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La scomparsa degli Stati Uniti come superpotenza

di Alfred W McCoy - 13/12/2010



La scomparsa degli Stati Uniti come superpotenza

 

Un atterraggio morbido per gli Stati Uniti da qui a quarant’anni? Lasciate perdere! La scomparsa degli Stati Uniti come superpotenza potrebbe avvenire molto più velocemente di quanto possiamo immaginare. Se il sogno di Washington del 2040 o il 2050 come data finale per il “secolo americano”, una stima più realistica delle tendenze negli Stati Uniti e in tutto il mondo, indicano che nel 2025, esattamente tra 15 anni, quasi tutto potrebbe essere compiuto.

Nonostante l’alone di onnipotenza che la maggior parte degli imperi proiettano, uno sguardo alla loro storia dovrebbe ricordarci che questi sono organismi fragili. L’ecologia del loro potere è così delicata che quando le cose cominciano ad andare davvero male, gli imperi si disintegrano in genere ad una velocità incredibile: solo un anno per il Portogallo, due anni per l’Unione Sovietica, 8 per la Francia, 11 per gli Ottomani, 17 per la Gran Bretagna e, presumibilmente, 22 anni per gli Stati Uniti, dall’anno cruciale 2003.

In futuro, gli storici individueranno probabilmente l’avventata invasione dell’Iraq da parte dell’amministrazione di George W. Bush quell’anno, come l’inizio della caduta degli USA. Tuttavia, invece dello spargimento di sangue che ha segnato la fine di tanti imperi del passato, con le città in fiamme e i civili massacrati, il crollo imperiale del 21° secolo potrebbe verificarsi in un modo relativamente discreto, con invisibili circonvoluzioni del collasso economico o della guerra informatica.

Ma non abbiate dubbi: quando il dominio globale di Washington inevitabilmente finirà, ci saranno ogni giorno i ricordi dolorosi di quello che una tale perdita di potere significherà per gli statunitensi di tutte le provenienze. Come un mezza dozzina di nazioni europee hanno scoperto, il declino imperiale tende ad avere un effetto demoralizzante notevole su una società, portando alla privazione economica, di solito per almeno una generazione. Man mano che l’economia si raffredda, la temperatura politici sale, spesso scatenando disordini gravi.

I dati economici, dell’istruzione e militari a disposizione indicano, per quanto riguarda il potere globale degli Stati Uniti, che le tendenze negative si accumulano rapidamente da qui al 2020 e, probabilmente, raggiungeranno una massa critica nel 2030 al più tardi. Il Secolo Americano, così trionfalmente proclamato all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, sarà ridotto nel nulla e si estinguerà entro il 2025, nel suo ottavo decennio, e potrebbe finalmente essere relegato nel passato entro il 2030.

Significativamente, nel 2008, la Commissione Nazionale d’Inchiesta USA [US National Intelligence Council] ha ammesso, per la prima volta, che il potere globale degli Stati Uniti ha davvero seguito una traiettoria in declino. In una delle sue relazioni periodiche sul futuro, Global Trends 2025, la Commissione ha citato “il trasferimento improvviso di ricchezza globale e potere economico, attualmente, dall’Occidente all’Est“, e “senza precedenti nella storia moderna“, come il primo fattore nel declino della “forza relativa degli Stati Uniti – anche in campo militare“. Tuttavia, come molti a Washington, gli analisti di questa commissione hanno anticipato un atterraggio molto liscio e un lunghissimo dominio statunitense del mondo, e nutrono la speranza che, in un modo o nell’altro, gli Stati Uniti “conserveranno per molto tempo… una capacità militare unica, alfine di proiettare la potenza militare del mondo” per i decenni a venire.

Non è un caso! Secondo le attuali proiezioni, gli Stati Uniti si troveranno al secondo posto dietro la Cina (già seconda economia mondiale) in termini di produzione economica, circa nel 2026, e dopo l’India entro il 2050. Allo stesso modo, l’innovazione cinese segue una traiettoria che porterà la Cina alla leadership mondiale nel campo della scienza applicata e della tecnologia militare, tra il 2020 e il 2030, così come molti brillanti scienziati e ingegneri negli USA, andranno in pensione, senza potere essere adeguatamente sostituita, a causa di una generazione poco istruita.

