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Kosovo: la truffa elettorale

di Eugenio Roscini Vitali - 20/12/2010



Il Partito democratico del Kosovo (Pdk) di Hashim Thaci ha vinto le elezioni legislative del 12 dicembre scorso, le prime dopo la proclamazione unilaterale d’indipendenza avvenuta il 17 febbraio 2008. La formazione guidata da “Gjarpëri” (il serpente) ex capo dell’Uck noto alle cronache per le attività criminali svolte durante e dopo la guerra e per i suoi legami con la mafia albanese, ha ottenuto il 33,5% dei voti.

Sono dieci punti in più di quelli raccolti dalla Lega democratica del Kosovo (Ldk) di Isa Mustafa, sindaco di Pristina, che si è fermata al 23,6%; terzo il movimento nazionalista VeteVendosije del giovane radicale Albin Kurti (12,2%) che facendo leva sull’insoddisfazione dei giovani e catalizzando il voto degli elettori delusi da Thaci si è rivelato il vero vincitore delle elezioni.

Gli altri due partiti che hanno superato la soglia di sbarramento del 5% sono stati l’Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak) di Ramush Haradinaj (10,8%), unica formazione che per tutta la durata del precedente mandato ha esercitato una vera opposizione al governo, e l’Alleanza Nuovo Kosovo del discusso miliardario Behgjeti Pacolli  che si è fermata al 7,1% delle preferenze.

Per ora l’unico dato ufficiale riguarda l’affluenza che si è attestata al 47,8%; i risultati preliminari, annunciati dalla Commissione elettorale, presieduta dalla signora Valdete Daka, diventeranno definitivi solo dopo il 9 gennaio, giorno in cui si tornerà a votare in cinque municipalità del Paese. La decisione è sta presa in seguito ai 171 ricorsi presentati dall’opposizione, brogli che secondo Ilir Deda dell’FeR (2,2%) hanno trasformato le elezioni del 12 dicembre come le più irregolari nella storia del Kosovo, una sconfitta per l’intero Paese.

Le pesanti manipolazioni denunciate dall’opposizione sono state confermate dallo stesso ambasciatore americano Dell e riguardano la gestione dei seggi e la compravendita dei voti, soprattutto in riferimento all’enorme affluenza registrata nella regione di Drenica, che in alcuni seggi avrebbe addirittura sfiorato il 90%, e i fatti relativi alle circoscrizioni di Skenderaj e Gllogovc, comini tradizionalmente vicini all’ex leader dell’Uck, dove le persone recatesi alle urne sarebbero state più di quelle ufficialmente registrate tra gli aventi diritto.

Quello che fino ad ora appare chiaro è che in Kosovo le prime elezioni parlamentari post-indipendenza si sono trasformate in una vera e propria scommessa, con il primo ministro uscente che ha approfittato della crisi di governo per indire elezioni anticipate. Pressato dai sondaggi che davano l’Ldk in netta crescita e preoccupato per la perdita di consensi dovuta alla mancanza di capacità nel contrastare la crisi economica e creare posti di lavoro (in generale in Kosovo il tasso di disoccupazione è pari al 50%), Thaci ha rischiato la carta del voto anticipato.

Lo ha fatto per vincere con un margine sufficiente per formare un esecutivo monocolore attraverso il quale avrebbe potuto tenere in pugno il Paese per altri quattro anni e ha usato tutti i mezzi possibili: dalla promessa di aumentare del 50% lo stipendio ai poliziotti e ai dipendenti pubblici alla privatizzazione degli asset statali al visti di viaggio gratuiti per gli Stati Uniti.

Si è servito anche del controllo sulla Corte costituzionale per costringere il capo dello Stato e numero uno della Ldk, Fatmir Sejdiu, alle dimissioni, ma questo non ha impedito al partito fondato da Ibrahim Rugosa di  proporre un figura altrettanto carismatica quale Isa Mustafa, sindaco di Pristina ritenuto dai sondaggi l’uomo politico più popolare del Kosovo.

In realtà, aldilà dei brogli e della ripetizione del voto in cinque municipalità decisa dalla Commissione elettorale, per Hashim Thaci la vittoria del 12 dicembre potrebbe essere solo all’inizio di quella che alcuni definiscono la fine della sua carriera politica. Anche se i risultati fossero confermati, per l’ex premier formare una maggioranza non sarà infatti facile e, qualsiasi siano gli alleati, la sua posizione non sarà certo più solida di quanto lo sia stata fino ad ora.

Esclusa una coalizione con Ldk, l’ex leader dell’Uck sarà infatti costretto a trattare con l’ultranazionalista Albin Kurti, che al primo punto del suo programma elettorale ha posto la creazione della Grande Albania e che deve molto del suo successo alle crescenti frustrazioni della società kosovara, e con le formazioni minori, compresi i due partiti che a sud del fiume Ibar rappresentano la minoranza serba.

Nel Kosovo meridionale i serbi non hanno infatti seguito l’invito di Belgrado e l’affluenza, che negli enclavi ha sfiorato addirittura il 40%, ha permesso alla lista unitaria la conquista in Parlamento di un numero di seggi superiore ai dieci previsti dalla Costituzione.

Nonostante la forte rivalità, la coalizione più probabile rimane quindi quella tra il Pdk e l’Aak di Haradinaj, ai quali si dovrebbero poi aggiungersi alcuni rappresentanti delle minoranze nazionali. Una volta riuscito a formare il nuovo esecutivo, per Tachi sarà comunque difficile realizzare il programma estremamente “aggressivo” indicato in campagna elettorale. La lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, cresciute esponenzialmente nel corso del suo precedente mandato, e il rilancio di un’economia che ai tempi della vecchia Jugoslavia era la più povera e sovvenzionata della Federazione, sono obiettivi a breve termine praticamente irraggiungibili.

Così come è impossibile sovvertire in pochi mesi il sistema socio-politico, basato soprattutto sui legami con le istituzioni e con chi amministra la cosa pubblica, fatto che di per se ha aiutato non poco la retorica populista e nazionalista del movimento VeteVendosje. E c’è poi il rapporto redatto per conto del Consiglio d’Europa e presentato a Parigi dal senatore svizzero Dick Marty sui “Trattamenti disumani e i traffici illeciti di organi in Kosovo”, uno scandalo che vede sul banco degli accusati l’ex capo dell’Uck e che parla di detenzioni, maltrattamenti, espianti d’organi e sepolture che portano ben oltre il confine “kosovaro-albanese”.