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La funzione odierna dell'antimperialismo ideologico e della “lotta per la pace”

di Gennaro Scala - 24/03/2011





Ogni idea tolta dal contesto storico in cui nacque svolge una funzione diversa rispetto a quello per cui fu originariamente pensata. È il caso della lotta all'imperialismo diventata oggi un puro fantasma ideologico.

Lenin  introdusse con la teoria dell'“anello debole”, pur convinto di restare nell' “ortodossia”  marxista, una rivoluzione teorica nell'ambito del marxismo,  in quanto non erano più i paesi economicamente più sviluppati ad essere luogo primario della trasformazione rivoluzionaria, ma laddove il dominio “borghese” appariva meno saldo. Fu questa concezione a sostenere il proposito di imprimere un'“accelerazione” rivoluzionaria in Russia, contrariamente al volere della maggioranza dei marxisti del suo tempo, i quali si richiamavano pure, a loro volta, a quell'“ortodossia” secondo la quale  le rivoluzioni avrebbero dovuto scoppiare nei paesi avanzati. Inoltre, Lenin indicando l'Asia come “avanzata” e l'Europa come “arretrata” anticipava genialmente la cosiddetta decolonizzazione del XIX secolo, aprendo la strada a quei comunisti che ebbero un ruolo molto importante in questo movimento storico. L'immane massacro della prima guerra mondiale suscitò la diffusa aspirazione a porre fine a quel sistema di rapporti conflittuali internazionali relativo alla sfere di influenza coloniale, che i marxisti e non avevano denominato imperialismo. Lotta al capitalismo e lotta all'imperialismo si univano nella lotta ad un sistema che produceva tali orrori. L'imperialismo era l'“ultimo stadio” di un capitalismo ormai in putrefazione che si avviava ad essere sostituito dalla rivoluzione socialista mondiale che avrebbe posto fine al conflitto tra potenze. Il movimento comunista intendeva in tal modo farsi interprete del desiderio di pace e della reazione agli orrori della prima guerra mondiale.

Vista da una prospettiva storica successiva, la prima guerra mondiale fu una fase del passaggio dell'egemonia globale europea a guida inglese all'egemonia globale statunitense, una fase di transizione “multipolare” che vide guerre e trasformazioni rivoluzionarie. Dalla sua prospettiva storica, e poiché era convinto che il mondo si avviasse verso la fine del sistema di stati capitalistici, Lenin non poteva vedere il lato, per così dire, positivo del conflitto tra potenze, nonostante tale conflitto fosse stato in realtà la prima causa della rivoluzione sovietica, piuttosto che il conflitto sociale. Sebbene il concetto di anello debole introducesse una rivoluzione teorica nel marxismo, mai giunse a porre il conflitto fra le formazioni sociali particolari (per usare una terminologia leninista) tra i principali motori della trasformazione sociale (in questo articolo mi avvalgo delle importanti considerazioni in merito avanzate da Gianfranco La Grassa nel suo ultimo articolo Panorama teorico, disponibile sul sito conflitteestrategie.it).

Quando parliamo di conflittualità tra stati non le attribuiamo valenza né negativa, da correggere attraverso tante belle e inutili prediche morali, né positiva secondo un'ottica nazionalista. È questo un semplice fatto, una costante della storia, di cui conviene decisamente tenere conto per indirizzarla verso condizioni che riteniamo desiderabili. La conflittualità tra formazioni sociali particolari può condurre sia alla guerra, sia all'equilibrio di forze che è l'unica forma di pace autentica conosciutasi finora nella storia, a meno che non si ritenga desiderabile quel tipo di pace che deriva dalla supremazia schiacciante di uno dei contendenti, un tipo di pace che riposa sulla violenza, ed è costellata da tanti conflitti finalizzati al mantenimento di questa supremazia.

Il ruolo svolto del conflitto fra potenze apparve più chiaro durante la seconda guerra mondiale, con l'irrazionale tentativo della Germania di sostituirsi all'Inghilterra attraverso la sola forza militare (l'ideologia ultra-sciovinistica del nazismo fu una conseguenza di questa “decisione” primaria), obiettivo irrealistico per i limiti insuperabili della potenza tedesca e che finì per consegnare l'egemonia globale agli Stati Uniti, mentre invece si sarebbe dovuto puntare ad un'egemonia europea che facesse da contraltare alla incipiente potenza statunitense. L'abilità di Stalin, oltre naturalmente al ruolo primario della capacità di reazione della nazione sovietica (intesa come popolazione umana organizzata), nello sfruttare queste rivalità giocò un ruolo non indifferente  nell'evitare che l'Unione Sovietica venisse schiacciata dalla potenza militare tedesca.

Le vicende successive alla seconda guerra mondiale vedono il definitivo passaggio al dominio globale statunitense, basato di meno, rispetto al dominio inglese, sull'occupazione militare diretta, ma sul controllo indiretto degli stati, poggiato però sempre sulla forza, grazie ad un sistema di basi dislocato in tutto il mondo che rendesse concreta la minaccia terroristica ultima di distruzione attraverso i bombardamenti aerei. Mentre l'Unione Sovietica svolgeva da contenimento dello strapotere statunitense, dando così vita all'assetto “bipolare” del dopoguerra.