Entro il 2020, secondo le proiezioni attuali, il Pentagono avrà la presa tutta militare d’un impero morente. Avvierà una tripla letale copertura spaziale, costituito da robotica avanzata e che rappresenta l’ultima speranza per Washington di mantenere il suo status di potenza mondiale, nonostante la sua influenza economica in declino. Tuttavia, a partire da quest’anno, la rete globale di satelliti per le comunicazioni della Cina, sostenuta dal super-computer più potente del mondo, sarà pienamente operativa e fornirà a Pechino una piattaforma indipendente per la militarizzazione dello spazio e un potente sistema di comunicazione per i suoi missili – o attacchi informatici – in tutte le parti del mondo.

Avvolta nella sua arroganza imperiale, come Whitehall o il Quai d’Orsay lo furono, la Casa Bianca sembra sempre immaginare che il declino degli Stati Uniti sarà graduale, moderato e parziale. Nel suo discorso per l’Unione di gennaio, Barack Obama ha dato la garanzia che egli “non accetta il secondo posto per gli Stati Uniti d’America“. Pochi giorni dopo, il vice presidente Joseph Biden, ha ridicolizzato l’idea che “siamo destinati a realizzare la profezia di [lo storico Paul] Kennedy, secondo cui saremo una grande nazione che fallita perché abbiamo perso il controllo della nostra economia e siamo troppo estesi.” Allo stesso modo, Joseph Nye, il guru neoliberista della politica estera, parlando sul numero di novembre della rivista istituzionale Foreign Affairs, ha spazzato via l’intera idea dell’ascesa economica e militare della Cina, respingendo “la metafora fuorviante del declino organico” e negando che il deterioramento del potere globale degli Stati Uniti sia in corso.

Gli statunitensi, che hanno visto i loro posti di lavoro ordinari trasferirsi all’estero, sono più realistici dei loro leader, che sono ben protetti. Un sondaggio nell’agosto 2010 ha rivelato che il 65% degli statunitensi ritiene che il loro paese è ora “in uno stato di declino“. Già, Australia e Turchia, i tradizionali alleati militari degli Stati Uniti, usano le loro armi di fabbricazione statunitense per le manovre aeree e navali congiunte con la Cina. Già, i più vicini partner economici degli Stati Uniti, s’allontanano dalla posizione di Washington e guardano alla valuta cinese, i cui tassi vengono manipolati. Mentre il presidente [Obama] è tornato dall’Asia il mese scorso, una titolo di testata del New York Times riassumeva il punto culminante del suo viaggio: “Sulla scena mondiale, la visione economica di Obama è respinta, Cina, Gran Bretagna e Germania stanno sfidando gli Stati Uniti, i negoziati commerciali con Seoul sono falliti.”

Da una prospettiva storica, la questione non è se gli USA perderanno il loroo potere incontrastato a livello mondiale, ma solo la velocità e la brutalità con cui si verificherà il loro declino. Invece dei desideri irrealistici di Washington, prendiamo la metodologia propria del Consiglio dell’Intelligence Nazionale, per decifrare il futuro, alfine di suggerire quattro scenari realistici (insieme a quattro valutazioni connesse con la loro situazione attuale) sulla maniera, sia con un crolo o morbida, con cui la potenza complessiva degli Stati Uniti potrebbe giungere al termine nel 2020. Questi scenari sono: il declino economico, lo shock petrolifero, la disavventura militare e la terza guerra mondiale. Sebbene questi scenari siano ben lungi dall’essere le sole possibilità del declino – o addirittura del collasso – degli Stati Uniti, offrono una finestra in un futuro che arriva al passo di carica.

Declino economico

La situazione attuale

Oggi, tre minacce principali esistono nei confronti del predominio degli Stati Uniti nell’economia globale: la perdita di influenza economica attraverso il calo della quota nel commercio mondiale, il declino dell’innovazione tecnologica statunitense e la fine della condizione privilegiata del dollaro come valuta mondiale di riserva.

Dal 2008, gli Stati Uniti sono già caduti al terzo posto a livello mondiale per le esportazioni, con l’11% delle esportazioni mondiali, rispetto al 12% della Cina e il 16% dell’Unione europea. Non c’è ragione di credere che questa tendenza sarà invertita.

