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Crisi libica: adesso chi paga?

di Gianni Petrosillo - 15/03/2011





I lettori di questo blog sanno che sulla questione libica abbiamo avuto la vista lunga sin dall’inizio. Chi aveva allestito il war game virtuale per spodestare il terribile dittatore, che appena qualche settimana prima veniva accolto a braccia aperte ovunque si recasse, non aveva fatto i conti con i reali rapporti di forza all’interno del Paese guidato dalla famiglia Gheddafi.

Le guerre on line, i conflitti costruiti via internet, conquistano la vista e la mente di chi, ipnotizzato dalle immagini, pensa di poter sostituire la realtà e la dura materialità della vita con lo spettacolo della democrazia narrata a puntate. Prima o poi il sipario cala sulla scena e gli spettatori devono uscire dal teatro o staccarsi dal video. Finita la trance visiva occorre fare i conti la prosaicità del mondo. Le truppe fedeli al Colonnello stanno riconquistando metro dopo metro ogni città finita in mano ai ribelli, i quali avevano potuto issare le loro bandiere solo perché non ostacolati da nessuno. Ora bastano quattro cannonate o la mera minaccia delle armi per farli ritirare e fuggire oltre confine. La Comunità internazionale che aveva scommesso sulla riuscita della rivolta dovrà adesso fare un passo indietro e dialogare col “despota”. Quest’ultimo diventerà di nuovo presentabile perché potrà comprarsi, col petrolio e la sua collocazione strategica nel mediterraneo, il rispetto di questi citrulli che fabbricano menzogne per gli altri ma poi finiscono per crederci essi stessi. Chi non ha denaro, mezzi e pace manca di tre buoni amici, diceva Shakespeare. Sono sufficienti i primi due per far unire il terzo alla "combriccola". In questo sequel cinematografico di “Via col vento dei popoli”, il cui finale è stato stravolto da Gheddafi con il disappunto degli sceneggiatori del programma, ci hanno rimesso la faccia i principali capi di Stato occidentali (da Obama a Sarkozy fino a Medvedev) che ora cercano di defilarsi lasciando la parola ai secondi. In una intervista al QN di ieri il Generale Clark, ex comandante in Kosovo, ha affermato esplicitamente che gli Usa non interverranno perché non ci sono interessi statunitensi da tutelare. Obama prende uno schiaffo in faccia dai suoi militari che evidentemente non vivono di retorica e di ideali come lui. il Presidente del Nobel alle intenzioni con questo manrovescio è costretto a scendere dal piedistallo dei semidei della politica e a ritornare tra i comuni mortali. Poi Clark sostiene giustamente che ad avere interessi diretti in Libia è l’Italia, lo Stato economicamente più esposto in quella zona. Il citato Generale si chiede come sia possibile che il Governo italiano abbia allora sposato acriticamente il linguaggio belligerante degli anglo-francesi - i quali, ma questo lo aggiungo io, avevano lo scopo comprensibile di rovesciare lo statu quo nell'area per sostituirsi a noi – ben sapendo che tutto andava a proprio svantaggio. Già, chissà come mai. Forse imperizia dei nostri servizi segreti e della diplomazia che non ha avuto il polso della situazione? Può essere. Ed allora è opportuno che qualche testa cada. Per esempio quella del Ministro degli Esteri Frattini il quale ha dimostrato di non saper fare il suo lavoro piegandosi sin da subito alle versioni fornite dai media ufficiali e dai nostri partners stranieri che, come detto, hanno soffiato sul fuoco di una inesistente rivoluzione libica per farci le scarpe. E pensare che siamo proprio noi italiani ad avere questo primato, quello di fare le calzature a mezzo mondo facendoci pagare pure a caro prezzo.