Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Che ci facciamo in questo posto?

Che ci facciamo in questo posto?

di redazione - 08/06/2006

 
 



La sgradevole realtà della nostra «missione di pace»
La trappola Nassiriya I soldati italiani, nella città da sempre patria di movimenti eversivi, dal Pc all'estremismo sciita, vittime dell'incompatibilità tra «missione di pace» e occupazione americana
Stefano Chiarini
La provincia di Nassiriya, più volte definita «tranquilla» dal governo italiano, non è nuova a trasformarsi improvvisamente in una trappola mortale per le forze militari occupanti, come ben sanno gli inglesi che durante la prima guerra mondiale e la rivolta delle popolazioni irachene contro il mandato, negli anni venti, persero nel sud dell'Iraq oltre 100.000 soldati. E Nassiriya si è rivelata una trappola anche per i nostri militari e civili. La favola di una «missione di pace» italiana in Mesopotamia non è durata che pochi mesi. L'operazione «Antica Babilonia», partita nel luglio del 2003, già nel novembre dello stesso anno - con l'attacco alla base dei carabinieri nel cuore della città e l'uccisione di 19 nostri connazionali - ha rivelato quali potessero essere le drammatiche conseguenze dell'ambiguità del mandato ricevuto e la sua contradditorietà con la situazione di guerriglia-controguerriglia che si era determinata sul terreno.
Mentre le truppe di occupazione americane procedevano a realizzare quel progetto di «distruzione creativa» dell'Iraq - lasciando campo libero ai saccheggi, sciogliendo l'esercito e la polizia, basando le nuove istituzioni su criteri etnico-confessionali che non potevano non portare ad una sorta di guerra civile permanente, emarginando la comunità sunnita, minoritaria ma ossatura dello stato iracheno dalla sua fondazione - alle truppe italiane veniva ordinato di «concorrere ... a garantire le condizioni di sicurezza e stabilità... necessarie a consentire l'afflusso e la distribuzione degli aiuti umanitari e ...attività di intervento più urgenti per il ripristino delle infrastrutture e dei servizi essenziali». Quasi che la «sicurezza» a Nassiriya potesse prescindere dalla situazione di caos provocato dalle decisioni dell'amministrazione provvisoria Usa che invece puntava con chiarezza non ad una stabilizzazione ma al dispiegarsi di un «caos creativo» nel quale potesse nascere un Iraq non più nazionalista arabo ma rimodellato ad immagine e somiglianza del sogno «neocon», pro-Usa e pro-Israele. Un Iraq per il quale gli occupanti avevano già preparato la nuova bandiera che avrebbe dovuto sventolare alle olimpiadi di Atene: una bandiera senza i colori propri dei vessilli del mondo arabo - il nero, il verde, il rosso - ispirata apertamente a quella israeliana, bianca e azzurra con al centro una mezzaluna araba. Gli effetti di un tale folle sconquasso - aggravatosi con l'imposizione di una costituzione che favoriva la divisione del paese in tre entità etnico-confessionali - non poteva che suscitare una sempre maggiore resistenza da parte degli iracheni, sunniti in particolare, e lasciare campo libero ad una feroce lotta per il potere tra i partiti etnici e confessionali curdi e sciiti ai quali gli occupanti avevano consegnato il monopolio della vita politica. Movimenti tellurici questi che non potevano non estendersi anche alla stessa Nassiriya. Una città che da sempre è stata profondamente gelosa della sua autonomia e della sua indipendenza e assai consapevole sia della sua posizione strategica che delle enormi risorse petrolifere che si trovano nelle vicinanze. Nassiriya, mollemente adagiata sull'Eufrate, a circa 350 chilometri a sud di Baghdad, vicina all'antica Ur, patria di Abramo, è una città relativamente moderna creata verso la fine dell'ottocento dall'impero ottomano proprio nella speranza di controllare le sempre ribelli tribù della zona e a tal fine venne intitolata allo Sheykh Nasin al Saadoun, sceicco della Confederazione tribale di al Muntafik, la più importante dell'area. In questo secolo la città è stata a lungo uno dei più importanti centri di resistenza contro l'occupazione britannica e successivamente contro i governi centrali di Baghdad e uno dei più importanti laboratori politici dell'Iraq. Centro di grande fermenti culturali nel corso degli anni cinquanta e sessanta Nassiriya fu uno dei caposaldi del Partito comunista che aveva visto qui i suoi primi passi negli anni venti. I giovani, soprattutto sciiti, esprimevano in tal modo la loro rivolta nei confronti dei regimi feudali di proprietà della terra caratterizzati da grandi latifondi, spesso nelle mani delle stesse autorità religiose sciite su posizioni nettamente oscurantiste e conservatrici, e spesso aizzate proprio dagli ambasciatori inglesi che a lungo soffiarono sul fuoco dell'integralismo religioso contro il Partito Comunista prima e poi lo stesso Baath che avevano osato portare avanti la riforma agraria e, soprattutto, la nazionalizzazione del settore petrolifero.
