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Gli indignatos della digos: anatomia di un fallimento

di Umberto Bianchi - 18/10/2011


Gli eventi di Roma di sabato 15 Ottobre oltreché lasciare naturalmente sgomenti per le immagini di una violenza stupida e cieca rivolta contro tutti e tutto, determinano un senso di impotenza e pessimismo alla base del quale non può non esserci un’amara considerazione sulla peculiarità del “sistema Italia”.

Il 15 Ottobre ha visto svolgersi manifestazioni contro i poteri forti della finanza in mezzo mondo. Tokyo, Taipei, Seul, New York, Santiago ed altre città ancora, hanno ospitato manifestazioni il cui normale svolgimento, ha permesso di far concentrare l’attenzione dei media sulla considerazione di un modello le cui gravi pecche stanno oramai sotto gli occhi di tutti. Liberismo selvaggio uguale miseria, disoccupazione, sperequazione, alienazione, inquinamento, mafie, morte. Tutto questo e più, gridano le migliaia di “indignados” riversatisi nelle piazze di mezzo mondo. Grida il cui eco è giunto anche qui da noi, distorto però dall’ottusità e dalla mala fede di persone, il cui scopo sembra invece esser opposto a quelle tanto propalate buone intenzioni. L’urlo delle sirene, il caos, le vetrine rotte, le macchine incendiate, le botte, i feriti, l’aspro odore dei gas lacrimogeni. Inutile prorompere in latrati di buonismo, in quanto mai tardivi ed ipocriti “non ce lo aspettavamo”.

Inutili e vani i distinguo: l’iniziativa del comitato 15 Ottobre e dei suoi mentori, è partita bacata sin dai suoi esordi. E poi le tante, troppe avvisaglie, avrebbero dovuto mettere sul chi va là più di un organizzatore o di un investigatore, più intenti ad una spettacolarizzazione mediatica dell’evento, tramite l’organizzazione di scenografie colorate per il corteo o la vistosa blindatura del centro storico e la disattenzione verso le altre zone, pagata con quattro ore di guerriglia a S. Giovanni. Il fatto è che questa iniziativa, è già di per sé decollata all’insegna di una mala fede ed un’ipocrisia vomitevoli.

Dicevano di essere aperti, tolleranti, in quanto espressione del disagio della società intera, al di fuori ed al di là di qualunque logica partitica. Ed invece hanno dimostrato di essere i soliti spiriti codini, ipocriti ed intolleranti, cacciando, offendendo e mettendo all’indice chiunque non eseguisse disgustosi auto da fè o non rispondesse a preconfezionate logiche di scuderia. Proprio come accaduto ad alcuni amici dell’associazione Alba Mediterranea, recatisi a conversare di signoraggio con i giovani in assemblea permanente e poi invitati senza tante storie, ad allontanarsi perché il tema del signoraggio era, a loro detta, “fascista”, esigendo inoltre una pubblica presa di posizione di antifascismo. O come accaduto al rappresentante del movimento “democrazia diretta”, recatosi al corteo assieme ai propri amici, ed allontanato bruscamente da alcuni “black block”, poiché lì lo spazio per altre voci non ci doveva essere, visto che tutto era già preordinato e pianificato.

Ben lontani da quell’idea di democrazia diretta che avrebbe dovuto sovraintendere l’intera iniziativa, lor signori hanno saccheggiato, distrutto, violato, i beni di quel popolo di cui dicevano tanto di essere i paladini. Ed a quelli che, tra le fila del corteo hanno, in buona fede, cercato di opporsi allo scempio sono state riservate sprangate, bottigliate e dita mutilate, come nel caso del malcapitato rappresentante di SEL. Senza poi parlare delle profanazioni degli edifici e delle immagini di culto, quanto mai squallide ed inopportune.

Per arrivare a capire quanto accaduto, non ci si può limitare però, ad una sterile giaculatoria sulla violenza compiuta od, al solito e collaudato copione del rimpallo di accuse governo-opposizione a cui siamo quotidianamente abituati.  Bisogna andare più in profondità, alla radice di un problema che affonda le proprie radici nella vicenda delle ideologie occidentali. La crisi del marxismo, seguita alla caduta del Muro di Berlino, ha inevitabilmente trasformato il volto della sinistra.

