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Io, se fossi italiano com’i’ sono e fui… m’incazzerei

di Graziano Lanzidei - 18/10/2011

Se fossi…

Se fossi Berlusconi, continuerei così. Se fossi Napolitano, firmerei. Lo scioglimento delle Camere, s’intende. Se fossi D’Alema, penserei a strategie più a breve termine. Se fossi Casini, aspetterei. Se fossi Fini invece, deciderei. Se fossi Di Pietro, la smetterei. Se fossi Vendola, imparerei a tacere. Se fossi Bossi, beh se fossi Bossi, mi ritirerei. Se invece fossi Scajola, ci penserei, perché non si è costretti a rimanere Scajola a vita, si può anche sperare. Se fossi Veltroni, in Africa me ne andrei, come promesso. Se fossi un radicale, mi vergognerei. Perché non far mancare il numero legale, è un po’ come votare. Se fossi deputato, non avrei paura delle elezioni, ma della gente che inizia a chiederle. Se fossi me stesso, come son stato e sarò, rimarrei ad osservare, in attesa del momento in cui qualcuno, con coraggio, spegnesse la macchina che tiene in vita questo Governo ormai morto.

I radicali liberi?

Radio Radicale cerca in tutti i modi di rendere noto quel che già sappiamo tutti: i deputati radicali non hanno votato la fiducia al Governo. Bisogna far attenzione, perché il punto è quasi giurisprudenziale: chiedono clemenza perché loro hanno votato ‘no’ come tutti gli altri. Il verbo sostenere però, non viene mai pronunciato. Perché i radicali questo Governo, volenti o nolenti, l’hanno sostenuto. Entrando in aula. Poi il fatto che i numeri ci fossero uguale è un dettaglio, se non ci fossero stati, loro erano lì pronti a rendere possibile la votazione. Sostegno ridondante, se proprio vogliamo essere precisi. Che sempre sostegno è, almeno dalle mie parti. Dicevano di essere contro l’accanimento terapeutico, e invece tengono un vita un Governo morto politicamente che sta impoverendo noi tutti. Un po’ come quel medico che dice ai quattro venti di voler mettere a termine le sofferenze di una persona morta cerebralmente, ma al momento di spegnere la macchina che alimenta quell’involucro senz’anima, non lo fa.

Il gioco delle coppie

Una ragione ci deve essere, mi sono chiesto. Perché Pannella e la Bonino, ma anche tutti gli altri, non sono certo degli sprovveduti o dei venduti da quattro soldi. E così mi sono informato, ho chiesto in giro. Così qualcuno, all’interno del governo, ha raccontato che questa dei radicali sia stata una rappresaglia bella e buona. I deputati hanno fatto i black block della politica. Senza bruciare cassonetti, sfondare macchine o crepare vetrine. Ma hanno fatto ugualmente una cosa odiosa, una cosa che ogni persona di buon senso avrebbe evitato di fare: sostenere il governo più odiato nella storia repubblicana. “Già mi convince di più” mi sono detto. Perché i radicali avrebbero fatto questa ‘rappresaglia’ contro D’Alema e Casini, prossimi alleati. I due avrebbero deciso per filo e per segno il destino dell’Italia, una volta caduto Berlusconi. Pd e Udc andranno alle elezioni insieme, convinti di raccogliere a mani basse il 50+1% dei consensi. Unica condizione: eliminare le zavorre. Radicali e Fli in primis, forze ultraleggere che rischiano però di far perdere tempo perché la leggerezza elettorale è inversamente proporzionale alle richieste di seggi. Qualcuno dice che potrebbero addirittura allearsi, nel nome di Della Vedova. “Rutelli? E chi è costui?” sembra abbia detto Casini a D’Alema che si informava. Su Vendola e tutta Sel il giudizio è ancora in sospeso. Deve darsi da fare il governatore della Puglia se vuole convincere i due potenziali alleati. Le recenti dichiarazioni su Casini e l’Udc sembrano promettere bene, ma troppe cose si deve far perdonare Vendola. Accettare Di Pietro è più facile, sia per D’Alema che per Casini. Non che l’ex magistrato abbia chissà quale affinità con uno o con l’altro, Di Pietro se lo tengono perché potrebbe fare il boom se solo decidesse di richiamare Grillo, scusarsi e andare alle elezioni con il Movimento a 5 Stelle. Uno porta l’acqua da una parte – il Nord, dove la Lega perde elettorato scontento, pronto di nuovo a ‘protestare’ con un voto pazzo alle urne – e uno porta l’acqua dall’altra – il centrosud, dove l’Idv è forte –. Unico neo la Sicilia. Ma lì, almeno così dicono i maligni, la sorpresa potrebbe essere dietro l’angolo. Perchè nell’Idv potrebbe entrare qualcuno, da destra, che non li ha mai visti con antipatia. Nemmeno ai tempi del Pdl. Quindi Di Pietro è della partita perché nessuno può permettersi brutte sorprese, le incognite, in un’equazione che sembra essere perfetta, devono rimanere a zero. D’Alema più Casini più Di Pietro, con Vendola in panchina se non addirittura in tribuna.

The day after

Il condizionale è d’obbligo però, perché tutti pensano al ‘dopo’, ma questo ‘dopo’ tarda ad arrivare. L’agguato politico salta sempre, una volta perché c’è il 2×3 sui deputati, la volta dopo perché qualcuno decide di vendicarsi in una maniera un po’ subdola. Solo i magistrati sembrano essere precisi, puntuali. Questa opposizione sembra malata di flash forward: tutti a pensare al futuro, ma nessuno che si preoccupa di dare un’occhiata al presente. E così succede che per ben due volte, con tutto il Paese incollato al teleschermo in attesa di festeggiare, con tanto di bottiglia di spumante in frigo, la festa sia rinviata sine die. Condannati a sentire le stronzate della Gelmini, a vedere la Carfagna con gli occhi sempre più sgranati, ad ascoltare Tremonti che ci dà lezioni che poi vengono smentite, a intercettare le conversazioni di Berlusconi con i personaggi più improbabili di questo pianeta, a vedere Cicchitto, Bondi, Gasparri, Brunetta, Romano, Vito, Schifani, La Russa, Ronchi, Urso, Scilipoti e tutti quegli altri personaggi che ormai danno solo il voltastomaco.