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Prima della tempesta

di Giulietto Chiesa - 08/06/2006



Per diversi anni, oltre un decennio, ci siamo dimenticati dell'atomica. Quasi totalmente, come se il problema non esistesse piú, come se fosse stato risolto, da qualche parte, da qualcuno, in qualche modo. Se ne sono dimenticati i grandi media ed è quello che conta perché tutti se ne dimentichino. La Grande Fabbrica dei Sogni e della Menzogna ( GFSM ) funziona splendidamente sia per farci credere che le cose stanno in un certo modo - mentre stanno nel modo opposto o comunque in un modo diverso -, che per togliere dalla nostra vista informazioni, immagini, idee che potrebbero turbare il flusso normale degli acquisti. Non fosse stato per la Corea del Nord, prima, e per l'Iran, poi, avremmo potuto continuare a cullarci nell'illusione che di bombe atomiche non era piú il caso di parlare. E invece scopriamo ora, con qualche raccapriccio, che il problema delle armi nucleari, della loro proliferazione, del loro uso eventuale, anzi possibile, anzi probabile, è drammaticamente sul tappeto. Mentre noi sognavamo d'altro, sono entrati nel club nucleare il Pakistan e l'India. C'era già arrivato da tempo Israele, altri ci stanno attivamente pensando. Poi Kim Jong Il ha giocato la sua carta nucleare, magari per scambiarla con qualche rifornimento alimentare. Ma, alla fine, Kim è stato riconosciuto troppo debole per rappresentare un pericolo. Non lo si ritiene tale nemmeno con tre o quattro testate nucleari, nemmeno se dotato di missili a media gittata per portarle a destinazione nei paraggi del Giappone. In ogni caso, quando l'Impero deciderà, non sarà difficile demolire le sue ambizioni.

Nemmeno Teheran sarebbe stata notata, nei suoi sforzi nucleari, se a guidare l'Iran ci fossero stati gli eredi di Reza Pahlevi (cioè se l'Iran fosse stato amico dell'Occidente). In quella ipotesi è probabile che noi non avremmo saputo niente o quasi dei suoi progetti di costruzione di armi nucleari. Com'è accaduto all'India, divenuta amica degli Stati Uniti, i suoi missili e le sue testate sarebbero state incluse nell'elenco del nucleare "buono", e le sue armi di distruzione di massa sarebbero state catalogate tra quelle di cui non c'era da temere, in quanto destinate alla distruzione di masse "altrui", per esempio pakistane (che, per definizione, sono meno importanti delle masse americane o europee). Invece l'Iran era già entrato da tempo nell'elenco degli "stati canaglia", protettori del terrorismo internazionale, e ora noi vediamo costruirsi, giorno dopo giorno, i preparativi di guerra degli Stati Uniti e di Israele, per impedire che l'Iran possa un giorno dotarsi di armi atomiche. Si potrebbe trattare di un incidente di percorso per Washington, che, come vedremo tra poco, ha altri progetti. Ma potrebbe essere, al contrario, la ghiotta occasione per rilanciare la guerra su vasta scala di cui l'attuale Amministrazione degli Stati Uniti ha urgente bisogno: non solo per far dimenticare il clamoroso fallimento dell'aggressione contro l'Iraq, ma anche, e soprattutto, per oscurare l'orizzonte in cui si delinea una delle piú grandi crisi dell'economia capitalistica mondiale di tutti i tempi. Non c'è niente di meglio che una guerra, specie se di vasta portata, per distrarre le menti affaccendate degli investitori internazionali. Che non chiedono di meglio che continuare a sognare, anche loro, poveretti, abbacinati dall'idea immortale dello sviluppo indefinito, della crescita senza limiti, degli asintoti matematici che si trasformano in realtà. Un'America malata è esattamente quello che vuole sentirsi dire, e non potrebbe sperare di piú.

da "Prima della tempesta" di Giulietto Chiesa, edizioni Nottetempo