Quella che in genere, rappresentava l’incrollabile certezza in un sistema ideologico che si era dato la parvenza di vera e propria scienza, il marxismo, corredata da una serie di inconfutabili assiomi e corollari, con la caduta dell’Unione Sovietica, perde tale natura per acquisire invece quella di una “doxa”, opinione corrente i cui unici ed autorizzati interpreti sono quei circoli mediatici che si attengono scrupolosamente alle parole d’ordine del più farisaico e meno ingombrante “politically correct”. La sinistra si fa pertanto metodologia e non più indirizzo dogmatico. La metodologia, in quanto tale, attiene unicamente ad una sfera nominalistica, che può benissimo esulare da qualsiasi altro comportamento singolo. E così si può essere buonisti, solidaristi, democratici a parole, salvo poi spaccare a mazzate la testa di chi non la pensa come te.

Non solo. La trasformazione dell’ideologia in “doxa” si fa portatrice di una manifesta incapacità propositiva. Al di fuori di certe vecchie ed arrugginite parole d’ordine, la proposta è del tutto assente. Il più degli stessi osannati autori di certo antagonismo, si limitano alla minuziosa analisi e descrizione fenomenologica senza sbocchi propositivi. La stessa lotta di classe, è oramai divenuta un obsoleto vessillo, perché ancorato ad una concezione inattuale della realtà. La suddivisione per classi è lascito di un sapere ancorato a paradigmi sette-ottocenteschi che in tutta una serie di pensatori a partire da Lamarck, Linneo sino a Comte ed oltre, era incentrata sulla descrizione e l’analisi di un determinato fenomeno in grado di contemperare in sé proposta, opposizione e soluzione, grazie al massiccio supporto del pensiero hegeliano.

Il fenomeno in oggetto, dunque, slegato da una visione d’insieme, finiva con l’assumere quella valenza di “onnipotens scientia” che gli conferiva un’illusoria aura di infallibilità. La crisi novecentesca della Modernità porta all’idea di una forma-pensiero in grado di adattarsi ad uno scenario onnicomprensivo, quale quello costituito dalla fase apicale della globalizzazione. Da una parte la scienza relativistica con Heisemberg ed Einstein, dall’altra il pensiero filosofico attraverso il pensiero vitalista dei Dilthey e degli Heidegger, inizia a concepire la realtà sotto un’altra prospettiva, all’insegna di un’immediatezza slegata alla precedente rigidità classificatoria, sino ad arrivare a parlare in tempi recenti, di neo parmenidismo, intendendosi con tale termine, una concezione olistica, d’assieme della realtà. Un pensiero debole, inteso nell’accezione più vattiminana del termine, quale entità elastica e contrapponibile alle maglie della globalizzazione, sembra essere la risposta più attuale alla “krisis” occidentale. Ma certe persone di queste problematiche sembrano non interessarsene affatto. Anzi.

In virtù di una visione ottusa e di una evidente malafede, costoro giocando contro il popolo e le sue reali esigenze, contribuiscono a creare un clima di criminalizzazione attorno a qualunque forma di pensiero antagonista, asservendo in tal modo gli interessi della razza padrona dei poteri forti dell’alta finanza. A questo punto, non possiamo non dire che in Italia il progetto ”indignados”  a regia partitocratica cripto-marxista è fallito al suo nascere. Quella stessa sinistra buonista, piagnona e solidarista, quella sinistra di lotta e di poltrona, la sinistra di “repubblica” e soci, ha fallito miseramente. Mentre i “cocchi di mamma”, si dilettavano a spaccare tutto, sotto gli occhi di una Pubblica Sicurezza evidentemente frastornata e non organizzata per reggere un urto simile, vi sono state persone che molto più tranquillamente e civilmente hanno iniziato a raccoglier firme, stendere documenti e creare un dibattito che, sicuramente, produrrà molti più risultati rispetto a chi con la violenza nulla ha cambiato, anzi. Per questo, oggi più che mai, è necessario invitare la gente, ad abbandonare i vecchi schemi ideologici, le vecchie reti partitiche, quegli schemi, dimostratisi alla prova dei fatti fallimentari, nel nome di una reale democrazia diretta che sappia ritrovare nell’azione spontanea, dal basso, nell’iniziativa dettata dalle reali esigenze della gente, quel motore in grado di cambiare la storia.