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Dalla fandonia del genocidio nel Darfur all’iperfarsa dell' "emiro di al Qaida in Iraq

di Fulvio Grimaldi - 12/06/2006

 
 
La coazione a ripetere delle subalterne e “folkloristiche” sinistre italiane

 

Somalia e Darfur

“Sinistre folkloristiche”, così ha taffazzianamente definito i suoi alleati su Die Zeit un Prodi in versione Oktoberfest, probabilmente riferendosi più che altro al subcomandante et presidente della Camera Bertinotti e ai microrivoluzionari et sicofanti di Walter Veltroni. Pur dimentico del proprio, di lui, folklore un po’ passée, il nostro fluttuante premier si può dire che stavolta abbia ronaldinescamente centrato la palla, visto che il termine non può che riferirsi al riciclaggio in farsa di cose un tempo genuine.

Una delle più raccapriccianti manifestazioni di subalternità e dabbenaggine provincialotta (nei casi peggiori anche di consapevole complicità, vedi certi scrivani di “Liberazione”) delle sinistre italiane e dei loro media è la coazione a ripetere gli stereotipi bugiardi e fuorvianti di quella che si chiama propaganda, ma che gli statunitensi, in un soprassalto di onestà, chiamano guerra psicologica. Ed è dovuto solo alla disattenzione delle cancellerie e dei media, distratte da altre operazioni di obnubilazione (Iraq, Iran, Sudan, Siria), che dalla Somalia ci è potuta giungere notizia di un’autentica “primavera” (non la notte nera allestita dalla Cia e mascherata da stagione dei fiori in Ucraina, Georgia, Jugoslavia e Libano). La vittoria delle forze autenticamente popolari e autenticamente stufe (cui si è voluto porre rimedio istantaneamente con l’effetto propagandistico del “trionfo” su Al Qaida, pure detta presente in Somalia, grazie all’uccisione dell’ectoplasma Al Zarkawi) non ha potuto, nonostante gli sforzi del Dipartimento di Stato, essere degradata a manovra terroristica di Al Qaida.

Quelle forze, oggi rappresentate dalle cosiddette “corti islamiche”, sono eredi, islamizzati qui come altrove, della rivolta di massa che nel 1991 rovesciò, sotto la guida del generale Aidid, il fantoccio occidentale Siad Barre e di cui, primo inviato della Rai, potei conoscere dallo stesso leader il progetto di sovranità progressista ed antimperialista. Progetto che naturalmente provocò la rabbiosa e poi impantanata e sconfitta reazione del nascente fronte colonialista euro-statunitense. Aidid e la rinascita del paese furono bloccati e la Somalia venne lasciata in preda a un caos funzionale al traffico di droga e di quel combinato armi - rifiuti che, due anni dopo la mia spedizione, avrebbe scoperto la collega Ilaria Alpi.

Gli Usa, con sul posto il braccio armato del vassallo subimperialista Etiopia, puntarono su gangster locali per eternizzare lo status quo e appaiono ora costretti o a rassegnarsi, o a un intervento militare diretto o per interposti etiopici. Comunque una gran bella battuta d’arresto per i manigoldi di Washington. La quasi verità sul groviglio somalo, faticosamente uscita sui giornali di sinistra – ma che presto, vedrete, verrà riaddomesticata sotto dettato dei velinari di “Libero” , “Corriere” e “Repubblica” – nell’ottundimento da flebo imperialiste caricate a “terrorismo” e “diritti umani”, è un caso più unico che raro.

