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La Siria attacca “La fabbrica delle notizie false” mostrando la donna “decapitata” viva e vegeta

di Ian Black e Matthew Weaver - 07/10/2011


Zainab al-Hosni, data per scomparsa a luglio e il cui corpo fu restituito ai familiari e poi sepolto. Ora Damasco dice che è viva.  Il governo siriano ha inteso segnare un punto a suo favore nella campagna mediatica, attraverso la misteriosa apparizione televisiva di una giovane donna che era stata data per decapitata e mutilata dagli agenti di sicurezza.   La macabra storia è stata rievocata martedì scorso quando la principale emittente televisiva statale ha trasmesso una breve intervista con una donna che affermava di essere Zainab al-Hosni.

Le associazioni internazionali per i diritti umani e gli attivisti contro il regime siriano dicevano che Hosni era stata uccisa dopo essere stata arrestata a luglio.

L’emittente ha descritto il colloquio con il proposito di screditare la “fabbrica delle notizie false” straniera.

La famiglia di Hosni ha confermato che quella del filmato era proprio lei, ma non hanno potuto affermare se fosse ancora viva o se fosse stata uccisa dopo l’intervista. L’episodio così ha finito per porre nuove domande preoccupanti.

Il mese scorso Amnesty International ha definito Hosni, 18 anni, come la prima donna a morire dentro una prigione siriana, dopo che il suo corpo mutilato era stato rinvenuto dalla sua famiglia presso l’ospedale militare della sua città natale di Homs, con segni evidenti di torture e parzialmente smembrato.

Nell’intervista, una giovane donna vestita di nero che si è identificata col nome di Hosni e dopo aver sfoggiato la sua carta d’identità ha detto che era scappata di casa a luglio perché i suoi fratelli avevano abusato di lei.

Ha detto che la sua famiglia non sapeva che lei fosse viva e ha chiesto perdono a sua madre.

«Io sono vivissima e ho pensato di dire la verità perché sto progettando in un futuro di sposarmi e avere dei figli che voglio siano registrati all’anagrafe.,» ha detto all’intervistatore, in maniera calma ma leggermente esitante.

I parenti hanno confermato che la donna che hanno visto in televisione era proprio lei, ha attestato Nadim Houry di Human Rights Watch.

«Erano rincuorati dal sapere che la loro sorella è viva, o dalla speranza che lei sia ancora viva. Allo stesso tempo, sono arrabbiati e confusi perché si sentono presi in giro. Tutta questa confusione dovrebbe evidenziare la necessità per le autorità siriane di consentire agli osservatori sui diritti umani di entrare nel paese.

«Questa è una storia strana che diventa sempre più strana. Stabiliamo alcuni fatti. C’è il corpo di una donna decapitata che è stato seppellito dalla famiglia di Hosni. Chi è la ragazza morta che è stata seppellita?»

Amnesty ha dichiarato in un comunicato: «Se il corpo non era quello di Zainab al-Hosni, allora le autorità siriane hanno bisogno in maniera chiara di scoprire di chi fosse».

«Stiamo cercando di determinare le esatte circostanze del caso e rilasceremo informazioni dettagliate appena possibile»

La storia potrebbe essere un errore o, qualcuno sospetta, una beffa consumata dalla Siria per mettere in imbarazzo i media, l’opposizione e le associazioni per la difesa dei diritti umani che hanno denunciato la brutale repressione del Presidente Bashar al-Assad: in sei mesi sono state uccise quasi 3.000 persone.

«Io non sottovaluterei l’ipotesi che siano state le autorità siriane ad aver inventato tutta la faccenda” ha detto un diplomatico occidentale. “Possono essere cinici e manipolatori ad un livello straordinario».

Le notizie sull’intervista sono state rapidamente “twittate” dall’addetto stampa presso l’ambasciata siriana a Londra.

Nabil al-Halabi, dell’Istituto Libanese per la Democrazia e i Diritti Umani, ha dichiarato ad al-Jazeera: «La TV siriana è la voce di uno Stato che sta uccidendo il suo stesso popolo».

Maysaloon, un blogger siriano, ha commentato: «In primo luogo, il corpo che la sua famiglia ha ricevuto è pur sempre una persona che è stata brutalmente assassinata, o perlomeno il suo corpo ha, e deve avere una famiglia da qualche parte.

 “In secondo luogo, la data in cui è apparsa in televisione era il giorno in cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva deciso di porre ai voti una risoluzione. Come l’Iran, il regime siriano è marcatamente sensibile al calendario della politica... Allora, ovunque e chiunque sia Zainab al-Hosni ci sono molte cose che non quadrano in tutto lo svolgimento di questa storia.»

Il governo di Damasco denuncia quotidianamente che i disordini sono frutto di una cospirazione straniera e accusa i media internazionali di diffondere bugie - nonostante la maggioranza dei giornalisti siano banditi dal paese e i pochi che ci sono operino con restrizioni paralizzanti.

I media statali impiegano la maggior parte del loro tempo e delle loro risorse per confutare quelle che definiscono come invenzioni dei media e menzogne.

