Sarkozy: "ebreo" o pro-israeliano?
di Claudio Moffa - 21/03/2011
Fonte: claudiomoffa
Qualche precisazione sul dibattito - emerso ai margini della mia nota - sul fattore sionismo nella guerra e in particolare, in chi l’ha scatenata, Sarkozy. Tutta la carriera del presidente francese, la cui elezione segna un tentativo di affossamento definitiva della tradizione gaullista, è stata costruita, dalla sua elezione a sindaco di Neuilly nel 1983 alla presidenza nel 2007, con il sostegno attivo e dichiarato della lobby sionista francese prima, e dell’AJC degli USA poi.
Bisogna distinguere. Sarkozy non è ebreo secondo l’Halakah-legge ebraica che àncora l’ebraicità alla discendenza da madre ebrea, e questo lo ha dichiarato lui stesso nel giugno 2008 in un discorso all’hotel King David di Gerusalemme: “Il giudaismo si trasmette per via femminile. Mio nonno era ebreo, ha sposato una cattolica e dunque io non sono ebreo”. Al di là della stranezza di fare un guazzabuglio illogico tra un dato anche (pretesamente) biologico e una dato squisitamente culturale (la cattolicità della madre) l’albero genealogico dichiarato dal presidente francese non corrisponde all’ortodossia ebraica: la madre cattolica discendeva da una famiglia ebrea di Salonicco, ma solo per parte paterna. Sia chiaro: sto ragionando secondo le parole stesse di Sarkozy e dunque secondo i criteri dell’Halakah, l’ebraismo collegato a un dato razziale biologico, che certo non condivido e vedo come il corrispettivo ebraico della tesi del tedesco Herder sulla “nazione” come (co)-determinata dal fattore “sangue”.
Del resto, e questa è una precisazione che riguarda anche il caso specifico, la questione dell’identità ebraica è un rompicapo che ha fatto scrivere fiumi di parole e di libri, e la cui complessità è a sua volta il prodotto (anche) della necessità per il sionismo di aumentare la propria base di massa (e elitaria: le persone che contano o cominciano a contare) attraverso eccezioni ripetute all’halakah, per cui ci si inventa ad esempio che a un cognome di città corrisponde un sicuro “ebreo”, o si estende in Israele la “legge del ritorno” anche ai figli di ebrei maschi, per far fronte alla crescita demografica araba. Da cui due interpretazioni opposte sul caso Sarkozy da parte dei suoi sostenitori o avversari: il “militante antirazzista Daniel Bleitrach” sostiene che “Sarkozy ama Israele, libero di farlo … Ma l’ama come il suo compare Bush e non perché ha un nonno materno ebreo, l’ama perché crede allo ‘scontro di civiltà’ perché ha bjsogno come capro espiatorio per portare avanti la sua politica”. Emile Malet, direttore della rivista della comunità ebraica francese Passages, ricorda a Sarkozy che Freud diceva di se stesso che “non aveva legami con la religione dei suoi padri” e pur tuttavia “quel che restava di ebreo in lui era essenziale”. Per il vicepresidente dell’Associazione Francia-Israele Georges Freche, “Sarkozy era ebreo”, essendo il nonno materno “ebreo (convertito al cattolicesimo)”. Chi ha ragione? E ad esempio è un’affermazione “antirazzista” quella di Bleitrach o non nasconde la tesi dell’ebraicità che si trasmette per via materna? Per caso il meno razzista dei tre è Malet?
Quali che siano le risposte, una cosa è certa: che da un punto di vista politico – dal punto di vista cioè qui cruciale e importante - Sarkozy ha fatto di Israele e della causa sionista il centro della sua carriera politica e della sua politica, in una catena di scambi, di favori, di promesse che cadenzano l’intensissimo lavorìo “diplomatico” della lobby francese sull’attuale presidente fin da quando, appena 28enne fu eletto sindaco di Neully. Ne parla a lungo il libro di Paul-Eric Blanrue, Sarkozy, Israel et les Juifs, Belgio 2009, dal quale traggo solo alcune di queste tappe: a Neuilly “il giovane sindaco strinse molto presto dei legami con le famiglie influenti e celebri, di cui sollecitava i doni e che elogiavano le sue prese di posizioni coraggiose” da lui esternate in occasione delle feste della comunità locale – Pesach, Purim, Kippur – che presenzia regolarmente, come fosse un ebreo. Tanto che lo stesso David Zouai, capo della sinagoga locale dirà che ““Il legame tra i Loubavitch di Neuilly (la corrente messianica maggioritaria nella cittadina) e Nicolas Sarkozy è molto forte”. Il sindaco fa così il grande salto, e nel 1993 diventa ministro degli interni. Zouai “ gli regala una scultura con le sette leggi di Noe’ ricevute da Mose’ e un libro di preghiere in francese in ebreo risalente a Napoleone III”, dicendogli: “ve l’offro a condizione che voi diveniate un giorno presidente”[1] . Vera o non vera la battuta, il dono di un libro di preghiere in ebraico e in francese è una via libera all’eccezione all’Halakah, all’ “invenzione” di un Sarkozy ebreo, un politico che non sgarra mai dalla sua fedeltà totale a Israele e al sionismo e che dunque va accompagnato fino alla Presidenza.
