I lager risorgimentali
di Stefania Maffeo - 12/06/2006
Fonte: centrostudifederici
Migliaia di soldati borbonici nei lager del Nord
Dopo la conquista del Sud, 5212 condanne a morte. 
Prigionieri e ribelli puniti con decreti e una legge del 1863
Cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi 
al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione 
consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia 
etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni 
meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti 
del 15 agosto 1863 "… per la repressione del brigantaggio nel 
Meridione” 1.
Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra 
per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di 
vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. 
Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e 
dall'emigrazione forzata, nell'inesorabile comandamento di destino: "O 
briganti, o emigranti".
Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: "… 
genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una 
nazione…esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni 
miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi 
nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione 
delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei 
sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi 
nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, 
della salute, della dignità e persino delle vite degli individui…non a 
causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo 
nazionale". 
Deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa 
cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, 
perfino bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari. 
Una pagina non ancora scritta è quella relativa alle carceri in cui 
furono rinchiusi i soldati "vinti". Il governo piemontese dovette 
affrontare il problema dei prigionieri, 1700 ufficiali dell'esercito 
borbonico (su un giornale satirico dell'epoca era rappresentata la 
caricatura dell'esercito borbonico: il soldato con la testa di leone, 
l'ufficiale con la testa d'asino, il generale senza testa) e 24.000 
soldati, senza contare quelli che ancora resistevano nelle fortezze di 
Gaeta, Messina e Civitella del Tronto. 
Ma il problema fu risolto con la boria del vincitore, non con la 
pietas che sarebbe stata più utile, forse necessaria. Un primo 
tentativo di risolvere il problema ci fu con il decreto del 20 dicembre 
1860, anche se le prime deportazioni dei soldati duosiciliani 
incominciarono già verso ottobre del 1860, in quanto la resistenza 
duosiciliana era iniziata con episodi isolati e non coordinati 
nell'agosto del 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini e dalla stampa fu 
presentata come espressione di criminalità comune. Il decreto chiamava 
alle armi gli uomini che sarebbero stati di leva negli anni dal 1857 al 
1860 nell'esercito delle Due Sicilie, ma si rivelò un fallimento. Si 
presentarono solo 20.000 uomini sui previsti 72.000; gli altri si 
diedero alla macchia e furono chiamati "briganti". 
A migliaia questi uomini furono concentrati dei depositi di Napoli o 
nelle carceri, poi trasferiti con il decreto del 20 gennaio 1861, che 
istituì "Depositi d'uffiziali d'ogni arma dello sciolto esercito delle 
Due Sicilie". 
La Marmora ordinò ai procuratori di "non porre in 
libertà nessuno dei detenuti senza l'assenso dell'esercito". 
Per la 
maggior parte furono stipati nelle navi peggio degli animali (anche se 
molti percorsero a piedi l'intero tragitto) e fatti sbarcare a Genova, 
da dove, attraversando laceri ed affamati la via Assarotti, venivano 
smistati in vari campi di concentramento istituiti a Fenestrelle, S. 
Maurizio Canavese, Alessandria, nel forte di S. Benigno in Genova, 
Milano, Bergamo, Forte di Priamar presso Savona, Parma, Modena, 
Bologna, Ascoli Piceno ed altre località del Nord.
Presso il Forte di Priamar fu relegato l'aiutante maggiore Giuseppe 
Santomartino, che difendeva la fortezza di Civitella del Tronto. Alla 
caduta del baluardo abruzzese, Santomartino fu processato dai 
(vincitori) Piemontesi e condannato a morte. In seguito alle pressioni 
dei francesi la condanna fu commutata in 24 anni di carcere da scontare 
nel forte presso Savona. Poco dopo il suo arrivo, una notte, fu trovato 
morto, lasciando moglie e cinque figli. Si disse che aveva tentato di 
fuggire. Un esempio di morte sospetta su cui non fu mai aperta 
un'inchiesta per accertare le vere cause del decesso. 
