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Gli automi dell'informazione

di Ignacio Ramonet - 18/04/2011



aggreganews

Identificare, in base ai termini immessi nei motori di ricerca, ciò che il pubblico vorrebbe leggere; e quindi arruolando masse di redattori per produrlo: questo il principio delle «fabbriche di contenuti» che si moltiplicano su Internet. Oggi più che mai, la corsa alla redditività induce i media a interrogarsi sul tipo di informazioni che il pubblico vorrebbe leggere. E lo fanno partendo da una constatazione: meno del 15% di quanto esce sui giornali incontra veramente l’interesse della maggioranza dei lettori. Esisterebbe quindi, a quanto sembra, un problema di corrispondenza tra domanda e offerta. A questo punto le domande sono due: quali informazioni si dovrebbero fornire, e in quali precisi momenti?

Questi interrogativi si pongono di fatto fin dalla nascita dei mass media; ma per la prima volta trovano una risposta attraverso Internet, grazie ad alcuni nuovi strumenti. Uno di questi è Google Trends, un servizio che offre la possibilità di «conoscere la frequenza con la quale un termine è stato digitato nel motore di ricerca Google, e di visualizzare i relativi dati articolati per regione e per lingua (1)».

Si può dunque sapere, in tempo reale e in ogni momento, quali sono i temi d’attualità che più interessano gli internauti. Partendo da queste informazioni, Google News ha messo a punto un servizio gratuito di aggregazione delle informazioni on line, che usa un procedimento automatizzato per presentare articoli tratti in continuazione da innumerevoli fonti del Web, e in particolare dagli altri media. (...)

Il grande pioniere di una nuova formula di «articoli su richiesta» è il sito americano Demand Media (www.demandmedia.com), creato nel 2006. Come si legge nel suo manifesto, i suoi iniziatori si sono dati la «missione» di «soddisfare la domanda mondiale di contenuti di valore commerciale». Di che tipo? Non ha importanza, poiché l’ambiziosissimo obiettivo dell’impresa è «creare contenuti che risolvano i problemi, rispondano agli interrogativi, consentano di risparmiare denaro, facciano guadagnare tempo e rendano felice la gente (2)».

Felicità mediatica! Quanto al modus operandi, è semplicissimo, come ci spiega un giornalista: «Per stabilire quali siano i temi da trattare, l’algoritmo di Demand Media rileva i termini più frequentemente cercati su Internet, le parole chiave più richieste dai pubblicitari e l’esistenza o meno su Internet di articoli inerenti; e quindi pone a confronto ciò che gli internauti chiedono di sapere con quanto gli inserzionisti sono disposti a pagare per comparire accanto ai temi più gettonati. Una volta ottenuta l’identificazione della domanda tramite l’algoritmo, i temi da trattare vengono messi on line su Demand Studio, la piattaforma dalla quale passano i 10.000 redattori e videasti freelance che riforniscono la società di articoli e video. Gli aspiranti collaboratori non devono far altro che iscriversi al sito Internet dello Studio e attendere gli ordinativi sui temi proposti, che a volte possono arrivare anche a 62.000 in un solo giorno. Le collaborazioni sono remunerate a cottimo: 10 dollari per ogni articolo, 20 per ogni video. (3)»

Con l’industrializzazione massiccia della produzione di contenuti on line, Demand Media ha dunque inventato l’info low cost. Tanto per fare un esempio, nel corso del secondo trimestre del 2010 i suoi 10.000 cottimisti hanno prodotto in media, tra testi scritti e video, quasi 6.000 contributi al giorno,! (...) Ovviamente, con un ritmo del genere, nessuno può aspettarsi un’informazione di qualità. Eppure questo sito è diventato ormai il maggiore fornitore di contenuti a You Tube, con un flusso di 10.000 - 20.000 video al mese, che a loro volta generano ogni giorno circa un milione e mezzo di pagine consultate… E per di più – fenomeno questo ancora raro nel campo dei media on line – Demand Media è in attivo, con un fatturato che nel 2009 era stimato tra 200 e 300 milioni di dollari. Nello stesso spirito, nel luglio 2010 Yahoo, uno dei portali più popolari del Web e grande rivale di Google, ha creato negli Stati Uniti il sito info The Upshot: anche in questo caso i temi non sono più stabiliti dai giornalisti, ma esclusivamente in base ai dati statistici delle ricerche degli internauti sulla rete Yahoo nel suo complesso, e in particolare sul sito Yahoo News (4).

