriva l’investitura del premier”. Ma davvero c’è qualcuno che ancora crede che agli italiani, a meno che non si tratti di “addetti ai lavori” o valvassini in attesa di favori e prebende da questo o quel partito, interessino queste cose? Il 40% degli astenuti (contando bianche e nulle) dell’ultima tornata amministrativa non ci hanno detto nulla? La prima notizia è a pagina dodici ed è, ironia della sorte, una dichiarazione di Benedetto XVI intitolata pudicamente, tanto per mascherar le cose, “La lezione ecologista del Papa”.

Ma Benedetto XVI parla di tutt’altro. Dice: “Mi pare il momento per un richiamo a rivalutare l’agricoltura, come risorsa indispensabile per il futuro… il processo di industrializzazione ha talvolta messo in ombra il settore agricolo… rieducarsi tutti a un consumo più saggio, a stili di vita più sobri”. Si tratta di un attacco radicale all’attuale modello di sviluppo economico globale” e non tanto per salvare la ghirba dell’inquinamento ma i valori più profondi dell’essere umano totalmente marginalizzato nel regno dell’economia, dello sviluppo, della crescita, del Pil. Del resto quando era ancora cardinale, Ratzinger lo aveva scritto paro paro in un documento: “Il Progresso non ha partorito l’uomo migliore, una società migliore, e comincia a essere una minaccia per il genere umano”.

Ma nessuno se lo era filato, come non ce lo si fila oggi preferendo chiedersi con chi è andato a cena Calearo. Eh sì, care suorine progressiste del Fatto, se si vuole restituire una dimensione umana, comunitaria, ecologica, alla nostra vita, se si vuole restituire una dimensione umana, comunitaria, ecologica, non tanto in senso ambientale quanto psicologico ed esistenziale, alla nostra vita, se si vuole sfuggire a quello che ho chiamato “il modello paranoico” che ci costringe a consumare per produrre, a ritmi sempre più insostenibili, a competizioni sempre più stressanti e ci priva del vero valore dell’esistenza, il tempo, non c’è “bio”, “ecocompatibile”, “We”, “sviluppo sostenibile” che tengano , il solo modo è tornare a un’“economia di sussistenza”, vale a dire, sia pur in modo graduale, limitato e ragionato, a forme di autoproduzione e autoconsumo che passano necessariamente per un recupero della terra e un ridimensionamento drastico dell’apparato industriale, finanziario e virtuale. Son cose che vado scrivendo da almeno un quarto di secolo (“La Ragione aveva Torto?”, 1985) e classificate, quando si vuol essere gentili, come “provocazioni intelligenti”, ma che peraltro costituiscono il nocciolo di alcune correnti filosofiche americane, il bioregionalismo e il neocomunitarismo, minoritarie certo ma a cui nessuno, negli Stati Uniti, nega dignità di pensiero (e lo stesso in Francia con Baudrillard, con Virilio, con De Benoist) come invece avviene da noi dove questa questione cruciale viene accolta con sorrisetti di compatimento. Si preferisce parlare di Calearo. Potrei dire fatti vostri. Se non steste segando il ramo dell’albero su cui anch’io sono seduto.