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Noi credevamo… oltre “la normalità della politica”

di Francesco Mancinelli - 25/11/2010



.C’è da riflettere, c’è da riflettere attentamente su questo  film-sceneggiato,  di pregio quasi  letterario ed ottima fotografia, attraversato da personaggi tragici e contraddittori, un film  che  si apre con una scena di brutale rappresaglia contro i patrioti insurrezionalisti carbonari, nel regno delle due sicilie degli inizi dell’ 800’,  e con gli sguardi inerti di alcuni contadini fiancheggiatori nel vedere le loro case bruciate dai gendarmi borbonici ;  fucilazioni sommarie e teste issate sulle picche  a monito di chiunque;  e si chiude con gli sguardi altrettanti inerti ed attoniti degli stessi contadini questa volta  fiancheggiatori di poveri  briganti filo-borbonici, trucidati selvaggiamente dai bersaglieri di Cialdini; stesse contrade del Cilento   e stessi sguardi rassegnati,  e ancora una volta le loro povere case bruciate, questa volta dal novello potere dei liberatori piemontesi .

In un  pezzo che ho recentemente scritto per l’Istituto storico della RSI (1) , sull’eredità tradita del Risorgimento e del Fascismo,   ho  tratteggiato quasi inconsciamente e senza averlo ancora visto  la lettura di questo film,  e almeno per una volta, “la mia sensibilità critica” sul tema maledetto dell’unificazione,  si è allineata quasi perfettamente alla lettura sottile del regista Mario Martone. Finalmente la sintesi storiografica di Gramsci vicino a quella di Alfredo Oriani, e di Carlo Alaniello vicino a quella di Berto Ricci. Una tragicità complessa e per certi versi contraddittoria, soprattutto su certe scelte umane  totalizzanti, che non ammettono quasi mai  la famigerata frase oggi va tanto in voga della “normalità della politica”.

.E’ tuttavia  vero che per la gente normale di allora , tutta analfabeta, la cosa era molto diversa. Anche il film brutalmente lo racconta. Ma se la gente comune di allora non capiva cosa significava Identità, Indipendenza e Sovranità Nazionale , se il concetto di appartenere ad una Patria e ad una Nazione che conta  era nella mente di pochi illusi neo-gnostici elitari,  figuriamoci oggi,  dopo 65 anni di violenza “coatto-mentale” occidentale e di occupazione culturale, monetaria, militare neo-capitalista (2).

Nel film, per una volta, ammiriamo senza retorica,   la ricerca continua della bella e giovane morte, che traspare da ogni quadro come una vertigine, e contempliamo il recupero filologicamente inaspettato (e per fortuna  politicamente non-corretto) di alcuni canti di  matrice insurrezionalista garibaldina (3), quella per capirci,  che ha cercato per un intero secolo,  la vera guerra civile di liberazione,  a dispetto delle guerre internazionali etero-dirette dai potentati internazionali (4).

E come risaltano bene nelle scene  , quelle “destre cannonate”, le fucilazioni sommarie  contro i nostri patrioti (nelle gole dell’ Aspromonte),   che desideravano  ri-prendersi per l’ennesima volta  Roma con la forza, il suono di quei cannoni che rimanda  all’ eroica difesa del Gianicolo nel 1849, e che hanno riecheggiano ancora nelle strade di Milano a cura del prode  Bava Beccaris nel 1898: lo stesso piombo assassino  del Natale di Sangue di Fiume e che corre via via  fino alla mitragliatrici americano-mafiose della strage di Portella delle Ginestre.  Sono sempre gli stessi cannoni del potere regolatore , appoggiati oltretutto inconsciamente,  dalla maggioranza della pubblica opinione,  a difesa della propria “destra e bigotta auto-conservazione”.

E’ vero: nell’ultimo  sguardo del bravissimo attore  Luigi Lo Cascio, lo stesso de La meglio gioventù, muore la giovinezza idealistica e scanzonata di quei tragici personaggi,  assediati da piccoli medi e grandi tradimenti che si sono consumati nel nostro processo di unificazione, a dispregio ed umiliazione della popolazione inerte da un lato,  e sulla pelle dei nostri martiri dall’altro.

.In quello sguardo finale di “Domenico” ci siamo identificati TUTTI, anche solo per un attimo:  lui   che entra nell’italico parlamento,  e sogna di attentare alla vita di Francesco Crispi,  quel Crispi non del tutto estraneo al tradimento di Felice Orsini e dei tre congiurati italiani  giunti da Londra,  per attentare alla vita di Napoleone III, mentre Cavour ed il Piemonte dei Savoia flirtavano allegramente con la Francia per i propri personali tornaconti di egemonia;  ma non era un attentato in pieno parlamento (magari!!!),  forse era solo lo sconforto e la desolazione di “una falsa suggestione vendicatrice”,  di un sogno che non era mai stato reale , la suggestione di tutti coloro che per un secolo “avevano creduto e pagato in prima persona” per costruire un ‘altra Italia, un entità geografica  presa  in ostaggio, più che dallo straniero,  dalla fredda parodia istituzionalizzata e pedante di  poteri regolatori interni, e lobby riciclate a caccia di semplici  interessi privati.

