Credo che le casualità, quando si presentano nel corso storico, non siano mai innocenti. Non ci sono innocenti, ma soltanto vigliacchi e collusi.
Quando davanti alla forza della ragione, che si presenta con tutta la sua debolezza numerica, si preferisce mostrarsi (nel senso proprio di “mostro”) dalla parte della ragione del più forte, e solo per questa infame vigliaccheria dichiararla migliore, non possono esserci attenuanti.
Credere che la partecipazione – di tutte queste debolezze della ragione – alla manifestazione del 15 ottobre a Roma, e l’infame esecuzione di Gheddafi, siano del tutto scollegate, significa veramente fare un torto alla ragione costringendo, ancora una volta, all’ambivalenza e alla mediocrità la necessaria spinta a un divenire attivo delle forze reattive.
Non è stato solo assassinato Gheddafi, ma l’idea stessa di indipendenza e di lotta contro la prepotenza dei codardi, dei vili e dei deboli.
Non riuscire a cogliere le due facce della stessa medaglia sarebbe veramente una sconfitta totale e non avere più nessuna ragione per continuare a lottare contro tutte le manifestazioni d’impotenza al servizio dell’imperialismo degli infami.
Solo rendendo in termini concreti la bassezza, la codardia, la vigliaccheria e l’infamia al loro estremo limite risiede la possibilità di mettere in luce la forza attiva che si batte contro la reazione.
Il vero scandalo, il voltastomaco, lo schifo non è stato assistere a quanti hanno esultato per la macabra danza intorno al corpo martoriato di Gheddafi, perché non ci si può meravigliare e sconcertare verso ciò che si conosce, e quindi in qualche modo prevedibile, quanto piuttosto verso tutti coloro che nei giorni precedenti con quell’area politica, attraverso i loro rappresentanti della vergogna, ci si sono incontrati e ci hanno discusso, riconoscendoli e legittimandoli, per poi manifestare insieme il 15 ottobre tutta la propria inconsistenza politica e l’appoggio, di fatto, all’imperialismo, visto e considerato che il nemico principale era totalmente assente dalla piattaforma politica.
Se siamo giunti a questo stato di cose, lo si deve soprattutto al problema dell’interpretazione delle forze reattive e il grado di sviluppo che esse hanno raggiunto in rapporto alla negazione.
Per troppo tempo abbiamo assistito con sufficienza e benevolenza l’affermazione perché partorita dal punto di vista della negazione, giudicare una volontà affermativa solo perché veniva da una volontà spontaneista, il tutto secondo il solito copione dello sviluppo dialettico.
La dialettica quando nega il concetto di scissione produce soltanto reazione, giustificazione e lassismo.
La scissione, come concetto, deve essere in grado di esprimere chiarezza, deve produrre una selezione, duplice e simultanea attraverso il distacco definitivo dai funzionari dei valori comuni attraverso i quali si esprime e si incarna la sottomissione, idea stessa di appoggio alle “rivoluzioni democratiche”, forma suprema di devozione allo stato dominante.