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Se il Mossad trama nel Paese dei cedri

di Stefano Chiarini - 18/06/2006

 
Scoperto il coinvolgimento dei servizi segreti israeliani in alcuni omicidi eccellenti in Libano


Una mercedes grigia ridotta ad un ammasso di lamiere fa bella mostra nel quartier generale dei servizi segreti militari alla periferia di Sidone. È quel che resta dell'autobomba che lo scorso 26 maggio ha ucciso Mahmoud Majzoub, capo militare della Jihad Islamica in Libano e suo fratello Nidal, anche lui militante dell'organizzazione. L'auto, parcheggiata davanti alla loro abitazione, è esplosa appena i due militanti palestinesi sono usciti di casa per andare al lavoro. Una carica né troppo forte né troppo debole, praticamente perfetta. L'uccisione dei due fratelli ha scosso in profondita gli abitanti di Sidone - da sempre vicini alla causa palestinese, per la quale hanno pagato un prezzo altissimo (2.000 le vittime dei bombardamenti del 1982) - e le strade della città hanno visto in questi giorni imponenti manifestazioni unitarie di protesta come non si vedevano dagli anni '70. In migliaia e migliaia, libanesi e rifugiati palestinesi del vicino campo di Ein el Helwe (90.000 abitanti) hanno risposto all'appello a scendere in piazza lanciato dai movimenti nazionalisti arabi e nasseriani (sunniti), tradizionalmente egemoni in città, dai movimenti sciiti di Hezbollah e Amal, i vari gruppi palestinesi e, con la solidarietà persino del Movimento patriottico libero dell'ex generale cristiano maronita Michel Aoun. In pratica il nuovo asse dello schieramento interconfessionale che si oppone (con l'esponente maronita pro-Siria Suleiman Franjieh e con il sunnita di Tripoli Omar Karame) a un nuovo mandato coloniale sul Libano di Usa e Francia, al disarmo della resistenza palestinese e libanese e a una rottura dei rapporti con Damasco- il programma portato invece avanti dalla maggioranza nel governo di unità nazionale della quale fanno parte il premier Foud Siniora, la Hariri Inc sunnita, le Forze falangiste di Samir Geagea, protagonista del massacro di Sabra e Chatila e il leader druso Walid Jumblatt.

Questa volta però la richiesta di giustizia degli abitanti di Sidone sembra sia stata in parte soddisfatta e le forze di sicurezza libanesi hanno scoperto, per la prima volta, un sofisticato network che per conto dei servizi segreti israeliani avrebbe compiuto decine di attentati. Il capo del gruppo sarebbe un cittadino libanese di Hasbaya, località drusa nella ex zona occupata da Israele, ex funzionario delle forze di sicurezza libanesi, ex ufficiale delle milizie filo-israeliane del Libano Meridionale del generale Lahad nonché nipote di un esponente del Partito socialista progressista di Walid Jumblatt. Mahmoud Rafeh, questo il nome del sospettato numero uno, avrebbe confessato di essere responsabile di 4 attentati nei quali sono stati uccisi, oltre a Mahmoud e Nidal Majzoub, gli esponenti di Hezbollah Ali Hassan Dieb (Abra 16/8/99) e Ali Saleh (Beirut sud 2/7/2003) e il palestinese Jihad Jibril. La base delle operazioni sarebbe stata una villa nel centro sud-libanese di Hasbaya appartenente a Mahmoud Rafeh nel cui garage gli inquirenti hanno trovato sofisticate apparecchiature di comunicazione, intercettazione con i relativi cifrari, i files sui due esponenti della Jihad uccisi, documenti falsi, divise militari. Tra i membri del gruppo individuati e ora ricercati ci sarebbe anche un militante palestinese del campo di Ain el Helwe, Hussein Kattab, già fermato perché sospettato di essere coinvolto nell'uccisione di Jihad Jibril, ma poi rimesso in libertà in seguito all'intervento di alcuni sheik islamisti sunniti. Mahmoud Rafeh sarebbe stato reclutato dal Mossad nel lontano 1994 su proposta di Alameddine Badaoui responsabile dei servizi della milizia filo-israealiana del Libano del Sud poi fuggito in Israele. La scoperta del gruppo di agenti che lavoravano per i servizi israeliani sta avendo profonde ripercussioni politiche sulla scena libanese. Il partito sciita Hezbollah, e gli altri movimenti dell'opposizione all'asse filo-Usa, commentando l'episodio, hanno ricordato quanto Israele costituisca ancora una minaccia per il Libano e quindi la necessità di non disarmare la resistenza e di non «escludere dall'elenco dei sospetti degli omicidi e degli attentati che hanno avuto luogo in Libano» i servizi di Tel Aviv. Un chiaro riferimento anche alla possibilità di un coinvolgimento israeliano nell'attentato all'ex premier Rafiq Hariri, ucciso il giorno di San Valentino del 2005.