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Gaza, un blocco che fa ancora male

di Carlo M. Miele - 02/12/2010


 

 



Sono passati sei mesi da quando Israele ha annunciato “l’alleggerimento” del blocco sulla striscia di Gaza. Ma, da allora, per la popolazione dell’enclave palestinese ci sono stati solo miglioramenti di poco conto.

È quanto emerge da un nuovo rapporto firmato da 21 organizzazioni umanitarie, tra cui Oxfam, Amnesty International e Save the Children.

Secondo il documento, intitolato “Dashed Hopes: Continuation of the Gaza Blockade” (“Speranze infrante: la continuazione del blocco su Gaza”), l’assedio israeliano resta in piedi a tutti gli effetti, “danneggiando” seriamente l’economia locale.

“Il fatto che Israele sia venuta meno ai propri impegni, e l’assenza di un intervento internazionale per togliere il blocco stanno privano di palestinesi di Gaza dell’accesso all’acqua potabile, al lavoro e a un’esistenza pacifica”, ha spiegato alla Bbc Jeremy Hobbs, direttore di Oxfam International.

Come sottolinea il rapporto, negli ultimi sei mesi la Striscia ha beneficiato solo di un incremento minimo nell’approvvigionamento di generi alimentari e beni di consumo, ma il livello delle importazioni supera tuttora di poco un terzo del livello del 2007, anno in cui il blocco israeliano è stato rafforzato.

Le sole esportazioni regolarmente consentite dall’enclave sono invece quelle di fiori e fragole.

Mancata ricostruzione

Tra i principali beni che continuano a non entrare a Gaza figurano i materiali edilizi, necessari per ricostruire le infrastrutture e le abitazioni distrutte durante l’offensiva “Piombo fuso”, lanciata da Tel Aviv tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009.

A giugno il governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu si era impegnato a far entrare quei materiali necessari per i progetti coordinati dalle organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite, ma successivamente ha approvato solo il 7 per cento delle richieste.

Alla media attuale – come afferma il rapporto e come ha denunciato di recente il direttore dell’Unrwa John Ging – solo per realizzare i progetti abitativi e di edilizia scolastica dell’Onu saranno necessari decenni.

“Dichiarazioni di parte”

Secondo Guy Inbar, portavoce del Cogat, l’ufficio israeliano incaricato di monitorare gli attraversamenti di Gaza, il numero di camion che entrano nella Striscia è aumentato del 92 per cento a partire da giugno e “le rivendicazioni delle organizzazioni, così come appaiono nella relazione, sono parziali e distorte, e quindi in grado di indurre in errore il pubblico”.

Lo stesso Inbar ha poi ribadito la versione di Tel Aviv, secondo cui l’obiettivo del blocco non è la popolazione palestinese ma il movimento islamico Hamas, che dal 2007 controlla il piccolo territorio costiero e che non ho mai nascosto la propria “ostilità” a Israele.

Lo scorso mese, tuttavia, il governo israeliano si è visto costretto ad ammettere che le ragioni del blocco su Gaza non sono dettate solo da ragioni di “sicurezza”; lo scopo con cui è stato lanciato – ha dichiarato Tel Aviv in un documento ufficiale – era quello di “ridurre deliberatamente” i generi di prima necessità disponibili per la popolazione di Gaza, in modo da far pressione su Hamas.

Il documento “Dashed Hopes” [in inglese, in pdf]