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Le madri cattivissime e il ritorno alla naturalezza

di Claudio Risé - 16/10/2011


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Il mondo femminile è in conflitto. Le donne credevano di essersi liberate dell’oppressione maschile, spiega la filosofa del femminismo Elizabeth Badinter, ma sono cadute in nuove schiavitù, in parte create da loro stesse. A cominciare dal voler essere madri perfette, che non sbagliano una mossa nell’accudire e crescere i propri figli. A questa denuncia ne seguono altre, soprattutto da donne provenienti da altre culture, che giudicano debole lo stile familiare ed educativo occidentale.
Ciò che le donne, ed anche gli uomini, credevano eventi liberatori, dall’”invenzione” del biberon come seno artificiale destinato a liberare la madre dalla “schiavitù” della poppata, alle leggi sul divorzio e l’aborto, al controllo delle nascite e al lavoro femminile, hanno finito col creare nella donna stessa nuovi, imprevisti, vincoli, più nascosti ma più potenti della precedente retorica “patriarcale”.
Badinter addita tra i maggiori responsabili di questo imprevisto sviluppo quella che chiama: “ideologia naturalista”, vale a dire un insieme di scoperte, e quindi comportamenti, di origine medica, pedagogica, psicologica, che hanno rimesso al centro del benessere individuale il rapporto madre-bambino nei primi anni di vita.
In realtà, questi orientamenti culturali e scientifici nient’affatto nuovi, ma che hanno trovato nuove conferme in ciò che è accaduto dopo l’affermarsi del femminismo, hanno ricollocato, per così dire, nel corpo materno e nella relazione intima madre-bambino, prima e dopo la nascita e nel primo settennio di vita, la fondazione della personalità e dell’equilibrio individuale, riconoscendo alla madre la funzione decisiva che essa svolge nello sviluppo personale.
Purtroppo, non si trattava affatto di un’ideologia astratta, ma di esperienze cliniche già svolte sia in ambito psicoanalitico, che psichiatrico, che antropologico. Queste avevano dimostrato da tempo, ben prima degli anni 70 nei quali si affermò il femminismo, la centralità e profondità del rapporto madre-bambino come condizione della nascita e sviluppo della coscienza personale.
Due tra i principali psicoanalisti del secolo scorso, la freudiana Melanie Klein e lo junghiano Erich Neumann, avevano dimostrato decenni prima del femminismo come la madre rappresentasse nella primissima infanzia lo stesso Sé del bambino, il cui sviluppo affettivo e cognitivo dipende quindi in gran parte dalla positività di questa relazione.
Il movimento delle donne (che in parte non conosceva i testi), non realizzò subito le responsabilità e i vincoli che derivavano alla madre da questa sua posizione, preferendo esaltarlo come segno della primigenia superiorità femminile. La faccenda era, tuttavia, molto più complessa.
Fu così che quando l’editore di «Un amore in più» di Badinter chiese una prefazione al libro a Bruno Bettelheim, ritenuto uno dei massimi esperti di psicologia infantile, egli rifiutò dicendo: “Ho lavorato tutta la vita con bambini la cui esistenza era stata distrutta perché le loro madri li odiavano”.
Oggi è inutile gridare alle “Madri cattivissime”, come fa il titolo (italiano) dell’ultimo libro di Badinter. Il fatto è che figlie e nipoti delle madri “femministe”, dopo aver sperimentato sulla loro pelle il peso dell’ideologia degli anni 70, preferiscono tornare a un rapporto più fisico, più intenso, più pieno coi loro figli. Probabilmente viziandoli, come lamenta la madre sino-americana Amy-Chua, nel divertente “Il ruggito di mamma tigre”. Non c’è dubbio infatti che “la madre perfetta non esiste”, come ricorda Badinter. E’ sempre meglio, però, fare meno danni possibili.