Per guadagnarsi la fedeltà della città e dei suoi abitanti in maggioranza sciiti, il partito Baath negli anni settanta e ottanta investì massicciamente a Nassiriya in progetti di sviluppo industriale (fabbriche di alluminio e di cavi, raffinerie) e nei servizi sociali costruendo un nuova università e un moderno ospedale. Tutto cambiò con la fine della prima guerra del Golfo nel 1991 quando l'intera città si sollevò contro il governo centrale di Baghdad che dopo una durissima repressione avrebbe concentrato i suoi investimenti, già scarsi per l'embargo, nelle zone a lui più fedeli. I rivolgimenti bellici ed economici, le distruzioni, la repressione, l'embargo hanno praticamente distrutto la vita culturale e politica e questo deserto è stato colmato da vari movimenti sciiti di ispirazione religiosa. Tra questi i più presenti sono quelli più radicali, composti in gran parte da giovani disoccupati o sotto-occupati, facenti riferimento a delle varianti locali del leader radicale Moqtada al Sadr e ad alcuni esponenti della resistenza nelle paludi contro il passato regime. Gli si contrappongono i gruppi religiosi più conservatori facenti riferimento all'ayatollah al Sistani e ad alcuni esponenti religiosi locali, alcuni dei quali in ottimi rapporti con gli occupanti. A dividere i due campi, spesso comunque uniti dal forte collante tribale, vi sono non solo i diversi riferimenti nazionali come gli «al Sadr», sciiti ma «prima di tutto iracheni», e gli al Hakim del Partito per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri), vicino a Tehran - favorito a Nassiriya dagli italiani in quanto «moderato» - ma anche fattori locali come lo scontro tra i giovani originari della città e gli esponenti politici venuti a Nassiriya sui carri armati degli occupanti per prendere in mano le redini dell'amministrazione e ingrassarsi con i soldi della ricostruzione.
Nonostante la sostituzione per due volte del governatore della città e l'elezione di un consiglio locale l'unica attività che prospera a Nassiriya è solo quella della corruzione e del nepotismo. Nulla di rilevante è stato fatto in questi tre anni. L'acqua continua ad essere un bene raro, le fogne sono quelle degli anni sessanta, l'elettricità scarseggia, le fabbriche sono chiuse, l'ospedale non funziona. Su questo sfondo il contingente italiano viene percepito dalla popolazione locale non solo come una forza di occupazione, ma anche come una realtà «inutile» e persino controproducente per il sostegno dato ai nuovi, corrotti e incapaci leader locali - a cominciare dal governatore Aziz al Ogheli. Non migliora certo l'immagine del nostro paese il fatto che tra i compiti del nostro contingente ci sia anche l'addestramento delle forze di sicurezza locali - a detta di molti abitanti per nulla rispettose dei più elementari diritti umani - e di portare avanti un limitatissimo programma di interventi «civili». Non poteva essere diversamente visto che oltre il 90% delle risorse stanziate dal parlamento sono andate a coprire i costi delle operazioni militari. La missione, sino ad oggi, è costata circa 1534 milioni di Euro pari a circa 3.000 miliardi di lire mentre gli aiuti consegnati alla popolazione locale si aggirerebbero attorno ai 16 milioni di euro. La missione «Antica Babilonia», negli ultimi mesi, con la costante diminuzione degli effettivi, con il rafforzarsi della resistenza e l'aggravarsi dello scontro tra i vari partiti sciiti ha ridotto ulteriormente la sua attività. Nassiriya è ormai chiusa alle nostre pattuglie che si muovono solamente lungo i grandi assi stradali come quello verso Baghdad a nord e il Kuwait al sud, e il contingente vive praticamente assediato nella base di Camp Mittica, in pieno deserto. E anche qui per nulla al sicuro. Il mese scorso sarebbero arrivati vicino agli alloggiamenti quattro missili che non sono esplosi. Ma solo perché privi di esplosivo.
Un messaggio di quanto ormai siamo indesiderati al pari di tutti gli altri eserciti occupanti.