Sarkozy presenzia dunque la festa dell’Hannucah a Neuilly a partire dal 1995, anno nel quale “il ministro, circondato dai membri della comunità col loro cappello nero, dichiara: Invitandomi, voi mi onorate e mi testimoniate una amicizia che non cesserà mai”. In nome di questa amicizia il responsabile del Dicastero degli interni francese riceve nel 2003 il Premio Umanitario dal Centro Simon Wiesenthal e partecipa, a giugno, al festeggiamento di Israele a Versailles, 40 000 persone dalle quali, dopo aver dichiarato che “Israele è una grande democrazia, e questo è sufficiente per essere salutato e rispettato”, è “il più applaudito” fra gli oratori partecipanti. A novembre il ministro ripaga, attaccando frontalmente Tariq Ramadan, colpevole di aver accusato su France 2 gli intellettuali “communautaires” cioè legati alla comunità ebraica, di sostenere sempre “Israele come un sol uomo”. Bernard Henry Levy, accusando il filosofo svizzero-egiziano di “antisemitismo”, insorge, e Sarkozy si schiera con lui. Lo stesso farà nel 2008 sul caso Siné, il celebre vignettista francese che, benché difeso da Francois Reynaert de le Nouvel Observateur, venne accusato di antisemitismo.
Nel 2008 Sarkozy è ormai presidente. Per diventarlo ha dovuto compiere il salto dalla lobby francese a quella americana: i primi contatti con il potente American Jewish Commitee risalgono al 2003, nel pieno di una durissima campagna del Comitato in difesa di Israele che “in Europa – dichiarava il suo direttore esecutivo, David Harris - è ingiustamente “dipinta come un paese aggressore” che opprime i Palestinesi “oppressi” e “senza Stato”.
A queste accuse il Presidente Chirac – che ricordiamo, nel 2003 aveva tentato di opporsi alla guerra contro l’Iraq , e nel corso di una sua visita in Israele era stato duramente strattonato dal servizio d’ordine israeliano, tanto da reagire con stizza all’episodio - aveva cercato di replicare incontrando a New York, assieme a Simone Veil e altri autorevoli ebrei francesi (fra cui David de Rothschild), “i rappresentanti della comunità ebraica ebraica americana” di fronte ai quali aveva nettamente respinto le accuse di una Francia “antisemita”. Nel 2004 è a New York, di nuovo, Sarkozy – ministro, non Presidente - che incontra i dirigenti dell’AJC, con scambi reciproci di solidarietà e di omaggi.
Si dirà che sono parole, e che non per questo è da condividere il duro giudizio del CAPJIPO, Coordination des appels pour une paix juste auj Proche Orient, che vede in Sarkozy , dopo il suo viaggio negli USA, “un uomo che ormai dichiara pubblicamente di servire coscientemente gli interessi dell’AJC”. Ma non sono solo parole, sono anche fatti, e tessitura intensa di rapporti e di legami stretti reciprocamente costruiti, con intese che porteranno Sarkozy ad essere il prediletto della lobby francese nelle elezioni del 2007. Elezioni che vincerà col 53 per cento dei voti.
Ecco come commenterà la vittoria dell’ex sindaco di Neuilly, il già citato vicepresidente dell’Associazione Francia Israele George Freche, un ex deputato espulso dal PS per certi suoi “eccessi” verbali. Si noti nel suo discorso strampalato e come nota Blanrue “inesatto” lo spessore dello sguardo “storico”, certo solo accennato, nel pensare alla catena dei Presidenti e dei Primi ministri francesi solo alla luce della loro “ebraicità”, vera o presunta, esistente o non esistente: una centralità ossessiva a sua volta combinata con un principio di trasversalità al di sopra delle nostrane divisioni tra destra e sinistra, che è anch’essa una caratteristica permanente del sionismo delle diaspore:
“Mi ricordo di essere andato a Tiberiade durante la guerra dei Sei giorni (1967!?) ed è là che mi sono fatto un amico, e vi dico chi è: Nicolas Sarkozy! E già, perché non stavamo dalla stessa parte, ma per Israele si è sempre dalla stessa parte! E mi sono rallegrato a vedere che per la prima volta la Francia aveva eletto a suffragio universale diretto un Ebreo presidente della Repubblica. Avevamo avuto Léon Blum e Mendès France Primi ministri, ma non si era mai avuto un Ebreo eletto a suffragio universale, è un grande successo! E inoltre con Kouchner ministro degli affari esteri, cosa volete di più? Allora vado a chiedere al mio amico Kouchner: “Quand’è che riconoscerai Gerusalemme capitale di Israele?” [2]
Questo è Sarkozy, non ebreo secondo l’Halakah, ma “inventato” tale per le proprie strategie di dominio dal sionismo oltranzista, che usa e inquina esso – e non i cosiddetti “antisemiti” che lo criticano - la religione ebraica di cui non è meccanica espressione, e i suoi simboli (vedi la foto sulla mia pagina fb).