Human Rights Watch ha affermato che Hosni è scomparsa alla fine di luglio e che le autorità siriane hanno restituito il “corpo smembrato” alla sua famiglia il 17 Settembre.

Afferma che l’uccisione e la mutilazione della donna «evidenzia la necessità... di un’indagine internazionale sulle dilaganti uccisioni e torture in Siria».

Il Syrian Human Right Network, un’organizzazione lealista, ha fatto richiesta di scuse per Hosni e il popolo siriano.

  Fonte: http://www.guardian.co.uk/world/2011/oct/05/syria-attack-media-beheaded-girl.

Traduzione per Megachip a cura di Cipriano Tulli.

 Nota sull’articolo, a cura di Pino Cabras.

I sociologi parlano di conflitti di ruolo quando una persona, per i motivi più vari, non può soddisfare le aspettative del ruolo assegnatole. Un ruolo che consiste in comportamenti attesi, in obblighi e aspettative che confluiscono su un individuo che occupa una precisa posizione sociale. Cose che capitano quando i tanti ruoli che un individuo interpreta sono a un certo punto in contrasto tra loro: essere contemporaneamente genitore, figlio, coniuge, dirigente in carriera, attivista politico, e così via, e non farcela più a trovare il tempo per ricoprire come si vorrebbe e come ci si attenderebbe da te ognuno dei ruoli.

Il conflitto di ruolo capita anche ai giornalisti di un grande giornale, il «Guardian», di un grande Paese, il Regno Unito, coinvolto in una guerra di propaganda (una guerra della percezione contro la Siria di Assad), obbligati dalle cose a dover registrare le notizie corpose, quando ci sono.

Il cerchiobottismo non c’è solo in Italia, insomma. I cronisti del «Guardian» assestano molti colpi al cerchio: i dubbi, le congetture, le ipotesi riassumibili in una possibile teoria del complotto con protagonista un regime diabolico che architetta un piano complesso, una sorta di sacrificio umano congegnato in modo da far fare brutta figura ai media occidentali e alle organizzazioni dei diritti umani influenzate dal mondo anglosassone, una teoria tirata per i capelli.

Ma i giornalisti britannici devono dare molti colpi anche alla botte, perché c’è una donna data per morta che invece mostra il volto e si espone a difficilissime smentite. La notizia non è liquidabile, a meno che non la si censuri. Molti lo fanno.

Vi suona familiare tutto questo? Non vi ricorda il titolo di una notizia apparsa il 9 giugno 2011? Eccolo: «False le foto della blogger lesbica rapita in Siria, è giallo: “nessuno la conosce”». Ricordate il caso di Amina Arraf, la blogger siriano-americana “rapita a Damasco da uomini armati del regime siriano”. I media di mezzo mondo hanno fatto chiasso per giorni, con tanto di mobilitazione internazionale per liberarla, in stile Sakineh, per rispettare il cliché dell’oppressione islamica di regimi tetragoni sulle donne. Solo che la “gay girl in Damascus” (titolo del suo blog) non è mai esistita. Persino le sue foto, pubblicate sul suo profilo di Facebook come uniche immagini disponibili che consentivano di darle un volto, erano state denunciate come un furto d’identità da una ragazza britannica.

Poi il crollo. Una volta demolita la fandonia, anche il gestore dell’operazione doveva essere sacrificato. Così abbiamo saputo anche come si chiamava e che faccia avesse. È Tom Mac Master, “studente all'Università di Edimburgo”.


Non deve essere facile, per chi propala notizie false, persino per i servizi segreti, evitare di confondersi e combinare qualche casino. Possono però non curarsene più di tanto. I giornali e i telegiornali non faranno “due più due”, non lo fanno quasi mai. Per un’identità bruciata ce ne sono altre decine ogni giorno, tutte univoche nel descrivere regimi islamici spietati e chiusi, che trattano male il loro popolo, specie le donne, e prima li bombardiamo meglio sarà. Non tutti però. I sauditi non si toccano.

Nel frattempo, come è accaduto in Libia a settembre 2011, le ossa di cammello sparse su un terreno sono state presentate con enfasi per alcuni giorni come una fossa comune in cui sarebbero state seppellite migliaia di vittime. Le smentite hanno demolito l’ennesimo racconto propagandistico, ma il messaggio ha raggiunto il suo effetto. Come le inesistenti fosse comuni di sei mesi prima.

In tutti questi casi, la storia pompata dai media, che aveva funzionato da esca, alla fine viene dimenticata, mentre rimane unicamente il messaggio di ripugnanza e di odio ben incanalato che è la risultante finale. Quel messaggio rimane là a dormire sotto la parte vigile della coscienza, per lungo tempo, anche per anni. Ma si risolleva energicamente una volta richiamato da un’emozione improvvisa, ben governata dalla fabbrica del sogno e delle menzogne. Quando l’emozione improvvisa è suscitata con i tasti giusti e con le storie più adatte agli stereotipi plasmati per anni, è il giorno prima della guerra. Ma noi eravamo ignari di tutto questo retroscena.