C’è pesantemente da riflettere anche  sul fatto che i giovani idealisti di allora correvano ad iscriversi nelle file della Giovane Italia con un giuramento che prevedeva la morte quasi certa per l’idea (5), e partecipavano attivamente ad insurrezioni, cospirazioni,  attentati, pronunciamenti, e si facevano anni ed anni di galera contro tutti  gli ordini costituiti,  da nord a sud Italia.

Ecco perché mi domando, dopo aver visto questo film,  che senso abbia per esempio questo termine del cazzo “normalità della politica” che riecheggia ogni giorno dalle pagine del web FareFuturo;  quando si parla di Italia  cosa si rischia veramente oggi?  Che cosa intendono oggi i nuovi iper-istituzionalisti  con il termine “ITALIA”? Lo so lo so,  nella loro logica democratica, l’unica percorribile, è trovare il riferimento di continuità e  riattualizzato,  del piccolo-modello riformista  dell’italietta di fine 800,  quello stesso dell’Istituzione parlamentare malata partorita  da Cavour, da Vittorio Emanuele, occupata dal notabilato liberal-conservatore ( ex-borbonico riconvertito),  e peggio ancora sulla scia di quel sottile doppiogiochista Crispi.  Quella azzerata volutamente da Mussolini e ritornata in auge con i liberatori atlantici . E questa l’Italia a cui lor signori aspirano, fino a ieri con l’imbonitore del nulla Berlusconi,  e domani senza.

Forse io ho letto negli occhi di Domenico dell’ “altro” …

Forse la vera normalità della politica per “chi crede veramente”, non sono Fini, Berlusconi, Bersani, Casini e Bossi; forse va ricercato dell’altro nelle pieghe dimenticate dei moti del 1821 e del 1833 in Savoia, che cosparsero la terra di sangue,  nelle genuine speranze che difesero  il Gianicolo in fiamme,  nell’esempio dei sindacalisti rivoluzionari nelle trincee della I Guerra mondiale,  nelle istanze che insorsero gagliarde a San Sepolcro e Fiume e si sacrificarono infine nella RSI; nei ragazzi caduti nelle piccole tempeste di acciaio degli anni 70; forse negli occhi di Domenico traspariva questo:   ma forse tutto  questo vale ancora,  solo per coloro che al posto della “normalità della politica”, scrutano ed evocano  l’incedere di Stelle Danzanti ,  e/o di Dei vendicatori in marcia, insomma un qualcosa che ci liberi dal putridume coatto-istituzionale e catacombale  della normale, ordinaria, giornaliera, decadenza.

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Note

(1) Dal Risorgimento incompiuto all’avvento della Terza Roma,  in “Risorgimento e RSI a cura del Centro Studi e Testimonianze RSI di Latina per i 150 anni dell’Unità d’Italia.

(2) Oggi la massa alfabetizzata,  vota liberamente , dando oltre il 50% del loro ottuso consenso alle destre dell’auto-conservazione,  (destre complici della  levantinizzazione e della fine della Nazione ), per giunta traditrici meta-politiche come racconta De Benoist [leggi QUI], in una sua pregevole intervista per il suo ultimo enciclopedico lavoro;  destre pilotate in Italia da sempre dalle due chiese internazionali anti-italiche  ( quella gesuitica e quella massonica ),  che il Fascismo tento invano di debellare;  senza dimenticare mai i danni fatti dalla Terza Chiesa dell’anti-nazione,  che  è morta praticamente suicida (quella marxista).

(3) Quando all’appello di Garibaldi
tutti i suoi figli suoi figli baldi
daranno uniti fuoco alla mina
camicia rossa garibaldina

E porti l’impronta di mia ferita
sei tutta lacera tutta scucita
per questo appunto mi sei più cara
camicia rossa camicia rara

Odi la gloria dell’ardimento
il tuo colore mette spavento
Venezia e Roma poi nella fossa
cadremo assieme camicia rossa

Quando all’appello di Garibaldi
a un di que’ mille suoi prodi e baldi
daremo insieme fuoco alla mina
camicia rossa garibaldina.

(4) Grazie al depistaggio internazionalista, non abbiamo avuto né una vera rivoluzione protestante, né una vera rivoluzione illuminista, ma solo un esperimento romantico,  ed abbiamo dovuto aspettare il Fascismo affinché questi fallimenti culturali  trovassero,  grazie all’esplosione irrazionalista di  Sorel e Nietzsche,  la loro logica vendetta. Eppure neanche in questo caso,  si è  riusciti a sradicare in Italia  la malapianta del trasformismo codino, del riciclo delle classi dirigenti, quell’’italico gattopardismo da operetta che ama da sempre “Fare Futuro” sulla pelle degli altri.

(5) La ricostruzione dell’adesione  alla Giovane Italia, che prevedeva un rituale di sacrificio estremo e finale,  viene ricostruita dettagliatamente in alcune scene iniziali del film.