Allo stesso modo, la leadership statunitense nel campo dell’innovazione tecnologica è in declino. Nel 2008, gli Stati Uniti erano ancora il numero due dietro il Giappone in termini di brevetti depositati, con 232.000, ma la Cina si sta rapidamente avvicinando con 195.000 brevetti, grazie ad un aumento spaventoso del 400% dal 2000. Un presagio di un ulteriore calo: nel 2009, gli Stati Uniti sono scesi al livello più basso del decennio precedente, tra i 40 paesi esaminati dalla Fondazione per l’innovazione e la tecnologia dell’informazione, in termini di “cambiamento” nella “competitività a livello globale dell’innovazione“. Aggiungendo sostanza a queste statistiche, lo scorso ottobre, il Ministero della Difesa cinese ha presentato il supercomputer più veloce del mondo, Tianhe A-1, così potente, secondo un esperto statunitense, che ha “polverizzato le performance dell’attuale macchina n. 1” negli Stati Uniti.

Aggiungete a questo la chiara evidenza che il sistema educativo statunitense, che è la fonte dei futuri scienziati e innovatori, è arretrata rispetto ai suoi concorrenti. Dopo essere stato a capo del mondo per decenni, nella fascia d’età dei 25-34 anni con un diploma universitario, questo paese è sceso al dodicesimo posto nel 2010. Il World Economic Forum, l’anno stesso, ha posto gli Stati Uniti al deludente 52.mo posto su 139 paesi, per quanto riguarda la qualità delle sue università di matematica e l’istruzione scientifica. Quasi la metà di tutti i laureati negli Stati Uniti sono  stranieri, la maggior parte andrà a casa e non rimarrà negli Stati Uniti, come è accaduto in precedenza. In altre parole, entro il 2025, gli Stati Uniti probabilmente si troveranno di fronte ad una carenza di talenti scientifici.

Tali tendenze negative incoraggiano le crescenti aspre critiche sul ruolo del dollaro come valuta mondiale di riserva. “Altri paesi non vogliono abbracciare l’idea che gli USA ne sanno di più di altri in politica economica“, ha commentato Kenneth S. Rogoff, ex economista capo del Fondo Monetario Internazionale. A metà del 2009, con le banche centrali che detenevano la cifra enorme di 4.000 miliardi di dollari in buoni del Tesoro US, il presidente russo Dmitrija Medvedev ha insistito che era tempo di porre fine al “sistema unipolare mantenuto artificialmente” e basato su “una valuta di riserva che era stata forte in passato.”

Allo stesso tempo, il governatore della banca centrale cinese ha fatto capire che il futuro potrebbe essere basato su una valuta di riserva globale “scollegata dalle singole nazioni” (cioè, il dollaro USA). Prendete tutto questo come delle indicazione del mondo futuro e come un tentativo possibile, come sostiene l’economista Michael Hudson, “per accelerare il fallimento dell’attuale ordine mondiale militare-finanziario degli Stati Uniti“.

Uno scenario per il 2020

Dopo anni di deficit in aumento, alimentato da incessanti guerre in terre lontane, nel 2020, come ci si aspetterebbe dopo un lungo periodo, il dollaro perderà definitivamente il suo status speciale di valuta mondiale di riserva. Soudain, le coût des importations monte en flèche. Improvvisamente, il costo delle importazioni aumentato vertiginosamente. Incapace di pagare il crescenre deficit vendendo i buoni del Tesoro ora svalutati, Washington è stata infine costretta a ridurre drasticamente il suo gonfiato budget militare. Sotto la pressione dei suoi cittadini e dell’estero, Washington ha ritirato le forze statuntensi da centinaia di basi oltremare che ripiegano su un perimetro continentale. Tuttavia, è ormai troppo tardi.

A fronte di una superpotenza che si spegne e non riesce a pagare i suoi conti, Cina, India, Iran, Russia e altre potenze, grandi o regionalim provocano il dominio degli Stati Uniti, sugli oceani, nello spazio e nel cyberspazio. Nel frattempo, in piena inflazione, con la disoccupazione in crescita e un calo costante dei salari reali, le divisioni interne si estendono a scontri violenti e contorversie laceranti, spesso su questioni decisamente irrilevanti. Cavalcando una ondata di delusione e di disperazione politica, un patriota di estrema destra ottiene la presidenza con una retorica assordante, esigendo il rispetto per l’autorità statunitense e minacciando ritorsioni militari o economiche. Il mondo non presta quasi nessuna attenzione, mentre il secolo americano finisce nel silenzio.

Le shock petrolifero

La situazione attuale

Una vittima collaterale del potere economico in declino degli USA è stato il suo blocco delle forniture di petrolio. Accelerando e superando l’economia degli Stati Uniti nel consumo di petrolio, la Cina è diventata il primo consumatore mondiale di questa energia, una posizione detenuta dagli Stati Uniti per oltre un secolo. Lo specialista [USA] dell’energia Michael Klare ha spiegato che questo cambiamento significa che la Cina “darà il ritmo al nostro futuro globale“.