Uno degli esempi di ottusa e codina subalternità alle invenzioni della guerra piscologica, una guerra che fa più vittime di tutte le altre messe insieme, è la linea adottata, su nettissima ispirazione imperialista, sul dramma del Darfur, regione occidentale del Sudan che dovrebbe essere attraversata da un oleodotto direzionato verso le prese angloamericane nel Golfo di Guinea (in direzione contraria a quello progettato da Khartum sul proprio territorio e verso il Mar Rosso). Il Sudan, contro la cui indipendenza dai britannici venne subito sobillata, nel 1959, la popolazione del Sud, è il paese arabo africano più vasto e meno ligio agli interessi occidentali, da qualche anno nel mirino dei nuovi colonialisti (Usa, Francia, Germania, Israele e Vaticano) per la sfiga di essersi scoperto traboccante di ricchezze minerarie (petrolio più che nella penisola arabica, gas, uranio, rame), oltrechè idriche (il Nilo) e per l’impertinenza di volerle amministrare secondo le proprie scelte (Cina e Scandinavia, piuttosto che Usa e Nato). Poco tempo fa, un invito a parlare di Iraq alla mano del mio documentario, “Un deserto chiamato pace”, fattomi da Laboratorio Zeta di Palermo, un dinamico e coraggioso centro giovanile dell’altra Sicilia, un’autentica isola di controintelligenza, mi ha costretto una volta di più a confrontarmi con il grado di intossicazione, vicino al 100%, che il totalitarismo mediatico, soprattutto di guerra, infligge anche a chi più si sbatte per sfuggire al fog dell’universale impostura comunicativa.

Ricordate la Cap Annamur?

Nella primavera del 2005 mi ritrovai completamente solo, almeno in Italia, a cercare di arginare l’uragano di solidarietà con “le popolazioni del Darfur sottoposte a genocidio” che, innescato da una serie di denunce ufficiali di Washington, Parigi, Berlino e Vaticano, affiancate dal solito coro delle organizzazioni umanitarie note per fornire alibi a qualsiasi aggressione imperialista, aveva preso a pretesto la clamorosa vicenda della nave “Cap Annamur”. Vicenda che va ricordata per come ha esaltato la disponibilità delle sinistre, sedicenti antiguerra, a farsi intossicare da una megaimpostura, dietro al malcerto riparo dei “diritti umani”, dell’ ovviamente cristiana pietà per gli ultimi e della solidarietà con i poveri del Terzo Mondo.

Quella nave giracchiò per qualche giorno al largo della Sicilia, sparando appelli disperati per il suo carico di agonizzanti profughi. Diceva di avere a bordo una trentina di fuggiaschi dal Darfur massacrato dal governo sudanese. Vi si precipitarono tutti e tutti lessero negli occhi dei profughi l’orrore dei villaggi bruciati, delle stragi, degli stupri, delle inenarrabili nefandezze inflitte dalle milizie governative. Poi, ohibò, si scoprì che di quei trenta giovanotti, per niente agonizzanti, nessuno oltre i trent’anni, non uno veniva né dal Darfur, né dall’intero Sudan, semmai dal Ghana o dalla Costa d’Avorio. Sicuramente figli della tragedia africana, ma non del Darfur e, con ogni probabilità, reclutati per la bisogna. Trattavasi di bufala, di raggiro, di provocazione. Si scoprì che la Cap Annamur dipendeva dalla Gesellschaft fuer bedrohte Voelker (Società per i popoli minacciati), organismo tedesco legato al ministero degli esteri e specializzato fin dai Balcani e dal Vietnam in operazioni ordite per agevolare o giustificare i noti interventi “umanitari”. A Palermo, i compagni del Laboratorio Zeta ospitavano generosamente alcuni profughi sudanesi e, comprensibilmente, si risentirono molto alla mia denuncia che l’intero pandemonio umanitario sul Darfur non era che l’avvio, pari pari a quello della Jugoslavia, dell’Iraq e di tutti gli assalti Usa, di una campagna di diffamazione finalizzata allo squartamento del Sudan, nazione araba riottosa alla sottomissione, solidale con l’Iraq fin dal 1991, amica della Cina, di Cuba, del Venezuela.

