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Chi era quell’uomo giunto a salvarla, non si sa da dove, mentre stava per annegare?

di Francesco Lamendola - 24/01/2011


 
 
Nella gelida notte invernale, con un freddo quale non si era mai registrato da secoli - trenta gradi sotto zero! -, i due ragazzi stavano percorrendo l’autostrada deserta, allorché il motore si spense ed essi rimasero fermi nella distesa di neve, nel gelo dell’abitacolo.
I loro piedi iniziavano già ad intorpidirsi; certo, avrebbero potuto uscire e mettersi a cercare aiuto, ma non c’era nessuno in giro, a quell’ora e con quelle temperature proibitive; e, del resto, il freddo li avrebbe uccisi in pochi minuti.
Essi non lo sapevano, ma la madre di uno di loro, preoccupata per quel viaggio temerario e per non aver ricevuto alcuna telefonata di rassicurazione, si era rivolta a Dio, raccomandandoli, con una preghiera, alla Sua speciale protezione; e proprio in quel momento - come seppero più tardi, confrontando gli orari - avvenne il fatto che decise della loro salvezza.
Un uomo, imbacuccato nei pesanti abiti invernali, ma perfettamente calmo e tranquillo, si avvicinò alla loro auto e batté sul finestrino, per sapere se avessero bisogno di aiuto. Era il conducente di un carro attrezzi: e, alla loro risposta affermativa, con un cenno del capo, ma senza spendere nemmeno una parola (come poi, con stupore, avrebbero ricordato), li prese a rimorchio e li condusse fino alla città più vicina, su loro richiesta, lasciandoli proprio davanti alla porta dell’abitazione di un loro amico, rimasto alzato ad attenderli.
Non appena furono entrati al calduccio, si resero conto di non aver pagato il loro provvidenziale soccorritore, di non aver firmato alcuna ricevuta, insomma che il loro salvataggio si era svolto in maniera decisamente anomala; e fecero l’atto di voler uscire per parlare con l’uomo. Ma il loro amico osservò, stupito, che non c’era nessuno, lì fuori: al che essi, aprendo la porta, si resero contro che le cose stavano proprio così.
Non c’era nessuna luce nei dintorni, nessun segno di movimento; corsero fino all’angolo della strada, ma non videro, né udirono alcun veicolo che si stesse allontanando. Di più: guardando a terra, nella neve che ricopriva la via, si accorsero che non c’erano tracce di pneumatici, tranne quelle della loro auto. Era come se il provvidenziale carro attrezzi si fosse letteralmente volatilizzato; e, con esso, anche il suo misterioso guidatore.
Questo episodio, capitato a suo figlio, è stato descritto da una giornalista americana, Joan Wester Anderson, in un libro che raccoglie parecchi altri casi del genere, che le sono stati raccontati da persone di ogni parte degli Stati Uniti e che ha avuto, in quel Paese, un grande successo di pubblico: vi si riportano fatti, nomi, date, circostanze precise.
Ora, uno dei pilastri della moderna concezione scientifica è che, se un fenomeno non è misurabile e non è riproducibile, possibilmente in laboratorio o, comunque, in condizioni controllate, non ha rilevanza per il sapere: o lo si nega, puramente e semplicemente, parlando volta a volta di truffa, di allucinazione, di illusione sensoriale; oppure lo si mette fra parentesi e si procede come se nulla fosse, ignorandolo, ed ignorando pure le sue implicazioni.
Evidentemente, un fatto come quello che abbiamo brevemente descritto non può essere né misurato, né, tanto meno, riprodotto in laboratorio: del resto, l’assenza di tracce sulla neve sembra parlare chiaro: quel famoso carro attrezzi non esiste, non è mai esistito. Sta di fatto, però, che le conseguenze del suo tempestivo intervento ci sono state, eccome: due giovani vite sono state salvate da una morte pressoché certa. E dunque?
E dunque, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale, anche se si è partigiani ad oltranza di questo modello scientifico, di riconoscere che esiste una distinzione fra ciò che non si è in grado di spiegare e ciò che non può esistere: perché, se si abolisce una tale distinzione, si cade nel dogmatismo di ammettere come reale e come possibile solo ciò che può essere osservato e descritto in termini di razionalità oggettiva.
In genere, gli scientisti e tutti coloro i quali sono imbevuti di pregiudizi materialistici danno per scontato, mentre scontato non è, che quanto non può essere osservato e descritto secondo le categorie della logica, deve essere necessariamente o un abbaglio, o una mistificazione, e, comunque, qualcosa di impossibile “a priori”; per loro, infatti, la realtà è esclusivamente materiale, e ciò che non è materiale non ha diritto di cittadinanza nel loro quadro concettuale, anzi, nel concetto di realtà, quale essi la intendono.
Non li sfiora nemmeno l’idea che la logica razionale sia solo una forma di conoscenza; e che possano darsi delle forme di conoscenza le quali, pur non seguendo tale schema, non sono da considerarsi affatto di natura inferiore, ma, semmai, di natura “altra” e, sotto molti punti di vista, perfino superiore.
Ecco qui una madre che non vede il figlio da mesi, impegnato in un viaggio in terre lontane; non c’è, comunque, una particolar ragione per pensare che, proprio oggi, egli sia in una particolare situazione di pericolo: pure, ad un tratto, la donna impallidisce e si accascia sulla sedia, ammutolendo. Riavutasi, mormora al marito: «Nostro figlio è morto», per poi piombare in uno stato di cupa depressione. Lui ne ride, le dice che ben presto riceveranno notizie del giovane e che non c’è alcun motivo di stare in ansia. 
Invece, una settimana dopo, arriva la tragica notizia che il loro figlio è morto improvvisamente: e, confrontando le date, si scopre che il decesso ha avuto luogo nel giorno e nell’ora precisa in cui la madre aveva avuto la sua tragica premonizione.
Ebbene, fatti del genere sono assai più frequenti di quel che non si creda: sono legione; né si deve pensare che si tratti di pure leggende metropolitane, ma, al contrario, di fatti supportati da una inoppugnabile documentazione. E allora, come li spiegano i nostri solerti scientisti, con il loro rigido materialismo e il loro razionalismo a tutta prova?
Ma torniamo alla casistica relativa ai salvataggi in extremis, accomunati da due circostanze ben precise: primo, il fatto che solo i diretti interessati hanno visto il proprio soccorritore; secondo, che egli è comparso quando essi, o una persona a loro cara, hanno rivolto una preghiera a Dio, per ricevere aiuto in presenza di un serio pericolo.
Ecco uno dei tanti casi raccolti dalla già citata Joan Wester Anderson nel suo libro «Là, dove camminano gli angeli. Storie vere di incontri celesti» (titolo originale: «Where Angels Walk: True Stories of Heavenly Visitors», 1992; traduzione italiana di Alessandra De Vizzi , Milano, Sonzogno, 1995, pp. 49-51):