Nel contesto del mondo bipolare vanno inquadrate le vicende del rapporto fra Italia e Libia. Gli Stati Uniti, all'epoca ancora capaci di esercitare una funzione egemonica, in funzione di un assetto stabile del proprio sistema di alleanze necessitato dalla presenza dell'Unione Sovietica, in realtà non ostacolarono il desiderio dell'Italia di forme stabili di approvigionamento energetico, vitale per lo sviluppo economico italiano, per questo va criticato l”imperialismo e l'antiamericanismo facili”, come scrive Claudio Moffa,  il quale ritiene che i nemici di Mattei non erano principalmente le “Sette sorelle”, con le quali era in via di raggiungere un accordo, ma principalmente Israele, in qualità di maggior avversario della sua politica filoaraba. Alla luce dei fatti attuali, poiché tutto ha una storia, forse bisognerebbe dire che avversari di Mattei furono Israele in combutta con i paesi europei che si sono sentiti maggiormente danneggiati dalla politica “filo-araba” di Mattei, il quale si era reso conto che l'era coloniale era finita, invertendo la rotta rispetto al colonialismo italiano che aveva scritto in Libia pagine particolarmente efferate, arrivando a decimare la popolazione. L'Eni di Mattei  perseguì una politica di accordo vantaggiosa per i paesi arabi e arrivò fino ad appoggiare i movimenti di liberazione arabi.

La Libia potè avvantaggiarsi delle rivalità europee riuscendo ad ottenere fra le migliori condizioni  offerte per lo sfruttamento dei suoi giacimenti di petrolio, i cui proventi hanno contribuito a renderla una delle nazioni con le migliori condizioni sociali del nord-africa, come attestano fonti ufficiali.

Un certo economicismo banale denuncia che questa è “tutta una guerra per il petrolio”, dimenticando che per il petrolio per i paesi detentori è una risorsa soltanto nella misura in cui la possono cedere. Quindi il problema non è l'“interesse” per il petrolio, cosa scontata, ma le condizioni a cui i detentori lo possono cedere, visto che non gli servirebbe a nulla tenerselo per sé, oltre la quantità necessaria al consumo interno. Astraendo completamente dagli “interessi” abbiamo l'antimperialismo ideologico, il quale si vorrebbe “marxista”, dimenticando che Marx irrideva le chiacchiere ideologiche, con immancabili risvolti moralistici, puntando invece decisamente sul ruolo degli interessi materiali. Un esempio di antimperialismo ideologico è un recente articolo di Domenico Losurdo, pubblicato sul suo blog, dal titolo Una nuova operazione coloniale contro la Libia. Fra le tante affermazioni astrattamente condivisibili, non c'è nessun cenno agli importantissimi accordi sul piano energetico e commerciale fra l'Italia e la Libia, motivo per cui ci sono importanti settori sociali in Italia che sono realmente contro questa guerra, in quanto ritenuta dannosa, e non in senso puramente ideologico e immaginario, valido per fare qualche passeggiata in piazza a “manifestarsi”. Parlare oggi semplicemente di lotta contro l'imperialismo riguardo alle vicende della Libia ignorando la lezione della storia riguardo all'importanza del conflitto fra gli interessi fra diverse potenze, riassunto nel concetto di multipolarismo, vuol dire spostare il discorso su di un innocuo piano astrattamente ideologico. Invece, bisognerebbe denunciare ai quattro venti i gravissimi danni agli interessi italiani che derivano da questa guerra. Avere interessi economici in altri paesi di per sé non significa imperialismo, altrimenti si dovrebbe condannare ogni rapporto commerciale fra gli stati e propagandare l'autarchia di mussoliniana memoria. In taluni sinistrati di mente tali sciocchezze arrivano fino alla “denuncia” delle “basi economiche” dell'“imperialismo italiano” come se la guerra sia stata iniziativa italiana e non sia stata invece il frutto di  un'iniziativa altrui, a cui sicuramente si è reagito da parte italiana in modo indegno.

Losurdo indicava in un articolo comparso qualche mese fa in un Diliberto uno dei “ricostruttori” del partito comunista”, lo stesso che prima dell'intervento militare inneggiava ad un fantomatico “popolo libico”, e ora invece per non perdere completamente la faccia (e i voti dei pochi imbecilli che ancora gli credono) ha riscoperto la “pace”, cosa per lui molto facile perché a suo dire “non ha interessi da difendere in Libia” (a differenza di altri), ma siccome non credo a chi pretende di non “avere interessi” bisogna dedurne che gli interessi che difende sono altri. Dopo aver assaltato l'ambasciata libica a Roma, oggi in seguito l'intervento militare questi rancidi residui di quello che fu un grande movimento storico, vorrebbero di nuovo spacciarsi per paladini della pace, diffondendo un'innocua protesta contro la guerra, che sarà, come già accaduto varie volte, puntualmente disattesa una volta che si tratta di sanzionare con il voto parlamentare le decisioni prese dall'alto.

Basta! Il vostro tempo è scaduto.

Chi predica oggi la pace “senza se e senza ma”, si colloca dalla parte di quelle forze che favoriscono la perpetuazione di quelle condizioni che hanno visto l'aggressione ad un'ormai numerosa lista di paesi sovrani. La pace passa per il riequilibrio di forze e quindi attraverso il rafforzamento, politico e militare, di un fronte di stati che possa opporsi allo strapotere statunitense.

Ricordiamo il motto latino:

Si vis pacem, para bellum