Questo sapevo anche per esperienza diretta in Darfur, dove già anni fa avevo assistito a una tragedia determinata dalla desertificazione (indotta dai giochini capitalistici col clima) e dalla contesa tra agricoltori stanziali e nomadi allevatori per il sempre più scarso spazio di pascolo e coltivazione. Tutti neri, tutti musulmani, tutti di lingua araba. Falsa la conclamata rivalità etnica e religiosa, falsa la dipendenza delle formazioni Janjaweed, di autoprotezione degli allevatori, dal governo di Khartum, che invece processava gli autori di abusi e si adoperava con ogni sforzo per provvedere ai profughi della siccità e del conflitto. Falsi al limite del grottesco i 400.000 uccisi e due milioni di profughi in un anno: quasi metà della popolazione del Darfur! Fate il conto di quanta gente dovevano essere riusciti ad ammazzare o scacciare i Janjaweed al giorno. Manco avessero i mezzi di Rumsfeld. Vera, invece, l’istigazione franco-tedesco-americana - ben lubrificata dagli alti lai dei padri comboniani, da sempre avanguardia colonialista in Africa - alla creazione e sollevazione violenta di un paio di organizzazioni secessioniste (Movimento di Liberazione del Sudan e Movimento per la Giustizia e l‘Uguaglianza), armate dagli alleati del Ciad e rafforzate con uomini e mezzi dai filoamericani e filoisraeliani dell’SPLA (l’organizzazione separatista del Sud).

Vera la mobilitazione in appoggio ai secessionisti di tutte le forze della guerra permanente e globale: Israele, Berlino, Parigi, Washington, Londra e, negli Usa, il fior fiore dell’humus da cui scaturisce l’appoggio ai nazisionisti di Bush: 164 organizzazioni integraliste evangeliche e cattoliche, tutto lo schieramento tonitruante della lobby ebraica. A una loro manifestazione “Save Darfour” di 5000 persone a Washington, personalmente omaggiata da Bush (!), i media riservarono paginoni e telecronache. Sulla manifestazione dei 300.000 a News York contro Bush e la guerra, il giorno prima, silenzio o trafiletti. In Italia, pateticamente, al carro di guerra ancora una volta umanitario, si agganciò con rinnovato fervore dirittoumanista, implicitamente antimusulmano, razzista e colonialista, l’intero corpo d’armata delle Ong (affari in vista!), del pacifismo non violento, del folklore bertinottista e della stampa di sinistra (fatte salve pochissime nicchie). Per un’esauriente e documentata analisi dei trombettieri del “genocidio in Darfur”, nonchè degli interessi Usa in ballo, vedasi l’inconfutabile
<strong>pezzo </strong>di Sara Flounders, dell’International Action Center di Ramsey Clark.

La finta guerra all’Iran e vita e morte finte di Al Zarkawi

E’ davvero sconsolante la dabbenaggine con cui i giornali sinistri si accaniscono a cadere in ogni trappola allestita dai tecnici della guerra psicologica (pur esistendo in proposito un Manuale Cia del 1956 sulla “Guerra a bassa intensità” che già illustrava le procedure). Tutti a fare da sponda allo sbattere di sciabole iraniano-statunitense, a lanciarsi in allarmi e invocazioni contro l’imminente assalto della triade Cheney-Rumsfeld-Rice al paese degli ayatollah.

Nessuno che abbia il dubbio che, nell’immediato, l’ipotesi sia resa del tutto implausibile (nonostante l’ebbrezza bellica degli psicopatici Stranamore annidati nel bush-sionismo) dalla convergenza-concorrenza degli interessi di entrambi i regimi nello spolparsi l’Iraq, nonché dall’incontenibile capacità di rappresaglia che l’Iran potrebbe esercitare sul mercato mondiale e sulle vene giugulari del petrolio nel Golfo. Tutti ad accreditare che la faccia da morto esibita come quella di un Al Zarkawi è proprio quella giusta. Di un Zarkawi arrivato in Iraq con una gamba sola (l’altra l’aveva ufficialmente persa sotto le bombe in Afganistan nel 2001), polverizzato da altre bombe in Curdistan nell’aprile del 2003 e doverosamente seppellito dalla sua famiglia di Zarka, ma poi resuscitato in passamontagna e con entrambi gli arti inferiori per decapitare un giovane Nick Berg già cadavere. Infine prodigiosamente assurto a capo supremo di tutta la Resistenza irachena.

