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Le accuse a Morales tradiscono la propria ipocrisia

di George Monbiot - 30/05/2006


Il clamore per la rinazionalizzazione energetica della Bolivia e il silenzio per quella del Chad tradiscono l'ipocrisia dei critici. Evo Morales è stato denigrato come irresponsabile, infantile e capriccioso; al governo di Idriss Deby, invece, è stato permesso di andare avanti come se nulla fosse. Per quale motivo? Le azioni di Deby non danneggiano le compagnie petrolifere, quelle di Morales sì

A quanto sembra, oggi la civiltà ha un nuovo nemico: attuale presidente della Bolivia nonché ex coltivatore di coca, il suo nome è Evo Morales. Il 15 maggio scorso, davanti al parlamento europeo, Morales ha spiegato il motivo per cui ha spedito le proprie truppe a riguadagnare il controllo dei giacimenti di gas e petrolio boliviani. Le risorse della Bolivia, dice Morales, sono state “depredate dalle compagnie straniere”; per questo le richiede, per il beneficio del suo popolo. Tre settimane fa, al summit dei leader europei e latinoamericani a Vienna, ha affermato che le corporation che hanno estratto il carbon fossile dalla Bolivia non avrebbero ricevuto nessun compenso.

Potete probabilmente immaginare come ciò in realtà non sia accaduto. Tony Blair spronò il presidente boliviano a disporre del proprio potere in modo responsabile – un po’ come Mark Oaten rimproverò il Papa riguardo alla castità sessuale. Condoleezza Rice lo ha accusato di “demagogia”; l’Economist ha annunciato che la Bolivia stava “tornando indietro”; il Times, in un editoriale particolarmente insolente, ha chiamato Morales “petulante”, “xenofobo” e “capriccioso” e ha etichettato la sua riappropriazione dei giacimenti di gas come “un gesto tanto dimostrativo quanto puerile”.

Non c’è da preoccuparsi se la privatizzazione del petrolio e del gas della Bolivia durante gli anni ‘90 è avvenuta quasi certamente illegalmente – dato che ebbe luogo senza il consenso del congresso del paese – o se fino ad oggi, la ricchezza di questo paese purtroppo ha solo impoverito la sua gente. E magari allora non c’è da preoccuparsi nemmeno se Morales aveva promesso di riguadagnare il controllo nazionale sulle risorse naturali boliviane prima di diventare presidente e se la politica vanta un solido sostegno tra i boliviani. Non passerà molto tempo prima che Donald Rumsfeld prenderà a definirlo il nuovo Hitler e che Bush si renda protagonista di un ennnesimo discorso sulla libertà e la democrazia minacciate dalla libertà e dalla democrazia.

Questo risentimento aumenta quando si parla dei boliviani. Mentre il Financial Times si agitava riguardo alle potenziali "cattiva amministrazione e corruzione", l'Economist avvisava che mentre il governo di Morales "si arricchisce, il suo popolo diventa sempre più povero". Il Times si lamentava che Morales avesse "fatto arretrare lo sviluppo della Bolivia di 10 anni o quasi... la salvezza economica non sarà più accessibile ai gruppi maggiormente vulnerabili". In realtà, si tratta di un grande imbroglio.

Lo scorso primo maggio, quattro giorni prima che Morales si appropriasse dei giacimenti di petrolio, in un paese ancora più povero ha avuto luogo un’“espropriazione” ancora più massiccia, quella avvenuta nella Repubblica africana del Chad. Quando il governo chadiano ha ristabilito il controllo sopra le proprie entrate petrolifere, non solo ha minato le basi della salvezza economica progettata per i poveri del paese, ma ha assecondato le richieste della Banca Mondiale di considerare il petrolio come un programma di welfare ormai naufragato. E come hanno risposto in questo caso i detrattori di Morales? Non hanno risposto per niente. Questa volta la tribù ipocritica si è voltata dall'altra parte.

Nel 2000, dopo la promessa del governo di Idriss Deby – che vanta un record di diritti umani violati terrificante – di impiegare i profitti petroliferi a beneficio del suo popolo, la Banca Mondiale decise di predisporre un solido programma in merito. L’amministrazione Deby promulgò una legge che assegnava l’85% delle entrate sul petrolio del governo all’istruzione, alla salute e allo sviluppo, e destinava il 10% “ai finanziamenti per le generazioni future”. Questo, affermò la Banca, corrispondeva a “un nuovo sistema di tutela per assicurare l’utilizzo di queste entrate a favore dello sviluppo economico del Chad”.