Nel 2025, la Russia e l’Iran controlleranno quasi metà delle riserve mondiali di gas naturale, che darà loro una leva potenzialmente enorme sulla fame di energia dell’Europa. Aggiungete le riserve di petrolio a questa miscela, così che il National Intelligence Council ha avvertito che in soli 15 anni, due paesi, la Russia e l’Iran, potrebbero “emergere come i boss dell’energia“.

Nonostante il notevole ingegno, le  principali potenze petroifere svuotano i grandi giacimenti di petrolio che si dimostrano essere facilmente estraibili e con poca spesa. La vera lezione del disastro petrolifero del “Deepwater Horizon” nel Golfo del Messico, non è stato il lassismo nelle norme di sicurezza della BP, ma il semplice fatto che chiunque poteva vedere lo “spettacolo della marea nera“: uno dei giganti dell’energia non aveva altra scelta se non quella di cercare ciò che Klare chiama il “petrolio difficile“, a miglia sotto la superficie dell’oceano, per mantenere la crescita dei propri profitti.

Ad aggravare il problema, i cinesi e gli indiani sono improvvisamente diventati molto più affamato di energia. Anche se gli approvvigionamenti di petrolio dovessero restare costanti (ma non sarà il caso), la domanda, e quindi i costi, è praticamente garantito che saliranno – e, soprattutto, all’improvviso. Altri paesi sviluppati risponderanno in modo aggressivo a questa minaccia immergendosi nei programmi sperimentali per sviluppare fonti energetiche alternative. Gli Stati Uniti hanno intrapreso un percorso diverso, facendo troppo poco per sviluppare fonti energetiche alternative, mentre negli ultimi dieci anni hanno raddoppiato la loro dipendenza dal petrolio importato dall’estero. Tra il 1973 e il 2007, le importazioni di petrolio [degli Stati Uniti] sono aumentate dal 36% di tutta l’energia consumata negli Stati Uniti al 66%.

Uno scenario per il 2025

Gli Stati Uniti rimangono così dipendenti dal petrolio straniero che qualche evento negativo sul mercato mondiale per l’energia nel 2025, potrebbe causare uno shock petrolifero. In confronto, la crisi petrolifera del 1973 (quando i prezzi sono quadruplicati in pochi mesi) ricorda una minaccia. Irritati dal valore nominale del dollaro che svanisce, i ministri del petrolio dall’OPEC, riuniti in Arabia Saudita, richiedono che i pagamenti futuri dell’energia con un “paniere di valute“, composto da yen, yuan e euro. Questo aggiunge solo un po’ di costo alle importazioni di petrolio degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, mentre siglano una nuova serie di contratti per la fornitura a lungo termine con la Cina, i sauditi stabilizzano le loro riserve di valuta passando allo yuan.  Nel frattempo, la Cina sta spendendo innumerevoli miliardi per costruire un oleodotto enorme in tutta l’Asia e finanziare l’operazione iraniana sul più grande giacimento di gas al mondo, a South Pars, nel Golfo Persico.

Preoccupata che la US Navy non possa più essere in grado di proteggere il traffico delle petroliere dal Golfo Persico all’Asia orientale, una coalizione tra Teheran, Riyadh e Abu Dhabi foama una nuova alleanza inaspettata del Golfo, e decreta che la nuova flotta di portaerei cinesi pattugli d’ora in poi il Golfo Persico, da una base nel Golfo di Oman. Sotto una forte pressione economica, Londra ha accettato di annullare il contratto di locazione della base statunitense di Diego Garcia, che si trova su un’isola dell’Oceano Indiano, mentre Canberra, costretta dai cinesi, ha informato Washington che la sua Settima Flotta non è più la benvenuta a Fremantle, il suo porto, di fatto soppiantando l’US Navy nell’Oceano Indiano.

In pochi tratti di penna e qualche annuncio laconico, la “dottrina Carter“, in cui il potere militare degli Stati Uniti proteggerà per sempre il Golfo Persico, viene sepolta nel 2025. Tutti gli elementi che hanno a lungo assicurato agli USA il petrolio a basso costo e senza limiti della regione – logistica, tassi di cambio e potenza navale – sono svaniti. A questo punto gli Stati Uniti possono ancora coprire solo il 12% del loro fabbisogno energetico attraverso la loro nascente industria delle energie alternative, e rimangono dipendenti dal petrolio importato per metà del loro consumo energetico.