Resistenza che negli stessi rapporti del comando Usa si riconosceva preparata da decenni, diretta e composta per la massima parte da militanti del Baath e militari di Saddam (con appena un 5% accreditato a combattenti stranieri) e che nessun iracheno, per quanto affidato alle cure delle torturatrici Usa, né aveva mai visto Abu Musab Al Zarkawi, né aveva incrociato Al Qaida. Innumerevoli comunicati ufficiali della Resistenza hanno respinto ogni rapporto con Al Qaida e ne hanno negato qualsiasi ruolo in Iraq, sostenendo anzi che la sigla doveva coprire le carneficine di civili (6000 da gennaio a maggio 2006) istigate dagli occupanti e portate a spaventoso fine dagli squadroni della morte sciti e curdi di obbedienza iraniana. Ma, si sa, le parole dei “terroristi” valgono zero rispetto a quelle inconfutabili di uomini di provata onestà come Bush, Blair, Berlusconi.

E’ proprio troppo temerario farsi venire il dubbio che la psicosi di una guerra con l’Iran servisse a coprire i preparativi di guerra – anche qui affidata al casco Nato, così entusiasticamente calzato da Belgrado a Kabul dal figaro di Gallipoli - contro i debolissimi Sudan e Siria, nonché l’intima connivenza irano-statunitense nell’uccisione dell’Iraq per la creazione di tre statuccoli narco-etnico-confessionali alla Kosovo? E che il “trionfo” dell’uccisione dell’ologramma Al Zarkawi debba togliere dall’imbarazzo i serialkiller anglostatunitensi nel momento delle impreviste rivelazioni su almeno alcuni dei prodotti di serie delle manifatture horror Usa: Baghdad, Haditha, Ramadi, Falluja, Hishaqi e mentre la matrice persiano-statunitense degli squadroni della morte stava chiarendosi anche ai dubbiosi? E anche da quell’altro imbarazzo dell’invio in Iraq di un’ulteriore brigata di 3.500 uomini a smentita delle reiterate e universalmente invocate promesse di riduzione? Con quel bombardamento “chirurgico” su “Villa Al Zarkawi” (vabbè, sono crepati anche una donna e un bambino, effettino collateralino), così splendidamente liberatorio, non si giustificano anche le case polverizzate dappertutto. con dentro decine di donne e bambini? Poteva sempre esserci un Al Zarkawi nascosto sotto il letto, no? Non si sacralizza così a posteriori la morte degli eroi italiani di Nassiryia? Quelli che, nella papale e napolitanesca “spedizione di pace”, oltre a mandare a morire in un paese che la Resistenza ha trasformato in campo minato 38 dei loro, hanno saputo anche – “annichiliscilo!” – far volare da Allah qualcosa come 150 civili iracheni, tra ambulanziati e accasati, nelle misteriose (quanto Ustica) “battaglie dei ponti”? E, infine, questo gran colpo di our boys non accredita la telenovela del “lavoro da finire” e, così, non tira un pochino su, in vista delle elezioni Usa di medio termine, il profilo a picco del gradimento di Bush?

Riflettiamo: gli Usa, dopo mesi di latrati diplomatici, aprono all’Iran e addirittura al suo nucleare civile. Nello stesso momento il premier-fantoccio Al Maliki, altro gangster della serie Chalabi, Allawi, Jaafari, Talabani, teneramente abbracciato dal connivente di sangue D’Alema, riesce, a cinque mesi dalle “elezioni” e dopo un tiramolla segnato dal macello senza precedenti di sunniti, attribuiti all’antiscita virtuale Zarkawi, ma attuato dalle bande scite di obbedienza iraniana, a nominare i titolari dei ministeri chiave: difesa, interni e sicurezza. E Al Zarkawi viene disintegrato. Non viene il sospetto che tra i due avvoltoi appollaiati sul corpo dell’Iraq, impegnati a spartirselo e, intanto, a bloccare uniti i defibrillatori della Resistenza nazionale, si è addivenuti a un accomodamento? Quanto meno temporaneo. Il gioco stava diventando troppo scoperto (difatti in Italia l’unico ad averlo capito è Stefano Chiarini, isolatissimo in un “manifesto” che tracima di “tagliatori di teste”). Quindi, l’eliminazione del fantasma giordano - stavolta definitiva – non solo come depistaggio dai guai e dalle vergogne Usa, ma come sigillo sul patto tra boia. Che bluff riuscito al poker tra naziosionisti e ayatollah, da un lato, e i nostrani prestigiosi opinionisti e analisti in mutande, dall’altro!