In quei luoghi, veri e propri lager, ma istituiti per un trattamento 
di "correzione ed idoneità al servizio", i prigionieri, appena coperti 
da cenci di tela, potevano mangiare una sozza brodaglia con un po' di 
pane nero raffermo, subendo dei trattamenti veramente bestiali, ogni 
tipo di nefandezze fisiche e morali. Per oltre dieci anni, tutti quelli 
che venivano catturati, oltre 40.000, furono fatti deliberatamente 
morire a migliaia per fame, stenti, maltrattamenti e malattie.
Quelli deportati a Fenestrelle 2, fortezza situata a quasi duemila 
metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del 
Chisone, ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari 
borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio 
nell'esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente 
fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai 
piemontesi) subirono il trattamento più feroce.
Fenestrelle più che un forte, era un insieme di forti, protetti da 
altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella roccia, di 4000 
gradini. Era una ciclopica cortina bastionata cui la naturale asperità 
dei luoghi ed il rigore del clima conferivano un aspetto sinistro. 
Faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. I detenuti 
tentarono anche di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per 
impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo 
ebbe come risultato l'inasprimento delle pene con i più costretti con 
palle al piede da 16 chili, ceppi e catene. 
Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri 
popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza 
luce. Un carcerato venne ucciso da una sentinella solo perché aveva 
proferito ingiurie contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli 
infissi per rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti 
era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo 
disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando 
forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei. 
Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero 
accusati ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per 
cui erano stati catturati era proprio solo per rubare loro il danaro 
che possedevano. Molti non erano nemmeno registrati, sicché solo dopo 
molti anni venivano processati e condannati senza alcuna spiegazione 
logica.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni, 
anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun 
riparo, non superava i tre mesi. E proprio a Fenestrelle furono 
vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, in 
esecuzione degli accordi intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano 
invece essere lasciati liberi alla fine delle ostilità. 
Dopo sei mesi 
di eroica resistenza dovettero subire un trattamento infame che 
incominciò subito dopo essere stati disarmati, venendo derubati di 
tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi. 
La 
liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in 
uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in 
una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva 
all'ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza 
lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti 
compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora 
visibile l'iscrizione: "Ognuno vale non in quanto è ma in quanto 
produce".
Non era più gradevole il campo impiantato nelle "lande di San Martino" 
presso Torino per la "rieducazione" dei militari sbandati, rieducazione 
che procedeva con metodi di inaudita crudeltà. Così, in questi luoghi 
terribili, i fratelli "liberati", maceri, cenciosi, affamati, 
affaticati, venivano rieducati e tormentati dai fratelli "liberatori".
Altre migliaia di "liberati" venivano confinati nelle isole, a 
Gorgonia, Capraia, Giglio, all'Elba, Ponza, in Sardegna, nella Maremma 
malarica. Tutte le atrocità che si susseguirono per anni sono 
documentate negli Atti Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni 
d'Inchiesta sul Brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell'epoca 
e negli Archivi di Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti. 
Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni, sosteneva in Parlamento: 
"Ma che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti 
vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che 
nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle 
fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del Piemonte…Sono 
essi trattati peggio che i galeotti. Perché il governo piemontese abbia 
a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? Perché abbia a torturare con la 
fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?". 
Ma della mozione presentata non fu autorizzata la pubblicazione negli 
Atti Parlamentari, vietandosene la discussione in aula 3. Il generale 
Enrico Della Rocca, che condusse l'assedio di Gaeta, nella sua 
autobiografia riporta una lettera alla moglie, in cui dice: 
"Partiranno, soldati ed ufficiali, per Napoli e Torino...", precisando, 
a proposito della resa di Capua, "...le truppe furono avviate a piedi a 
Napoli per essere trasportate in uno dei porti di S.M. il Re di 
Sardegna. Erano 11.500 uomini"4. 