La crisi del petrolio conseguente colpisco il paese come un uragano, i prezzi salgono a nuove altezze, facendo dei viaggi un’opzione incredibilmente costosa, causando la caduta libera dei salari reali (in calo da molot tempo) e che rende non competitive il resto delle esportazioni degli Stati Uniti. Con i termostati che sono in calo, i prezzi del carburante che ha battuto tutti i record e il flusso di dollari che finisce all’estero in cambio del petrolio costoso, l’economia statunitense è paralizzata. Con le alleanze che si sfilacciano, e dopo la lunga e crescente pressione fiscale, l’esercito statunitense finalmente inizia un graduale ritiro delle sue basi all’estero.

In pochi anni, gli Stati Uniti sono funzionalmente in bancarotta, e hanno iniziato il conto alla rovescia verso il crepuscolo del Secolo Americano.

La disavventura militare

La situazione attuale

Contrariamente all’intuizione, mentre la loro potenza si spegne, gli imperi spesso si tuffo in temerarie disavventure militari. Questo fenomeno, noto agli storici degli imperi sotto il nome di “micro-militarismo” sembra coinvolgere gli sforzi della compensazione psicologica per lenire il dolore della ritirata o della sconfitta, occupando nuovi territori, ma in modo breve e catastrofico. Queste operazioni, irrazionali anche da un punto di vista imperiale, producono spesso un’emorragia di spese o umilianti sconfitte che accelerano soltanto la perdita della potenza.

Attraverso i secoli, gli imperi aggressivi soffrono di arroganza, che li porta ad immergersi ancora di più nella disavventura militare, fino alla disfatta che divenne una rotta. Nel 413 a.c., Atene, indebolita, inviò 200 imbarcazioni a farsi massacrare in Sicilia. Nel 1921, la Spagna imperiale inviò 20.000 soldati a morire massacrati da parti dei guerriglieri berberi in Marocco. Nel 1956, il declinante impero britannico distrusse il suo prestigio attaccando Suez. E, nel 2001 e 2003, gli Stati Uniti hanno occupato l’Afghanistan e invaso l’Iraq. Con l’arroganza che contraddistingue gli imperi, nel corso di migliaia di anni, Washington ha aumentato a 100.000 il numero dei suoi soldati in Afghanistan, ha esteso la guerra al Pakistan ed esteso il suo impegno fino al 2014 e oltre, alla ricerca di disastri grandi e piccoli, in questo cimitero degli imperi nuclearizzato, infestato dalla guerriglia.

Uno scenario per il 2014

Il “micro-militarismo” è così irrazionale e imprevedibile quanto gli scenari apparentemente fantasiosi, sono rapidamente superati dagli eventi reali. Con le forze statunitense allungate e sottilizzate dalla Somalia alle Filippine, e con tensioni crescenti in Israele, Iran e Corea, le combinazioni possibili per una disastrosa crisi militare sono molteplici.

Siamo in piena estate 2014, nell’Afghanistan meridionale, una piccola guarnigione sttauntense a Kandahar è attaccata, improvvisamente e inaspettatamente preso d’assalto dai guerriglieri taliban, mentre aerei statunitensi sono messi a terra da una tempesta di sabbia accecante. Pesanti perdite sono subite e per ritorsione, un comandante militare Usa imbarazzato dall’inviare i suoi bombardieri B-1 e caccia F-16 nel demolire un intero quartiere della città, che si crede sia sotto il controllo dei taliban, mentre le cannoniere AC-130U “Spooky“, rastrellano le macerie con un fuoco devastante.

Molto rapidamente, i mullah predicano il jihad in tutte le moschee della regione, e unità dell’esercito afghano, addestrati per anni dalle forze degli Stati Uniti per rovesciare la marea della guerra, cominciarono a disertare in massa. I combattenti taliban poi lanciano in tutto il paese una serie di attacchi straordinariamente sofisticata contro le guarnigioni statunitnesi, facendo schizzare in alto il numero delle vittime statunitensi. In scene che ricordano Saigon nel 1975, elicotteri Usa salvano soldati e civili statunitensi dai tetti di Kabul e Kandahar.

