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Cina alza muraglia verde. Brown: «Inutile»

di lanuovaecologia - 01/06/2006

Cina, il Fiume Giallo
Il Fiume Giallo
Una barriera di alberi lunga 5700 chilometri e un sistema di canali dovrebbero rallentare l'avanzata dei deserti cinesi. I dubbi dell'ecologista Lester Brown: «Serve cambiare modello di sviluppo» / Fiume Azzurro sempre più sporco
Gli ecologisti hanno lanciato l'allarme: il deserto avanza e in Cina si mangia ogni anno migliaia di chilometri quadrati di terreno. «Ci sono qui e là dei progetti pilota che funzionano ma complessivamente si sono fatti pochi passi avanti», afferma Lester Brown, autore di numerosi libri sull'ambiente e dirigente dell' Earth Policy Institute di Washington.

A Pechino per presentare il suo libro, "Piano B 2.0, Salvare un pianeta sfinito", Brown ha apertamente contraddetto gli esperti filogovernativi, che si stanno sforzando di dare credibilità ai piani ufficiali per la salvezza dell'ambiente. Zhu Lieke, vicedirettore dell' Ufficio Statale per le Foreste, sostiene per esempio che «il lavoro contro la desertificazione ha segnato dei grossi passi in avanti». Negli ultimi decenni del secolo scorso la crescita della popolazione e le modifiche
climatiche hanno portato ad un aumento delle aree desertiche o semi-desertiche, come la steppa della Mongolia Interna.

Al processo di desertificazione ha contribuito anche l'importazione in Cina di bestiame dall'Europa - come i bovini da macello delle razze Simmental e Frisone, abituate a mangiare di più di quelle cinesi. Infine, la siccità ormai cronica che da anni affligge vaste regioni della Cina settentrionale ha fatto il resto. Negli ultimi tre anni le tempeste di sabbia si sono intensificate fino a raggiungere la Corea ed il Giappone. Secondo Zhu, però, «il tasso di desertificazione ha rallentato e oggi è di tremila chilometri all'anno» contro una media annuale di diecimila chilometri negli anni precedenti.

La Cina sta costruendo, attraverso la semina, una "grande muraglia verde" di nuovi alberi che, secondo i piani, dovrebbe arrivare ad essere lunga 5.700 chilometri, costituendo una sorta di barriera intorno al deserto del Gobi, che occupa la sezione centrosettentrionale del paese. Un poco ottimistico studio dell'Onu, pubblicato l'anno scorso, afferma che da oggi al 2010 circa 50 milioni di cinesi potrebbero costretti ad abbandonare i loro paesi per sfuggire all'avanzata del deserto.

Il principale progetto destinato a contenere gli effetti della desertificazione si chiama South North Water Diversion. Partendo dalla considerazione che la parte meridionale, subtropicale del paese, ha un eccesso d'acqua mentre quella settentrionale soffre di una cronica aridità, l'idea è quella di trasportarla attraverso un gigantesco sistema di canali. Il progetto prevede la costruzione di tre gruppi di canali e di dighe che, partendo da diversi punti dello Yangtze (il fiume più lungo del paese, nel sud) convoglino le acque verso il nord. Una volta terminati i lavori (nel 2050, secondo le previsioni), la Cina avrà un enorme reticolato di corsi d'acqua nel quale i tre gruppi di canali - chiamati Eastern, Middle e Western Route – collegheranno tra di loro quattro grandi fiumi: faranno infatti parte di quest'unico sistema lo Yangtze, il Fiume Giallo (nel nord del paese), lo Huaihe (centro) e l'Haihe (nordest).

L'ecologista Lester Brown lo ritiene impraticabile: «È molto dubbio", dice, che possa funzionare. Brown pensa che la Cina dovrebbe partire da una più efficiente gestione delle risorse idriche esistenti. La soluzione, aggiunge, sta nella ricerca di un «modello di sviluppo» che non sia quello occidentale, basato «su carburante fossile, centrato sull'automobile e sull'economia dello spreco». «Non sta funzionando in Cina - ammonisce Brown - e se non funziona in Cina non funzionerà nemmeno in India e in altri paesi in via di sviluppo».