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La Cina torna in bicicletta Il governo contro le auto

di Francesco Scusci - 20/06/2006

La Cina torna in bicicletta Il governo contro le auto  
LE DUE RUOTE TRADIZIONALI SPARISCONO NEL GIGANTISMO DELLE NUOVE METROPOLI

La bicicletta, una volta uno dei simboli della Cina, appare oggi un reperto di Shangri-la, il paradiso perduto dell’ecologismo, la formula antica della vita sana. La nazione delle due ruote appartiene ormai all’archeologia del moderno. Un tempo infatti in Cina c’erano 500 milioni di due ruote a pedali in giro, quasi una bici ogni due abitanti. Le grandi strade del centro di Pechino erano affollate da nuvoloni di biciclette nere, scattanti e densi come sciami di cavallette impazzite, che si fermavano solo al verde dei semafori. Si passava con il rosso, il colore buono, comunista. In 25 anni di riforme però il numero delle auto è aumentato di 20 volte, arrivando a 27 milioni, e nei prossimi 15 anni potrebbero passare a 130 milioni. Numeri che seppelliscono e emarginano giorno dopo giorno le vecchie e sempre più sparute biciclette, con danni inimmaginabili per l’ambiente e il traffico. Già oggi le strade di Pechino sono grandi parcheggi all’aria aperta che fanno impallidire il traffico all’ora di punta a Milano. Tra 15 anni potrebbe essere un incubo. Sembrava il passaggio del moderno, la tassa inevitabile dello sviluppo. Ma questa settimana il vice ministro delle Costruzioni Qiu Baoxing ha avuto un’alzata d’ingegno è ha esortato gli urbanisti a progettare piste ciclabili, città su misura delle due ruote, da preferire alle strade per le automobili troppo arroganti.. Ma questo ritorno della bicicletta avviene in un mondo nuovo, che in realtà non ha nulla a che spartire con il popolo in bici del passato. Le vecchie biciclette, quelle rivoluzionarie, erano tutte nere, in ghisa, pesantissime, rigorosamente registrate, targate e dotate di lucchetto, perché il socialismo reale non ne impediva il furto, assai diffuso. Una bici costava da uno a sei mesi di stipendio. Il proprietario sotto casa e sotto l’ufficio aveva un parcheggio garantito, in specie di rastrelliere di ferro custodite da guardiani che rilasciavano
una ricevuta di carta velina. Le bici non avevano fanali e nemmeno barre rifrangenti: all’epoca la dinamo da sola costava due volte il mezzo. Chi circolava di notte in una strada di città lo faceva a suo rischio e pericolo. Le auto non c’erano, come era assente quasi del tutto l’illuminazione urbana. Passavano solo rumorosissimi pullman disarticolati di modello sovietico che, per risparmiare energia, tenevano accese solo le luci di posizione. Il ciclista che nella notte non li sentiva e non si scansava veniva spesso travolto. Andare e venire dal lavoro era faticoso, specialmente al nord, quando d’inverno pedalare con 10 o 20 sotto zero era come attraversare una lama di vetro che ti spaccava la testa, ti polverizzava le mani strette sul manubrio. D’estate non era meglio. Nel caldo umido a 40 gradi di città come Wuhan o Nanchino ogni pestata sul pedale era una prova di forza e non si capiva dove finiva il sudore e cominciava l’afa dell’aria.

Ma tutto era sopportabile perché le distanze erano in genere brevi. Gli uffici e le fabbriche avevano i dormitori, gli alloggi del personale attaccati, a due passi. La casa era in dotazione e il lavoro non si poteva cambiare. Oggi la gente può comprarsi la casa e può cambiare lavoro, così spesso non si abita vicino all’ufficio.

L’arrivo delle auto ha allargato le città, gonfiate poi dall’inurbamento cavalcante con milioni di cinesi in arrivo dalle campagne. Adesso il sesto anello di Pechino è un’autostrada a otto corsie lunga oltre 300 chilometri. Sono distanze già difficili con un’automobile, impossibili con la bici. E’ cambiato tutto, anche l’aria. Prima una corsa in bicicletta era ossigeno al cervello, ora il livello di inquinamento riempie i polmoni di anidride carbonica o solforosa. Si rischia di scendere dal sellino con la tosse convulsiva. Il ministero dell’ambiente cinese è sotto pressione perché l’inquinamento aumenta. Il ministero si vanta di avere espulso il riscaldamento a carbone dal centro delle città, ma i vecchi fornelli sono stati sostituiti, in peggio, dal traffico di auto e camion. Per migliorare l’ambiente bisognerebbe tornare alle biciclette. Un ritorno al passato però sembra gravoso, se non impossibile, specie nelle città più grandi. A parte i pericoli di incidenti, nel 2006 in Cina verranno vendute 6 milioni di auto, nuovo confort e status symbol cui è difficile rinunciare. Pper chi si lascerà invece convincere dalle due ruote, specie nei piccoli centri, le biciclette moderne sono già diverse da quelle antiche. Ora ci sono le mountain bike, le bici elettriche. Sembrano degli sfizi per i più alla moda, come la fatica della palestra per i ricchi che possono risparmiarsi il sudore amaro del lavoro manuale. Sono anni luce delle vecchie due ruote, che ora si fabbricano solo per le esportazioni in Africa, o a Cuba