L’Al Zarkawi disvelato

Avviamoci alla conclusione lasciando nei tombini certi fallacismi, tipo Stefano Censurati (“Radio anch’io”) che riunisce personaggi all’olio di ricino come Magdi Allam e l’ambasciatore del narcofascista Uribe di Colombia, nientemeno, per fargli dire che il Che Guevara era anche peggio di Al Zarqawi; o tipo il sempre puntualissimo Guido Caldiron che, nel suo spazio criptosionista su “Liberazione”, intervista – e ci vuole del fegato all’uranio – Loretta Napoleoni. Questa ineguagliabile fantasista, oltre ad aver scritto un copione grottesco su Al Zarkawi, con sommo disdegno di fonti minimamente attendibili, che non ha mai incontrato, ma che tratteggia attenendosi disciplinatamente ai contorni disegnati da Mossad e Cia, è addirittura consulente della Homeland Security, vale a dire un arnese manovrato da quella struttura, creata dai nazisionisti di Washington a seguito del Patriot Act, che cela sotto il logo dell’antiterrorismo la pratiche planetarie di terrorismo di Stato e di repressione sociale interna. Piuttosto suggeriamo ai tanti tappetini stesi davanti alla balla cosmica dell’11 settembre e, di conseguenza, a tutta la panoplia di truffe nazisioniste fino al botto Zarkawi (Stefano Chiarini, almeno, si difende con qualche condizionale; non così il collega Michele Giorgio, già firma impudica sotto un reportage totalmente fasullo su Zarka e Al Zarkawi) di esercitare un tantino lo strumento principe dell’intelligenza umana, la memoria. Al Zarkawi, pregiudicato comune e sottoproletario giordano esce di galera verso la fine degli anni’90 e va in Afganistan.

Le autorità pachistane lo danno mutilato di una gamba dalle bombe Usa nel 2001, ma Colin Powell, notoria bocca della verità, il 5 febbraio 2003 all’ONU, mentre s’inventa le armi di distruzione di massa, risuscita anche Abu Musab, e lo nomina fiduciario di Saddam Hussein nel rapporto fraterno con Osama bin Laden. Quell’Osama che Saddam aveva saggiamente bollato di fantoccio integralista Usa e che il Sudan aveva cercato nel 1996 di espellere verso gli Usa, mentre Clinton lo aveva fatto spedire in Afghanistan! Deus ex machina dello spettacolo allestito per criminalizzare la vincente resistenza popolare irachena, A.Z. lo diventa nell’aprile 2004, a dispetto della sua morte ufficializzata dai media l’anno prima in Kurdistan, sotto bombe Usa contro Ansar-al Islam. Un giovane pacifista Usa, Nick Berg, imprigionato per due settimane dagli statunitensi, viene rilasciato per ritrovarsi qualche giorno dopo in un video con alle spalle un incappucciato (!) – inevitabilmente subito Al Zarkawi - che strilla delle cose e poi gli taglia la testa. Tecnici svizzeri che esaminano la panzana rilevano: il linguaggio e la cadenza non è quella di un arabo giordano, il decapitato era già morto perché non una stilla di sangue esce dal taglio, l’urlo del moribondo è di una donna, le tute gialle dei giustizieri sono quelle di Guantanamo, sedia, pareti e altri arredi sono identici agli interni di Abu Ghraib. Qualcuno particolarmente perspicace nota che l’oscena efferatezza ha luogo in concomitanza con il raccapriccio mondiale per gli abomini Usa di Abu Ghraib.

Contro i crociati o contro i palestinesi?

