Maggioranza e opposizione: la politica del nulla
di Luca Ricolfi - 14/10/2011
Ho seguito il discorso di Berlusconi alla Camera dall'inizio alla fine, parola per parola.
Ho persino preso appunti, come uno scolaretto. Mi sono sforzato di ascoltare, capire, indovinare qualcosa di nuovo: un segnale di apertura, un impegno, un cambiamento. La situazione dell’Italia lo richiedeva e lo richiede, le migliori menti e le istituzioni più autorevoli del Paese da tempo lo invocano.
E invece no. Niente. Assolutamente niente. Il vuoto spinto. Nessuno dei luoghi comuni dell’autocelebrazione berlusconiana è stato omesso, non un solo pensiero nuovo è stato enunciato.
Uno spettacolo anche scenograficamente desolante: Bossi, seduto a fianco di Berlusconi, che sbadiglia più volte, con lo sguardo stanco, spento, annoiato di chi pensa a tutt’altro, ed è lì solo perché non può farne a meno.
Chi vuol credere che Berlusconi abbia ancora qualcosa da dire al Paese, che possa rilanciare la «rivoluzione liberale» che i suoi governi hanno tradita, dovrebbe ascoltarlo e guardarlo attentamente, il video di quel discorso.
Così mi ritrovo - io che detesto i discorsi vuoti e prediligo le analisi basate sui dati - a commentare il nulla. Il nulla di un governo che non crede più in sé stesso, il nulla di un’opposizione divisa su tutto, compresa la scelta di disertare l’Aula (i radicali erano presenti, il resto dell’opposizione era assente per protesta). Che si può dire, di fronte al nulla? Forse semplicemente quello che non c’era ma avrebbe potuto esserci. Le nostre ingenue speranze, i nostri più utopistici desideri. Non certo le dimissioni del governo (il mantra di Bersani): le dimissioni sarebbero davvero un atto di responsabilità solo se esistesse fin da ora una alternativa credibile, eventualità da cui siamo purtroppo lontanissimi. Quello che da Berlusconi ci si poteva ragionevolmente attendere erano affermazioni più di sostanza, che preludessero a gesti di certo meno drastici delle dimissioni, ma comunque utili al Paese. Vorrei indicare almeno tre punti di questo discorso mancato, che avrei voluto ascoltare ma non ho ascoltato, tre vie possibili e auspicabili, tre bagliori nel buio, per così dire.
Un primo punto sarebbe stato quello di «fare come Zapatero», ossia dichiarare esplicitamente che non si ricandiderà alle prossime elezioni, e magari che è disposto ad anticiparle di un anno, al 2012 anziché al 2013. Non è implausibile, infatti, quello che alcuni osservatori sostengono, e cioè che se oggi - a differenza di ieri - i mercati giudicano la Spagna meglio dell’Italia (come risulta dall’andamento degli spread) sia anche perché la promessa di Zapatero di farsi anticipatamente da parte è comunque un segnale di apertura, una finestra sul futuro. Il Financial Times di ieri arriva ad ipotizzare che il «Berlusconi premium» stia costando all’Italia qualcosa come 100 punti base, circa 20 miliardi di euro all’anno a regime. Difficile dire se questa valutazione sia fondata, ma è ancor più difficile non vedere quanto Berlusconi sia ormai diventato un fattore di immobilismo e di congelamento per la politica italiana.
Il secondo punto sarebbe stato di assumere almeno un impegno che desse un segnale forte di discontinuità, che mostrasse una reale volontà di cambiare rotta. So bene che su questo terreno circolano idee diverse: liberalizzare del tutto le professioni? abolire il valore legale del titolo di studio? ridurre drasticamente le pensioni di anzianità e le false pensioni di invalidità per estendere gli ammortizzatori sociali? cancellare tutti gli incentivi discrezionali alle imprese per abbattere l’Irap o l’Ires (una vecchia proposta di Montezemolo, a suo tempo uccisa dal governo Prodi)?
Non sta certo a me dire che cosa dovrebbe fare il governo. Ma qualcosa avrebbe dovuto dire di voler fare. Come cittadino non posso non notare che, sul terreno delle azioni da compiere subito per invertire la rotta, non una sola idea nuova è stata enunciata, non un solo impegno solenne e verificabile è stato preso dal presidente del Consiglio.
Una terza possibile via sarebbe stata di chiamare l’opposizione a condividere con il governo la responsabilità di qualche misura impopolare, ma utile per far uscire l’Italia dalle secche in cui è incagliata. Un’eventualità che suona del tutto irrealistica, visto che l’opposizione ieri non era neppure presente in Aula.
Ma proprio il fatto che oggi, in Italia, non sia nemmeno concepibile che governo e opposizione concordino su qualcosa, o cerchino un accordo minimo e temporaneo per il bene comune, dà la misura di quanto le cose siano andate avanti. E forse anche di quanto, viste da questa prospettiva, maggioranza e opposizione si assomiglino. Entrambe sono paralizzate dalle loro divisioni interne, entrambe si preoccupano solo di non dare qualche dispiacere ai propri elettorati di riferimento. Non paiono avvedersi che, per questa via, esse non fanno altro che alimentare lo scetticismo e la disillusione, e alla lunga finiranno per prosciugare le acque in cui oggi ancora nuotano.