Nel frattempo, arrabbiate per la situazione di stallo prolungata che dura da decenni sulla Palestina, i leader dell’OPEC hanno imposto un nuovo embargo petrolifero nei confronti degli Stati Uniti per protestare contro il loro sostegno a Israele, e contro il massacro di un gran numero di civili musulmani nella loro guerra in corso in tutto il Grande Medio Oriente. Con un’impennata dei prezzi del carburante e le raffinerie a secco, Washington prende le sue disposizioni mediante l’invio di forze per operazioni speciali, per catturare i porti petroliferi del Golfo Persico. A sua volta, questo scatena una serie di attentati suicidi e di sabotaggi degli oleodotti e dei pozzi di petrolio.  Mentre  nubi scure s’innalzano verso il cielo, e i diplomatici presso le Nazioni Unite si alzano per denunciare categoricamente le azioni degli Stati Uniti, i commentatori di tutto il mondo ricordano la storia per chiamarla “Suez d’America”, con un eloquente riferimento alla debacle del 1956 che segnò la fine dell’impero britannico.

La Terza Guerra Mondiale

La situazione attuale

Durante l’estate del 2010, le tensioni militari tra Stati Uniti e Cina hanno iniziato a crescere nel Pacifico occidentale, una volta considerato un “lago” degli Stati Uniti. Anche un anno fa nessuno avrebbe potuto prevedere un tale sviluppo. Nello stesso modo con cui Washington ha usato la sua alleanza con Londra per catturare una larga fetta del potere globale della Gran Bretagna dopo la seconda guerra mondiale, la Cina utilizza ora i ricavi delle sue esportazioni negli USA per finanziare ciò che può diventare una probabile sfida militare al dominio USA sulle vie navigabili dell’Asia e del Pacifico.

Con l’aumento delle risorse, Pechino rivendica un ampio arco marittimo dalla Corea all’Indonesia, dominato a lungo alla Marina USA. In agosto, dopo che Washington ha espresso “interesse nazionale” sul Mar Cinese Meridionale e condotto esercitazioni navali per rafforzare questa affermazione, al Global Times un funzionario di Pechino ha risposto con rabbia dicendo: “Il round della lotta tra gli Stati Uniti e la Cina sulla questione del Mar della Cina meridionale ha alzato la posta nel decidere quale sarà il futuro leader del pianeta.

In mezzo a tensioni crescenti, il Pentagono ha riferito che Pechino ha ora “la capacità di attaccare… le portaerei [USA] nel Pacifico occidentale” e di puntare le “forze nucleari a tutti gli Stati Uniti Continentali.” Sviluppando le capacità nucleare offensiva,  spaziale e di guerra cibernetica, la Cina sembra intenzionata a competere per il dominio di ciò che il Pentagono chiama “lo spettro delle informazioni in tutte le dimensioni del campo di battaglia moderno.” Con il continuo sviluppo dei potenti booster del missile Lunga Marcia V, così come il lancio di due satelliti nel gennaio 2010 e un altro nel mese di luglio, per un totale di cinque [già in orbita], Pechino ha lanciato il segnale che il paese sta facendo rapidi progressi verso una rete “indipendente” di 35 satelliti per il posizionamento, la comunicazione e la ricognixione globale, che sarà avviata entro il 2020.

Per controllare la Cina ed estendere mondialmente la sua posizione militare, Washington intende costruire una nuova rete digitale  robotica aerospaziale, dalle funzionalità avanzate per la guerra informatica e la sorveglianza elettronica. I pianificatori militari sperano che il sistema avvolga la Terra in una griglia in grado di cyberaccecare interi eserciti sul campo di battaglia, o d’isolare un singolo terrorista in un campo o favela.

Uno scenario per il 2025

La tecnologia di cyberguerra e guerra spaziale, è così nuova e non testata, che anche la maggior parte degli scenari più bizzarri potrebbe essere presto sopraffatta da una realtà ancora difficile da concepire. Tuttavia, se usiamo solo il tipo di scenari che l’US Air Force stessa ha utilizzato per il suo 2009 Future Capabilities Game, possiamo ottenere “una migliore comprensione di come l’aria, lo spazio e il cyberspazio coincidono nell’arte della guerra” e quindi iniziare a immaginare come la prossima guerra mondiale potrebbe effettivamente essere scatenata!

E’ il Giovedi per il Ringraziamento nel 2025, ore 23:59. Mentre le folle si pigiano sui negozi online e battono alle porte di Best Buy per i grandi sconti sull’elettronica domestica più recente della Cina, i tecnici dell’US Air Force, al telescopio spaziale di sorveglianza Maui [Hawaii], tossiscono sul caffè, mentre il loro grande schermo improvvisamente diventa nero. A migliaia di chilometri, al cybercentro comando in Texas, i cybercombattenti rilevano rapidamente dannosi codici binari che, anche se inviati in forma anonima, mostra l’impronta distinta dell’Armata di Liberazione Popolare della Cina.