Alfredo Comandini, deputato mazziniano dell'età giolittiana, che 
compilò "L'Italia nei Cento Anni (1801-1900) del secolo XIX giorno per 
giorno illustrata", riporta un'incisione del 1861, ripresa da "Mondo 
Illustrato" di quell'anno, raffigurante dei soldati borbonici detenuti 
nel campo di concentramento di S. Maurizio, una località sita a 25 
chilometri da Torino. Egli annota che, nel settembre del 1861, quando 
il campo fu visitato dai ministri Bastogi e Ricasoli, erano detenuti 
3.000 soldati delle Due Sicilie e nel mese successivo erano arrivati a 
12.447 uomini.
Il 18 ottobre 1861 alcuni prigionieri militari e civili capitolati a 
Gaeta e prigionieri a Ponza scrissero a Biagio Cognetti, direttore di 
"Stampa Meridionale", per denunciare lo stato di detenzione in cui 
versavano, in palese violazione della Capitolazione, che prevedeva il 
ritorno alle famiglie dei prigionieri dopo 15 giorni dalla caduta di 
Messina e Civitella del Tronto ed erano già trascorsi 8 mesi. Il 19 
novembre 1861 il generale Manfredo Fanti inviava un dispaccio al Conte 
di Cavour chiedendo di noleggiare all'estero dei vapori per trasportare 
a Genova 40.000 prigionieri di guerra. Cavour così scriveva al 
luogotenente Farini due giorni dopo: "Ho pregato La Marmora di visitare 
lui stesso i prigionieri napoletani che sono a Milano", ammettendo, in 
tal modo, l'esistenza di un altro campo di prigionia situato nel 
capoluogo lombardo per ospitare soldati napoletani. 
Questa la risposta del La Marmora: "…non ti devo lasciar ignorare che 
i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1600 che si 
trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che acconsentono a 
prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna e di verminia…e quel che 
è più dimostrano avversione a prendere da noi servizio. Jeri a taluni 
che con arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa perché 
non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a 
Francesco Secondo, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano 
scappati, e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano 
a servire, che erano un branco di car…che avessimo trovato modo di 
metterli alla ragione". 
Le atrocità commesse dai Piemontesi si volsero anche contro i 
magistrati, i dipendenti pubblici e le classi colte, che resistettero 
passivamente con l'astensione ai suffragi elettorali e la diffusione ad 
ogni livello della stampa legittimista clandestina contro l'occupazione 
savoiarda. Particolarmente eloquente è anche un brano tratto da Civiltà 
Cattolica: "Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già 
trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente 
crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti da 
cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con 
cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle 
gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri 
luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, 
come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi 
negri schiavi, a spasimare di fame e di stento per le ghiacciaie". 
Ancora possiamo leggere dal diario del soldato borbonico Giuseppe 
Conforti, nato a Catanzaro il 14.3.1836 (abbreviato per amor di 
sintesi): "Nella mia uscita fu principio la guerra del 1860, dopo 
questa campagna che per aver tradimenti si sono perduto tutto e noi 
altri povere soldati manggiando erba dovettimo fuggire, aggiunti alla 
provincia della Basilicata sortí un prete nemico di Dio e del mondo con 
una porzione di quei giudei e ci voleva condicendo che meritavamo di 
essere uccisi per la federtà che avevamo portato allo notro patrone. Ci 
hanno portato innanzi a un carnefice Piemontesa condicendo perché aveva 
tardato tanto ad abbandonare quell'assassino di Borbone. Io li sono 
risposto che non poteva giammai abbandonarlo perché aveva giurato 
fedeltà a lui e lui mi à ditto che dovevo tornare indietro asservire 
sotto la Bandiera d' Italia. Il terzo giorno sono scappato, giunto a 
Girifarchio dove teneva mio fratello sacerdote vedendomi redutto a 
quello misero stato e dicendo mal del mio Re io li risposi che il mio 
Re no aveva colpa del nostri patimenti che sono stato le nostri 
soperiori traditori; siamo fatto questioni e lo sono lasciato". 