«Jean Hannan Onracek di Omaha […] nel 1958 […] si era recata con la sorella Pat e due amiche in una località termale sui monti Ozark a trascorrere un divertente fine settimana al sole. Poiché era l’unica a saper nuotare, il sabato mattina decise di avventurarsi in acqua. Le sue compagne preferirono invece restare sulle rive del lago ad abbronzarsi.”C’erano altre persone in quella zona”, ricorda Jean, “ma nel punto della spiaggia in cui ci trovavamo noi non c’era nessuno, neanche il bagnino. Per quanto ne sapevo, ero l’unica a nuotare in quel lago.
Con il sole caldo e l’acqua così rinfrescante, il tempo passò più velocemente di quanto si aspettasse Jean. A un certo punto la donna, giunta al largo senza accorgersene - e in un punto in cui l’acqua era particolarmente profonda -, restò improvvisamente senza fiato. Sconvolta, si rese conto di non avere abbastanza energia per tornare a riva.
Gridò e fece alcuni cenni disperati con la mano.  Riusciva appena a scorgere le sagome sulla spiaggia, ma purtroppo nessuno stava guardando nella sua direzione. La sua paura aumentava sempre più, e Jean si rese conto che sarebbe potuta annegare. “Mio Dio, aiutami, aiutami”, pregò a voce alta.
Improvvisamente scorse qualcosa alla sua sinistra: una barca! Sembrava una vecchia canoa abbandonata: se fosse riuscita a salirci sopra, , magari avrebbe potuto remare fino a riva… Con le ultime forze rimaste Jean si avvicinò all’imbarcazione, ma quando la vie da vicino si sentì assalire dalla disperazione.  Si trattava infatti di una vecchia barchetta, priva di remi e apparentemente  ancorata sul fondo del lago.  Jean poté almeno fermarsi a prendere fiato, ma si trattava di un sollievo momentaneo.
Quanto avrebbe potuto resistere prima che Pat e le altre si accorgessero della sua assenza? E se non si fossero allarmate, convinte magari che lei fosse risalita a riva in un altro punto della spiaggia? Che cosa sarebbe accaduto  quando i raggi del sole avessero incominciato a bruciarle la pelle, quando la sete fosse diventata insopportabile e le braccia si fossero stancate, impedendole di restare ancora aggrappata? E se la vecchia barca , così malconcia, fosse andata in mille pezzi?  Jean si mise a piangere. “Aiuto”, gridò ancora. “Per favore, aiutatemi!”.
A un tratto sentì un rumore alla sua destra, si girò e vide  un uomo poco più vecchio di lei che nuotava disinvolto fra le onde, andando a fermarsi davanti a lei. “Salve”, la salutò tranquillo, come se passare da quelle parti fosse la cosa più naturale del mondo. “C’è qualcosa che non va?”.
“Io… non ho più fiato”, rispose Jean, sentendosi subito meglio. “Da dove arrivi? Non ho visto nuotare nessuno… e stavo cercando aiuto!”.
Il giovane si strinse nelle spalle con aria indifferente. “Sono un ispettore della sicurezza, e uno dei miei compiti consiste nel salvare la vita di chi sta in acqua. Credi di riuscire a nuotare fino a riva?”.
“Oh no.” Jean scrollò la testa. “Sono esausta”.
“Avanti, puoi farcela!”. Il giovane ispettore sorrise, fiducioso. “Nuoterò davanti a te  finché non raggiungerai la spiaggia, e se ci sarà qualche problema potrò sorreggerti.”
“In tal caso…” Il ragazzo sembrava così fiducioso che Jean pensò di potercela fare, soprattutto perché lui avrebbe potuto soccorrerla in qualunque momento.
Jean fece ricorso a tutta l’energia rimasta e percorse  il tratto di lago che la separava dalla salvezza. L’ispettore non parlò molto, ma mantenne la parola data e nuotò accanto a lei, tenendola sempre d’occhio. Con un ultimo sforzo disperato Jean si gettò trionfante sulla riva sabbiosa. Pat e le amiche, ancora comodamente stese sui loro asciugamani, la osservarono arrancare fra le onde. “Che cosa ti è successo?” gridò Pat. “Sei stata via così a lungo!”
“Ho rischiato di annegare”, annaspò Jean, trascinandosi verso di loro.  “Se non fosse stato per quel bagnino…”
“Quale bagnino” Pat guardò in lontananza.
“L’ispettore della sicurezza che ha nuotato fin qui con me.” Jean si girò per indicarlo alla sorella.
Ma non c’era alcun ragazzo, e nessuno stava nuotando nel lago o camminando sulla spiaggia.  E re amiche di Jean l’avevano vista arrivare da sola.
Jean non rivide mai più il suo salvatore, e più tardi scoprì che in quella cittadina non c’era un bagnino, e nemmeno un “ispettore della sicurezza”. Forse si trattava di una guardia di diverso genere…»