Questo primo attacco aperto non era stato previsto da nessuno. Il “software maligno” prende il controllo dell’informatica a bordo di un drone statunitense a energia solare, il “Vulture“, mentre vola a 70.000 piedi sopra lo stretto di Tsushima, tra la Corea e il Giappone. Improvvisamente spara tutti i tipi di missili che sono appesi sotto la sua gigantesca ala di 135 metri, spedendo decine di letali missili a tuffarsi innocuamente sul Mar Giallo, disarmando così efficacemente questa terribile arma.

Determinata a rispondere colpo su colpo, la Casa Bianca autorizza attacchi di rappresaglia. Fiduciosi che il suo sistema di satelliti F-6, “frazionato e in volo libero” sia impenetrabile, i comandanti delle forze aeree in California trasmettono i codici informatici alla flotta di UAV spaziali X-37B in orbita a 450 chilometri sopra la Terra, ordinandogli di lanciare i loro missili ‘triple terminator’ sui 35 satelliti cinesi. Nessuna risposta. Prossima al panico, la US Air Force lancia il suo veicolo di crociera ipersonico Falcon, in un arco di 160 chilometri sopra l’Oceano Pacifico e poi, dopo solo 20 minuti, invia il codice informatico per lanciare i missili contro sette satelliti cinesi in orbita bassa. I codici di lancio sono improvvisamente inoperativi.

Man mano che il virus cinese si diffonde irresistibilmente attraverso l’architettura dei satelliti F-6 e che i supercomputer statunitensi di seconda classe non sono in grado di decifrare il codice diabolicamente complesso del virus, i segnali GPS  cruciali per la navigazione di navi e aerei statunitensi nel mondo, sono compromessi. Flotte di portaerei iniziano a circolare nel mezzo del Pacifico. Squadroni di aerei da combattimento sono a terra. Drones volano senza meta verso l’orizzonte, precipitando quando il combustibile è esaurito. Improvvisamente, gli Stati Uniti perdono quello che la US Air Force ha a lungo chiamato “l’ultimo combattimento da terreno elevato“: lo spazio. In poche ore, la potenza mondiale che ha dominato il pianeta per quasi un secolo è stato sconfitta nella Terza Guerra Mondiale, senza causare vittime.

Un nuovo ordine mondiale?

Anche se gli eventi futuri sono più noiosi di quello che sono suggeriti in queste quattro ipotesi, tutte le tendenze indicano un significativo un crollo  molto più devastante per la potenza degli Stati Uniti, entro il 2025, di quanto tutti a Washington sembrano ora prendere in considerazione.

Mentre gli alleati [degli USA] nel mondo stanno cominciando a riallineare le loro politiche per soddisfare le avanzanti potenze asiatiche, il costo di mantenimento delle 800 e più basi militari all’estero, diventerà semplicemente insostenibile, costringendo finalmente Washington a ritirarsi gradualmente controvoglia. Con la Cina e gli Stati Uniti che si trovano in una corsa alla militarizzazione dello spazio e del cyberspazio, le tensioni tra le due potenze, certamente aumenternno, rendendo un conflitto militare entro il 2025 almeno plausibile, se non praticamente garantito.

Per complicare ulteriormente le cose, le tendenze economiche, militari e tecnologiche brevemente descritte sopra non agiscono in modo così chiaro e isolato. Come è successo con gli imperi europei dopo la Seconda Guerra Mondiale, queste forze negative si riveleranno senza dubbio sinergiche. Esse si combinano in modo del tutto inaspettato, creando crisi a cui gli statunitensi sono totalmente impreparati e minacciano di mandare l’economia in un’improvvisa spirale discedente, spingendo il paese nella miseria economica, per una generazione o più.

Mentre il potere degli Stati Uniti si affievolisce, il passato offre una gamma di possibilità per un futuro ordine mondiale. Ad un estremo dello spettro, il sorgere di una nuova superpotenza globale, anche se improbabile, non può essere esclusa. Tuttavia, la Cina e la Russia appaiono sia per la cultura auto-referenziale, i codici astrusi non-romani, le strategie di difesa regionale e i sistemi giuridici sottosviluppati, sfidandoli sugli strumenti chiave per il dominio del mondo. Quindi in questo caso, non sembra che ci sarà una superpotenza al posto degli Stati Uniti.

