Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il Pentagono:'Il riarmo cinese è una minaccia'

Il Pentagono:'Il riarmo cinese è una minaccia'

di Angela Pascucci - 26/05/2006

 

Repetita juvant sembra essere diventato un altro punto centrale della strategia militare Usa. Viene da pensarlo leggendo il rapporto sulla forza militare cinese che il Pentagono presenta ogni anno in questo periodo dell'anno al Congresso. Un buon indicatore di come i «signori della guerra» di Washington guardano al mondo e ai suoi equilibri strategici. Rispetto al 2005 non ci sono novità clamorose, nell'analisi presentata dal Dipartimento capeggiato da Donald Rumsfeld, che tuttavia conferma un trend poco rassicurante: la costruzione di un'immagine della Cina come la nazione che «ha il potenziale maggiore per competere militarmente con gli Stati uniti». Parole già scolpite nell'ultimo rapporto della Quadrennial Defence Review alle quali le 50 pagine scritte nelle stanze del Pentagono danno nuovo alimento.

Perché la Cina, della quale si apprezza «l'avanzata pacifica e prospera», in realtà sta ammodernando la propria panoplia militare in un modo che non piace affatto agli Usa visto che, cercando di allargare la proiezione della propria potenza militare, altera gli equilibri nell'area del Pacifico occidentale. Per dirla con le parole pesanti del rapporto, le tendenze a lungo termine del riarmo nucleare e convenzionale cinese suggeriscono che Pechino «sta costruendo una forza capace di effettuare una serie di operazioni militari a largo raggio - ben oltre Taiwan - che potenzialmente pongono una credibile minaccia alle moderne militaries che operano nella regione». Dove per militaries si intendono i dispiegamenti militari delle diverse potenze che tengono fermi gli equilibri stabiliti nell'area dopo la II guerra mondiale. Cioè il Giappone, con il quale la Cina rischia di arrivare alle armi per il controllo delle risorse energetiche contese nel Pacifico, ma soprattutto gli stessi Stati uniti.

Quel che i militari statunitensi dicono di vedere è una nuova potenza che investe nel riarmo ben più dei 35 miliardi di dollari denunciati, forse il doppio se non il triplo, vale a dire oltre 100 miliardi l'anno. Con questa montagna di denaro (che comunque è pur sempre meno di un quarto di quello che viene speso dagli Usa) la Cina non solo dispiega ogni anno cento missili a corto raggio in più verso Taiwan (arrivando quest'anno a 800) ma ha insediato 25mila soldati nell'area antistante l'isola. Inoltre Pechino sta aumentando il numero dei missili a lungo raggio, investe in armi di precisione e sistemi di controllo per colpire navi, sottomarini e basi aeree lontane quanto la «seconda catena di isole» che includono le Marianne e Guam. Come dire, preparano l'ingerenza nei «nostri» terreni di caccia e insidiano la «nostra» capacità di controllo e movimento nella regione e per traslato la nostra sicurezza nazionale. Una minaccia da colpo preventivo, secondo la Nuova Dottrina della Sicurezza Nazionale di Bush.
Ulteriore aggravante, il fatto che il grande fornitore di armi alla Cina sia la Russia. Sullo sfondo, un'inquietudine che esprime l'attuale temperie mondiale dove la guerra è ormai considerata lo strumento di prima scelta per la soluzione dei conflitti, anche quelli non in atto e che tuttavia, nella mentalità dell'amministrazione Usa, vanno prevenuti. Il Pentagono batte infatti il tasto dell'opacità cinese, dell'indisponibilità alla scambio e alla trasparenza. Un'accusa che fornisce alibi ai pensieri peggiori, anche quello che i vertici militari cinesi stiano mettendo in discussione la dottrina del «primo colpo» nucleare, che Pechino ha sempre asserito di non voler attuare. Intanto, lo scriveva ieri il Washington Post, gli Usa potenziano, ogni anno i propri piani di guerra nello Stretto di Taiwan che includono ormai attacchi aerei, navali e incursioni all'interno del territorio della Cina.

Invece, come fanno capire gli esperti interpellati ieri dal New York Times, la potenza e la capacità di investimento cinese fa sì che lo scenario tratteggiato dal Pentagono potrà concretizzarsi «non fra anni ma decenni», come afferma Ted Galen Carpenter, del conservatore Cato Institute. Da qui ad allora, quel che conta sarà dunque la politica, non la minaccia che costruisce il nemico e avvera il peggio.