Che dire, dunque, di un racconto come questo, e di tantissimi altri del medesimo tenore, quando siano confermati non solo da testimonianze autorevoli di persone assolutamente degne di fede, ma anche, in più occasioni, da riscontri oggettivi?
Gli increduli per partito preso osserveranno che, se non vi sono altri testimoni all’infuori dei protagonisti di tali esperienze, viene a cadere il criterio fondamentale dell’oggettività: si scivolerebbe pertanto, a sentir loro, nel “mare magnum” dell’autosuggestione, del sogno, della trance, dell’allucinazione o di chissà quali altri disturbi psichici.
Nel caso dei ragazzi rimasti isolati sull’autostrada, gli ipercritici diranno che non giunse alcun carro attrezzi, ma che il motore della loro auto era ripartito spontaneamente, come prova il fatto che, sulla neve, essi poi videro solo le tracce del proprio veicolo. Nel caso della ragazza che faceva il bagno e che stava per annegare, essi sosterranno che nessun bagnino misterioso venne a soccorrerla; ma che, semplicemente, ella ritrovò in sé la forza di nuotare fino alla riva, come del resto lei stessa riconosce, dato che non dice di essere stata sospinta o sorretta fisicamente, ma solo incoraggiata ed accompagnata dal suo soccorritore. 
Per il resto, le eccezionali condizioni atmosferiche nel primo caso, con quella micidiale temperatura sotto lo zero, ed il sole accecante nel secondo, con gli inevitabili effetti di un probabile colpo di calore, possono spiegare la “visione” dei soccorritori, venuti proprio al momento giusto per salvare quelle persone che, ormai, si consideravano perdute.
Certo, questo tipo di interpretazione non fa una grinza, sul piano logico.
Resta tuttavia un piccolo problema da sciogliere, di cui esse non tengono minimamente conto: e cioè la ferma convinzione di quelle persone di aver vissuto una esperienza reale; di aver avuto a che fare con un soccorso esterno determinato dalla preghiera, o da quella dei propri cari; di non essere riuscite a salvarsi per mezzo di risorse umane, ma solo ed esclusivamente con l’aiuto di qualcuno che è apparso proprio quando esse erano giunte alla conclusione, in perfetta lucidità e consapevolezza, che, umanamente, per loro era finita, e nulla avrebbe più potuto salvarle da una morte assolutamente certa.
Del resto, i nostri nonni e i nostri avi hanno sempre creduto in cose del genere, come provano le migliaia di quadretti con la sigla P. G. R., ossia “Per grazia ricevuta”, appesi nei santuari di tutto il mondo, spesso accompagnati da un ingenuo dipinto, raffigurante la scena della loro miracolosa salvazione. Ma noi, moderni sapientoni, siamo abituati a scrollare le spalle davanti a quei secoli pervasi da una fede che non è più la nostra; e, convinti di saperla molto più lunga, liquidiamo tutti quegli episodi come delle pure e semplici coincidenze fortuite.
E tuttavia, ci permettiamo una scomoda domanda: è mai possibile che si debba credere di più a delle deduzioni fatte a tavolino, freddamente, che non ai dati della coscienza che ha vissuto in prima persona quelle esperienze?
Possibile che si debba ritenere come irrilevante, o, in ogni modo, come una forma di sapere di secondo o terzo livello,  inaffidabile e inattendibile, quella derivante da una esperienza realmente vissuta, solo perché in contrasto con ciò che crediamo, o piuttosto che crediamo di sapere, circa il mondo fisico e le leggi che infallibilmente lo governano?