Nel maggio 2010 Yahoo ha rilevato la Associated Content, una società americana specializza nella produzione di contenuti low cost su richiesta. «I suoi dipendenti fissi passano in rassegna ogni mese più di 50.000 articoli, immagini, video e registrazioni audio proposti da circa 380.000 collaboratori indipendenti, che producono contributi di ogni genere sui più diversi temi (5)».

Gli internauti desiderosi di scrivere e di far pubblicare i propri testi vengono incoraggiati dalla prospettiva di guadagnare oltre tutto anche un po’ di denaro, poiché Associated Content è una società fondata sull’idea «che chiunque fornisca informazioni istruttive, istruzioni, intrattenimento, critiche, editoriali e altro deve poter essere pagato e remunerato per la sua competenza (6)».

Si tratta, in qualche modo, di una «massificazione planetaria» del lavoro a cottimo. Queste piattaforme sono chiamate «content farms», (letteralmente «fattorie») o «fabbriche di contenuti». Ma chi compra queste informazioni «a tariffa ridotta»? «Le più diverse associazioni, siti Internet, riviste e gruppi editoriali, società desiderose di accrescere la propria clientela o il proprio bacino di utenza, e di conseguenza le vendite o gli introiti pubblicitari (7)».

A sua volta il gruppo americano Aol, uno dei pionieri di Internet, oggi separato dal gruppo Time Warner e in fase di estesa ristrutturazione, ha deciso di «riposizionarsi come impresa d’informazione (8)»; e a questo scopo ha acquistato, nel febbraio 2011, il quotidiano on line The Huffington Post. Nel 2010 Aol aveva lanciato una sua «fabbrica di contenuti», Seed.com, che accoglie articoli di giovani giornalisti alle prime armi e materiale letterario e fotografico sui temi più svariati (tempo libero, salute, sport, animali domestici, nuove tecnologie, economia e finanza, viaggi, politica), per diffonderli su numerosi siti specializzati (Daily Finance, Stylelist.com, Aol Travel, Moviefone, Wow.com, Aol Food ecc). Come spiega Saul Hansell, uno dei responsabili di Seed.com, ex reporter del New York Times, «si tratta semplicemente di riprendere il modello del giornalismo free lance, che esiste da sempre, rendendolo però molto più efficace (9)».

(...) Anche in Europa incominciano a sorgere «fabbriche di contenuti» di questo tipo. La piattaforma leader è Populis, di origine italiana, che rivendica più di 18 milioni di visitatori unici al mese e inalbera uno slogan non privo di presunzione: «Quando la creazione di contenuti incontra la scienza del Web». I suoi responsabili hanno costituito una banca dati di circa 16 milioni di temi che interessano sia gli internauti, sia gli eventuali inserzionisti, le cui pubblicità dovrebbe comparire accanto agli articoli. I testi non sono scritti da giornalisti professionisti, bensì da «redattori freelance», dilettanti appassionati di un tema specifico e in grado di scrivere correttamente, che il sito sollecita a candidarsi. Le remunerazioni variano da 5 a 150 euro per articolo, a seconda delle dimensioni e della qualità del testo. Anche in Francia stanno sorgendo siti che forniscono contenuti su richiesta (10).

Ad esempio Wikio, un portale europeo di indicizzazione dei flussi di informazione, seduce ogni mese circa 3 milioni di visitatori. Il suo sito, Les Export.com, presenta articoli soprattutto su argomenti di vita pratica (11), scelti in funzione delle tematiche plebiscitate dagli internauti. La sua ambizione è di proporre circa 100.000 articoli al mese, redatti da un esercito di blogger, contro una remunerazione fissa al momento dell’accettazione dell’articolo, più un’integrazione variabile in funzione dell’audience degli articoli, degli introiti pubblicitari e della competenza dell’autore. Dal canto suo la rivista canadese on line Suite 101, presente in Francia dal settembre 2009, (www.suite101.com) non retribuisce le collaborazioni, ma si limita a versare agli autori freelance una quota delle entrate pubblicitarie solo quando le inserzioni, pubblicate a prezzi vantaggiosissimi e diffuse insieme agli articoli, sono «cliccate» dagli internauti. Di fatto però, nel 2010 un’inchiesta americana sull’economia on line ha dimostrato che il 79% di chi legge le informazioni sul web non clicca mai, o quasi mai gli inserti pubblicitari (12).