Senza la Banca Mondiale, alla quale fu chiesto di partecipare dal socio leader del progetto Exxon per assicurarsi contro eventuali rischi politici, la proposta non sarebbe decollata. Così, la stessa Banca Mondiale versò un totale di 333 milioni di dollari, la Banca Europea per gli Investimenti ne donò 120; in seguito le compagnie petrolifere (Exxon, Petronas e Chevron) iniziarono a trapanare 300 pozzi nel sud del paese, e a costruire un oleodotto fino a raggiungere un porto in Camerun, che aprì nel 2003.

Gli ambientalisti predissero che l’oleodotto avrebbe danneggiato le foreste pluviali camerunensi – compromettendone la sopravvivenza delle popolazioni indigene –, che le compagnie petrolifere avrebbero consumato molte delle già scarse risorse idriche del Chad e che molti addetti alla lavorazione del petrolio avrebbero contratto il virus dell’Aids. Sostennero anche che sussidiare le compagnie petrolifere in nome del benessere sociale era una reinterpretazione radicale del mandato della banca. Nel 1997, l’Environmental Defence Fund Usa affermò che il governo del Chad non avrebbe mantenuto la promessa di utilizzare i fondi per alleviare la povertà e nel 1999, alcuni ricercatori della Harvard Law School esaminarono la legge promossa dal governo chadiano e predisse che le autorità “non avrebbero avuto l’intenzione di permettere che il provvedimento si traducesse in azioni concrete”.

Nel 2000, le compagnie petrolifere donarono un “bonus firmato” di 4,5 milioni di dollari al Chad, che il governo non tardò a trasformare in armi; poi, all’inizio del 2006, semplicemente abrogò la legge che aveva fatto passare nel 1998. Ridefinì il budget di sviluppo per includervi la sicurezza, si appropriò del fondo per le generazioni future e spostò il 30% delle entrate totali nelle “spese generali” che, in Chad, equivalgono a un’altra espressione per definire le armi. La Banca Mondiale, a disagio per l’avverarsi delle predizioni avanzate dai suoi critici, bloccò le entrate che il governo aveva depositato a Londra e la rimanenza dei suoi prestiti; il governo chadiano rispose avvertendo che avrebbe tranquillamente chiuso i pozzi petroliferi. Le corporation corsero da papà (gli Usa) e, il 27 aprile, la banca è crollata: il suo nuovo accordo con il Chad consente a Deby di appropriarsi di tutto quello che è già suo.

I tentativi della Banca Mondiale di salvare la faccia sono perlopiù imbarazzanti: l’anno scorso, i suoi vertici affermarono che il piano in questione era “uno sforzo da pionieri, costruttivo… per dimostrare che i progetti del petrolio grezzo su larga-scala possono migliorare in maniera significativa le prospettive di uno sviluppo sostenibile a lungo-termine”; in altre parole, era un modello che i paesi produttori di petrolio dovevano seguire. Oggi invece sostiene che il progetto del Chad “non era un modello solo per i paesi produttori di petrolio, ma un’unica soluzione a un’unica sfida”. Comunque, per quanto sia molto evasiva, la Banca Mondiale non può nascondere il fatto che la riasserzione del controllo da parte del governo chadiano è un disastro sia per la banca stessa sia per la gente impoverita che avrebbe dovuto essere aiutata: infatti, da quando il progetto è partito, il Chad è caduto dalla 167esima alla 173esima posizione per quanto riguarda l’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, e l’aspettativa di vita è scesa dai 44,7 ai 43,6 anni. Se, al contrario, Morales mantenesse fede alle proprie promesse e impiegasse le entrate extra dei giacimenti di gas boliviani, così come ha fatto Hugo Chàvez con i proventi del petrolio venezuelano, il risultato sarebbe un miglioramento del benessere del suo popolo.

Così, da una parte, abbiamo un uomo che ha prestato fede ai propri impegni, riguadagnando il controllo del denaro dell’industria idrocarbonifera per destinarlo ai poveri; dall’altra ne abbiamo uno che invece la propria promessa l’ha infranta, uno che ha sì riguadagnato il controllo dei proventi energetici, ma li ha finalizzati all’acquisto di armi.

Il primo dei due è stato denigrato come irresponsabile, infantile e capriccioso; al secondo, invece, hanno permesso di andare avanti come se nulla fosse. Per quale motivo? Ecco, le azioni di Deby non danneggiano le compagnie petrolifere, quelle di Morales sì. Quando Blair, la Rice, il Times e tutti gli altri dicono “la gente”, sottintendono le multinazionali; la ragione per la quale odiano Morales è che, quando egli dice “la gente”, intende il popolo.

 

Sulla Bolivia di Evo Morales vedi 'Coca sì, cocaina no: un viaggio nella Bolivia di Evo Morales'.

 

 

Fonte: http://www.guardian.co.uk/Columnists/Column/0,,1775749,00.html
Tradotto da Barbara Redditi per Nuovi Mondi Media