Per decostruire definitivamente il burattino Cia-Mossad Al Zarkawi è decisiva l’analisi, da nessuno fatta in Italia, ma da tantissimi negli Usa e mai smentita, degli attentati del 9/11/05 ad Amman. Tre alberghi saltano per aria, 56 morti, oltre 100 feriti, 4 kamikaze, si dice. Al Zarkawi scrive su un sito:”Abbiamo colpito i crociati, i giudei e gli apostati (sciti)”. Fine, tutti d’accordo, sinistre comprese. E invece occorreva informarsi meglio: nessun crociato, giudeo o apostata è stato colpito; le vittime erano, a contorno, la folla palestino-giordana (sunnita) che celebrava un matrimonio e, piatto forte, cinque dirigenti palestinesi dell’intelligence e della finanza e tre delegati cinesi del Ministero della Difesa che si trovavano a colloquio segreto in una sala; i giudei, cioè i turisti israeliani alloggiati negli alberghi furono prelevati qualche ora prima e rispediti a casa dai servizi giordani su imbeccata di quelli israeliani (lo ha scritto il giornale israeliano Haaretz, lo ha confermato con orgoglio l’ex-capo dello Shin Beith); a coronamento, nessun kamikaze, ma esplosivi collocati nei soffitti (come dimostrato dalle immagini) e innescati con la chiusura del circuito elettrico (nei tre alberghi venne a mancare contemporaneamente la luce). Sui dettagli di questa classica operazione Mossad vi ho già intrattenuto in altro “Mondocane”.

Sarebbe dovuto bastare questo per depurare le pagine e le orazioni della sinistra dalle sviolinate alle messinscena del dipartimento Cia “Al Qaida”. Ma vogliamo largheggiare: il video della decapitazione apparve su un sito il cui indirizzo è Al-ansar Net, 184 High Holborn, Londra, Regno Unito, fax 2078312310 (altri messaggi di Al Qaida erano riconducibili a un sito pornografico del Texas); Thomas Hicks rivela sul Washington Post (10 aprile 2006) un documento interno del quartier generale Usa in Iraq, nel quale il portavoce Generale Mark Kimmit afferma: “Il programma Zarkawi di guerra psicologica (PSYOP) è stato ad oggi la campagna di comunicazione di maggioe successo. Se lo dicono loro…

E, per finire, ecco le testimonianze di una delle più puntuali ed esaustive agenzie di informazioni sulla guerra in Iraq, Mafkarat al-Islam (vedi
http://www.islammemo.cc). Ricordate la medievale esibizione della faccia, del tutto integra, del cadavere Zarkawi? Ecco quanto hanno riferito sull’operazione i residenti di Habhab (Baqubah), testimoni oculari: “I due attacchi missilistici Usa erano tanto potenti da far tremare l’ intera città. Oltre alla casa dove si sarebbe trovato il gruppo Al Zarkawi, sono state distrutti più di 50 edifici, fino a una distanza di 500 metri. Il fumo ha pervaso la zona per oltre 4 ore. Abbiamo visto gli americani recuperare i corpi. Le fotografie pubblicate sui giornali ci sembrano incredibili. I missili che avevano colpito l’obiettivo avevano fuso perfino l’acciaio delle traverse del tetto e dei telai di porte e finestre. Tutti i corpi estratti dalle macerie erano completamente carbonizzati e irriconoscibili. Come è possibile che nelle foto Al Zarkawi sembri uno che è morto nel suo letto?” E come è possibile, aggiungiamo, che nella conferenza stampa un generale Bill Caldwell si avventuri fino a raccontarci che Abu Musab era ancora vivo dopo l’apocalisse che ha sminuzzato 50 case e che perì solo dopo che, ergendosi dalla barella Usa, aveva “tentato di ribellarsi”??? Facciamo mente locale: nessuno dei presunti autori dei grandi attentati (New York, Madrid, Londra…) è stato mai preso vivo. Qualche “complice” ha confessato in tv, dopo aver trascorso qualche tempo in posti come Abu Ghraib…

Piano, piano, potrebbe dire qualche volpe, c’è però quel video, trovato poche settimane fa in una qualche casa, in cui un tripposo Al Zarkawi balzellon balzelloni sembra uno di quei tontoloni che fanno i giochi di guerra nella brughiera brianzola. Eccolo, il guerrigliero, “l’Emiro di Al Qaida nella Terra tra i due fiumi”, e non sa neanche maneggiare il mitra. Già, e anch’io ho dei filmini di quando ero giovane e bello. Però di quelli che si potrebbero datare, nessuno col passamontagna…