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Come bloccare i "neocons" Sarkozy e Cameron: la proposta dell'Unione Africana

di Claudio Moffa - 26/03/2011

Fonte: claudiomoffa

 

“Se tornano i neocons”: uno dei primi miei articoli sulla guerra di Libia era titolato così. Ovviamente il riferimento non era alle persone specifiche della “disinvolta” think-tank che aveva circondato Bush jr dopo l’11 settembre, ma al metodo che essa adottava per imporre la sua strategia – lo “scontro di civiltà” con tutto il mondo islamico – a una Casa Bianca a sua volta accerchiata dai media lobbisti, fino a trascinare il Presidente USA in due disastrose guerre: l’Afghanistan, ancora sotto gli occhi di tutti, e l’Irak, migliaia di soldati americani morti a lesione degli stessi interessi USA, che con Saddam avevano avuto in passato buoni rapporti.  Questo metodo, rischioso per la pace mondiale, consisteva e consiste nella politica del fatto compiuto, imposto dal banditismo neocons nelle maglie di una Amministrazione nei fatti molto debole – terribilmente più debole che quella di Bush padre - e sempre con la scusa dell’ “emergenza umanitaria” e della “lotta al terrorismo”.

Oggi i neocons sono effettivamente tornati e sono due, alleati di ferro e espressione quasi diretta del più estremista oltranzismo occidentale, Israele: Sarkozy e Cameron. Francia e Inghilterra non vogliono affatto una soluzione pacifica della crisi. Vogliono semplicemente assassinare Gheddafi, e lavorare o all’annientamento di quella grande parte del popolo libico che sostiene il rais, o alla divisione del paese in due o forse tre regioni: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. La vecchia tripartizione della ex colonia italiana vigente alla vigilia dell’indipendenza del 1951 – quando la Libia era sotto il tallone britannico – e contro cui si batté con successo l’Italia di De Gasperi.

La linea di Berlusconi è diversa, per fortuna distante dalle ubriacature del monarco-bengasino Bersani, che vuole il deferimento di Gheddafi alla CPI (D’Alema, almeno tu, di’ qualcosa di sensato!). L’Italia lavora alla prospettiva di una Libia protesa verso la democrazia, e unitaria, che non comporti né divisioni del paese né la continuazione di stragi senza fine. Ma su questa strada ecco i neocons Sarkozy e Cameron: gli anglofrancesi hanno appena incassato la proposta vincente del Presidente del Consiglio italiano di un affidamento del comando alla NATO, ma già si infilano con determinazione nelle maglie di questo successo di Roma, per distruggerne le conseguenze possibili. In pratica scippano di nuovo il comando alla Nato e decidono di indire un vertice in cui Roma rischia –nel clima creato dai mass media lobbisti di tutto il mondo - di restare in minoranza. Perché Cameron ha sì ceduto a Berlusconi, ma è alleato strategico di Sarkozy,  con il quale ha condiviso fin dai primi giorni della crisi – attraverso le SAS – le manovre provocatorie per gettare la Libia nella tragedia della guerra civile in atto.

Teoricamente la via d’uscita corretta e legittima sarebbe una sola: affidare il comando non alla NATO – che è per statuto “parte” della “comunità internazionale” – ma al Consiglio di Sicurezza dell’ONU secondo quanto recita a chiare lettere l’articolo 42 del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Ma questa opzione, allo stato delle cose presente, è difficilissima se non impossibile: sotto la (non) guida di un segretario generale pressoché insistente, Ban Ki Moon, il CdS – con alle spalle tra le altre cose il dissenso ormai certo tra Putin e Medvedev senza il quale forse Mosca avrebbe potuto esercitare il suo diritto di veto (vedi la vicenda delle dimissioni dell’ambasciatore russo a Tripoli) - ha abdicato al suo stesso ruolo nel momento in cui ha delegato “gli stati membri” ad applicare la no fly zone, così permettendo l’intervento a briglia sciolta di Sarkozy e al seguito del presidente francese, degli altri “Volenterosi” della “coalizione”. 

Tutta la risoluzione 1973 è priva di fondamento giuridico e viola la Carta dell’ONU: è un pasticcio giuridico-internazionalista, in cui una violazione ne richiama un’altra: la “delega” agli Stati membri delle funzioni del CdS è a sua volta collegata alla no fly zone, che è a sua volta illegittima al di là di come viene applicata,  perché l’ONU può intervenire ai sensi dell’art. 2 e dello stesso Capitolo VII della Carta di San Francisco, solo in conflitti tra stati, e non in quelli interni agli Stati membri, che appartengono al loro “dominio riservato”. Ma questa è storia vecchia: la prima no fly zone (anch’essa illegale) risale al 1991, post-guerra d’Iraq, l’avvio – assieme alle concomitanti “autodecisioni” che intanto sbranavano la Jugoslavia – della crisi verticale del vecchio Diritto Internazionale sostanzialmente garantito dal bipolarismo Est-Ovest scomparso, appunto, a cavallo tra i decenni Ottanta e Novanta del secolo scorso.

Dunque, non resta che il “pragmatismo”: da questo punto di vista il vertice dell’Unione africana di ieri che si è concluso con l’accettazione nero su bianco da parte di Tripoli di un cessate il fuoco a tutto campo e di una road map verso la democratizzazione della Libia, è la sponda utile per controbattere le devastanti intenzioni dei due neocons europei e le incertezze perenni dell’Amministrazione USA. La Nato, come risulta dal suo sito, ha già rapporti di collaborazione con l’Unione Africana. Più nel male che nel bene? Sicuramente sarebbe un bene se qualcuno le facesse recepire in toto la proposta del vertice di Addis Abeba di ieri. Sarebbe un modo per avviare una strategia di recupero alla gestione della crisi libica, di tutto quel mondo “altro” rispetto a Londra e Parigi, che ha espresso apertamente il suo dissenso più o meno netto rispetto alla linea d’assalto Sarkozy: a cominciare forse – dentro la NATO – dalla Turchia di Erdogan, per continuare  con la Cina, la Russia stessa dopo la sbandata del non veto, la Germania, la Lega araba o almeno una sua parte consistente e l’Unione africana, un intero continente oggetto di attenzioni e fonte di grandi risorse commerciali e di investimento per l’Italia.

 

Claudio Moffa