"Allo mio paese sono stato arrestato e dopo 7 mesi di scurre priggione 
mi anno fatto partire per il Piemonte. Il 15 gennaio del 1862 ci anno 
portato affare il giuramento, in quello stesso anno sono stato 3 volte 
all'ospidale e in pregiona a pane e accua. Principio del 1863 fuggito 
da sotto le armi di vittorio, il 24 sono giunto in Roma, il giorno 30 
sono andato alludienza del mio desiderato e amato dal Re', Francesco 2 
e li ò raccontato tutti i miei ragioni" 5.
Un ulteriore passo avanti nella studio di questa fase poco "chiara" 
del post unificazione è stato fatto recentemente, quando un ricercatore 
trovò dei documenti presso l'Archivio Storico del Ministero degli 
Esteri attestanti che, nel 1869, il governo italiano voleva acquistare 
un'isola dall'Argentina per relegarvi i soldati napoletani prigionieri, 
quindi dovevano essere ancora tanti 6. 
Questi uomini del Sud finirono 
i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso 
ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Molti di loro 
erano poco più che ragazzi 7. Era la politica della criminalizzazione 
del dissenso, il rifiuto di ammettere l'esistenza di valori diversi dai 
propri, il rifiuto di negare ai "liberati" di credere ancora nei valori 
in cui avevano creduto. I combattenti delle Due Sicilie, i soldati 
dell'ex esercito borbonico ed i tanti civili detenuti nei "lager dei 
Savoia", uomini in gran parte anonimi per la pallida memoria che ne è 
giunta fino a noi, vissero un eroismo fatto di gesti concreti, ed in 
molti casi ordinari, a cui non è estraneo chiunque sia capace di 
adempiere fedelmente il proprio compito fino in fondo, sapendo opporsi 
ai tentativi sovvertitori, con la libertà interiore di chi non si 
lascia asservire dallo "spirito del tempo".
NOTE
1 - Legge Pica: 
" Art.1: Fino al 31 dicembre nelle province infestate 
dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con decreto reale, i 
componenti comitiva, o banda armata composta almeno di tre persone, la 
quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere 
crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali 
militari; 
Art.2: I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata 
mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la 
fucilazione; 
Art.3: Sarà accordata a coloro che si sono già 
costituiti, o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese 
dalla pubblicazione della presente legge, la diminuzione da uno a tre 
gradi di pena; 
Art.4: Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare, 
per un tempo non maggiore di un anno, un domicilio coatto agli oziosi, 
ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice 
Penale, nonché ai manutengoli e camorristi; 
Art.5: In aumento 
dell'articolo 95 del bilancio approvato per 1863 è aperto al Ministero 
dell'Interno il credito di un milione di lire per sopperire alle spese 
di repressione del brigantaggio. (Fonte: Atti parlamentari. Camera dei 
Deputati) 
2 - Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perché già 
Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un 
illustre napoletano, Don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici 
fratelli realisti fucilati dalla Repubblica Partenopea il 13 giugno del 
1799, che vi aveva passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli 
alla venerabile età di 82 anni. 
3 - Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e 
briganti tra i Borbone ed i Savoia, Guida Editore, Napoli, 2000.
4 - Questa informazione e tutte le seguenti sono state reperite nei 
saggi "I campi di concentramento", di Francesco Maurizio Di Giovine, 
nella rivista L'Alfiere, Napoli, novembre 1993, pag. 11 e "A proposito 
del campo di concentramento di Fenestrelle", dello stesso autore, 
pubblicato su L'Alfiere, dicembre 2002, pag. 8.
5 - Fulvio Izzo, I Lager dei Savoia, Controcorrente, Napoli 1999.
6 - S. Grilli, Cayenna all'italiana, Il Giornale, 22 marzo 1997.
7 - Sul sito 
nomi, con data di nascita e provenienza di alcuni martiri di
Fenestrelle, nel periodo compreso tra il 1860 ed il 1865. Erano poco
più che ragazzi: il più giovane aveva 22 anni, il più vecchio 32.
(Fonte: http://www.cronologia.it/storia/a1863b.htm)