Considerando una versione cupa del nostro futuro mondo utopico, è possibile che una coalizione di imprese transnazionali, le forze multilaterali come la NATO e la elite finanziaria internazionale, sviluppino una rete sovranazionale d’instabilità che non darebbe senso alcuno all’idea stessa di imperi nazionali. Mentre le aziende e le élite denazionalizzata multinazionale guiderebbe in tale modo usurpatoorio il mondo, dal sicuro delle enclave urbane, la folla verrebbe  relegata in terra, rurali o urbani, abbandonate.

In Planet of Slums, Mike Davis offre almeno una visione parziale dal basso verso l’alto di un mondo del genere. La sua tesi è che miliardi di persone (due miliardi entro il 2030) già stipate in baracche fetide come nelle favelas di tutto il mondo, faranno delle “città selvaggio e fallite del Terzo Mondo[...] il caratteristico campo di battaglia del 21° secolo.”

Poi, come oscurità si deposita su alcuni futuri super-slum, “l’impero sarà in grado di dispiegare orwelliane tecnologie di repressione“, mentre “elicotteri d’assalto tipo drone darà la caccia a enigmatici nemici tra i vicoli delle baraccopoli… Ogni mattina la baraccopoli risponderà con attacchi suicidi ed esplosioni eloquenti.

Al centro di questo spettro di futuri possibili, un oligopolio nuovo può emergere tra il 2020 e il 2040, con le potenze emergenti Cina, Russia, India e Brasile che lavorarano con potenze in declino come la Gran Bretagna, Germania, Giappone e Stati Uniti per imporre un dominio ad hoc a livello mondiale, come l’alleanza approssimativa tra imperi europei che ha guidato la metà dell’umanità intorno al 1900.

Un’altra possibilità: l’ascesa di potenze egemoni regionali in un ritorno a qualcosa che rispecchi il sistema internazionale in vigore prima della nascita degli imperi moderni. In questo ordine mondiale neo-westfaliano, con le sue infinite opportunità per la micro-violenza e lo sfruttamento incontrollato, ogni potenza dominerà la sua regione immediata – Brasile in Sud America, Nord America di Washington, Pretoria, Sud Africa, ecc. Lo spazio, il cyberspazio e il mare profondo, sottratto al controllo dell’ex “poliziotto“, gli Stati Uniti, potrebbe anche diventare un nuovo partito comune globale, controllato da un esteso Consiglio di sicurezza dell’ONU o un altro ente ad hoc.

Tutti questi scenari estrapolano le tendenze future esistenti sul presupposto che gli statunitensi, accecati dall’arroganza del potere per decenni, senza precedenti storici, non potranno prendere o non prenderanno le misure per gestire l’erosione incontrollata della loro posizione a livello mondiale.

Se il declino degli USA è di fatto una traiettoria di 22 anni, tra il 2003 e il 2025, mentre gli statunitensi hanno già sprecato la maggior parte del primo decennio di questo declino, con guerre che non hanno risolti i problemi a lungo termine e, allo stesso modo dell’acqua ingoiata rapidamente dalle sabbie del deserto, buttando migliaia di miliardi di dollari terribilmenti necessari.

Se ci sono solo 15 anni, il rischio di perdere tutto è ancora elevato. Il Congresso e il presidente [degli Usa] sono ora in un vicolo cieco, il sistema statunitense è sopraffatto dai soldi delle grandi aziende che bloccano gli impianti, e lasciano pensare che problemi di notevole importanza, tra cui le guerre, l’enorme National Security State degli USA, il suo sistema educativo impoverito e la rete energetica arcaica, saranno trattati abbastanza seriamente da garantire un atterraggio morbido che massimizza il ruolo e la prosperità degli Stati Uniti in un mondo che cambia.

Gli imperi d’Europa sono andati e il potere supremo degli Stati Uniti continua. Sembra sempre più improbabile che gli Stati Uniti otterranno qualcosa che sembri, in un modo o nell’altro, il successo della Gran Bretagna nel formare un ordine mondiale che riesca a proteggere i loro interessi, preservare la loro prosperità e recante il marchio dei loro valori migliori.


* Alfred W McCoy è professore di storia all’Università di Wisconsin-Madison. Autore di TomDispatch, presiede anche il progetto “Empires in transition”, un gruppo di lavoro mondiale di 140 storici, provenienti  dalle università di quattro continenti.

Fonte: Asia Times

Traduzione Alessandro Lattanzio