I gruppi editoriali tradizionali, ansiosi di «ridurre i costi» a spese dei giornalisti, incominciano a interessarsi a questi nuovi metodi di produzione «partecipativa» di contenuti. Ad esempio il gruppo tedesco Hubert Burda Media, proprietario di 186 riviste diffuse in una decina di paesi, ha acquistato una quota del 35-40% del capitale del sito Suite 101.

C’è da chiedersi se le «fabbriche di info» possano entrare in concorrenza con i media classici dell’informazione o con i siti «on line» affidati a giornalisti professionisti. La maggior parte dei titolari di queste «info farms» non lo credono, negando ogni intenzione di inserirsi nella la filiera dei siti d’attualità, che peraltro a loro avviso è ormai satura; inoltre affermano di proporre soprattutto articoli (brevi, facili, consensuali) che riguardano la vita pratica e aiutano i lettori «a vivere meglio nel quotidiano» grazie a consigli del tipo self help e raccomandazioni in materia di salute, denaro, lavoro, tempo libero o viaggi… Questi siti di contenuti low cost puntano su un’«economia del clic», cercando soprattutto di ottenere alti livelli di audience per poter vendere pubblicità a bassissimo costo. Peraltro il fondatore e presidente di Populis, Luca Ansani, ritiene che il suo sito possa rivelarsi complementare: «Su Internet, il 20- 25% dell’informazione consumata ha origine dai media tradizionali; il 60- 65% è frutto di ricerche, mentre il 15% proviene da contenuti condivisi attraverso le reti sociali. Noi cerchiamo di coprire queste tre aree e di dare risposte adeguate (13)».

Ma con la crisi dei media, vari siti gratuiti di informazione on line osservano con attenzione il successo delle «fabbriche di contenuti» (...), che hanno persino destato l’interesse di alcuni giornali di riferimento. Nel luglio 2010 il gruppo americano The Washington Post Company, editore del celebre quotidiano omonimo, ha acquistato iCurrent, una start up che invita gli utenti del web a consultare «un giornale commisurato ai loro centri d’interesse», concepito automaticamente attraverso l’aggregazione dei contenuti di 27.000 siti di stampa e blog proposti all’internauta, che ha anche la possibilità di affinare questo materiale (14). Una prospettiva che spaventa Bill Keller, direttore del New York Times: «Non abbandonerò il destino dell’informazione nelle mani di Google (15)».

Note:
* Ex direttore di Le Monde diplomatique. Il testo di quest’articolo è tratto dal suo libro L’Explosion du journalisme. Des médias de masse à la masse de médias, Galilée, Parigi, in libreria dal 3 marzo 2011.
(1) Articolo «Google Trends» da Wikipedia, consultata il 10 febbraio 2011.
(2) «Our Manifesto», www.demandmedia.com/
(3) Caroline Boudet, «Demand Media, l’usine à infos du Web», Les Echos, Parigi, 23 novembre 2009.
(4) Cfr. Cécile Ducourtieux e Xavier Ternisien, «Quand les internautes dictent l’actualité», Le Monde, 13 luglio 2010
(5) Agence France-Presse, 18 maggio 2010.
(6) L’Expansion.com, 19 maggio 2010.
(7) «Fermes de contenus: business plan et métriques», dicembre 2010, www.tubbydev.com
(8) L’Expansion.com, 17 marzo 2010.
(9) Ibid.
(10) Nicolas Rauline, «Les “fermes de contenus” à la demande se lancent à la conquête du marché français», Les Echos, 21 dicembre 2010.
(11) Esempi di temi: «Come superare con successo un colloquio di assunzione?», «Come vendere il proprio appartamento?», «Quale shampoo per i capelli grassi?», «Dove acquistare garofani a buon prezzo?».
(12) Le Monde, 20 marzo 2010.
(13) Nicolas Rauline, art. cit.
(14) Marie-Catherine Beuth, «Les nouvelles “ficelles” des sites d’infos américains», 18 luglio 2010, www.lefigaro.fr
(15) «Yo no dejaría el destino de las noticias en manos de Google», El País, Madrid, 25 luglio 2010 (Traduzione di E.H.)

Fonte: Le Monde Diplomatique