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Vero l’estinzione della nostra specie?

di Carmelo R. Viola - 26/06/2006

 

 

 

NATURA “UMANICIDA” PER UNA CIVILTA’ SUICIDA!

 

                                                                                                 

 

Il supercaldo di questi giorni, che ha colpito soprattutto la Sicilia, ha richiamato l’attenzione degli specialisti sullo “stato della natura” per effetto delle attività umane (che sarebbe meglio chiamare “antropozoiche” per la qualità delle stesse) ed hanno dichiarato che un’emergenza del genere, oggi solo una faccia di un poligono patologico, ci riporta ad oltre mille anni addietro, prova del sommarsi nel tempo, delle reazioni, potremmo dire “allergiche” – come lo tsunami – di madre natura.  Una ricorrenza così lontana potrebbe discolpare gli uomini se la situazione attuale non contenesse circostanze aggravanti del tutto inedite (a quanto pare) come il surriscaldamento della Terra, a causa dell’”effetto serra”, giunto allo scioglimento dei ghiacciai – una specie di termostato naturale – il cui epilogo terminale sarà la sommersione di non poco territorio costiero, ovvero di zone abitative comprensive di intere città. E questo sarebbe il meno peggio se lo stesso effetto non facesse sempre più “ribollire” il nostro Pianeta fino a renderlo del tutto inabitabile!

Il futuro ecologico non è allettante almeno quanto quello neoliberista (predonomico), detto altrimenti capitalistico, ma la quotidiana suggestione subliminale per l’uso e l’abuso dell’auto – uno dei maggiori fattori disecologici della civiltà adolescenziale (antropozoica) -  non conosce sosta.

In uno dei miei primi brevi saggi introduttivi della biologia sociale –  “Per una civiltà che va in rovina… l’ingegneria biosociale” – apparso nel 1988 su una delle riviste specialistiche di Napoli, “Diogene, oggi” (onorata degli “auspici del Comitato Nazionale delle Ricerche Scientifiche), ebbi a scrivere che, se necessario, bisognerebbe avere il coraggio di tornare al lume al petrolio e alla trazione animale! La mia affermazione può sembrare del tutto gratuitamente eccessiva ma, a ben riflettere, non lo è di fronte allo spauracchio di un’umanità in preda ad una successione di cataclismi e di disastri ecologici (inondazioni, siccità, nubifragi, alluvioni, nubi tossiche e così via).

La tecnologia è una creazione della nostra specie, non necessariamente positiva, come qualcuno può pensare. Essa non costituisce progresso per sé stesso ma solo arricchisce lo strumentario e, come tale, è neutra o ambivalente, proprio come un coltello (esempio banale) che serve per tagliare una torta e per fare tante altre cose utili e innocue, ma che può servire anche per aggredire ed uccidere. Lo stesso può dirsi della tecnologia. La sua funzione – fisiologica o patologica – dipende dal soggetto o sistema che ne fa uso. In un contesto predonomico – per intenderci capitalistico, proprio dell’età  preadulta-antropozoica dell’umanità tuttora dei nostri tempi – la tecnologia agisce secondo due versi grotteschi e “complementari”. Da un lato, con il pretesto di rendere tutto “artificiale” – come se questo fosse il meglio – distrugge tutto ciò che è naturale. Facciamo l’esempio delle vecchie case: esse avevano pareti spesse, che non lasciavano passare il caldo, mitigavano il freddo e attutivano i rumori. Nelle antiche e caratteristiche costruzioni di Ghadames – tipica città millenaria nel cuore del sahara libico – gli abitanti si difendono ancora dalle escursioni termiche in modo eccellente senza alcun ausilio tecnologico, vivono nella frescura e nel silenzio e, in più, dispongono di contenitori primitivi (ovvero costruiti utilizzando gli attributi naturali del materiale) in cui possono conservare il grano fresco per anni. E certo non solo questo.

La tecnologia “predonomica” va distruggendo tutto questo a tappeto in nome del… progresso. Mentendo, naturalmente. Infatti, la parola progresso sta per “affari degli imprenditori”. Anche i nostri vecchi edifici storici hanno strutture che hanno resistito per secoli. Oggi i normali palazzi sono composizioni di pannelli al pari del mobilio, oggi costruito in truciolato contro il legno massiccio e resistente di una volta. I nostri condomìni – veri alveari umani, dove caldo, freddo e rumore la fanno da padroni dispotici – hanno bisogno della tecnologia industriale oltreché di frequente manutenzione. Alle deficienze dell’artificiosità supplisce  - come calcolato dai predatori di mestiere – la tecnologia con impianti di riscaldamento e con condizionatori d’aria, i quali producono un ambiente innaturale, spesso nocivo alla salute e, contemporaneamente, aumentano l’anidride carbonica ovvero l’inquinamento atmosferico e il marasma dei valori fisiologici della biosfera (che è un organismo vivente sui generis), indispensabili ad un habitat salutare per l’uomo.

Che cosa succede all’arrivo di un caldo anomalo e alla notizia dello scioglimento dei ghiacciai eterni? O in caso di irrespirabilità dell’aria in città industriali come Milano, afflitte dallo smog? Quasi nulla. Il blocco della circolazione delle auto private o la loro circolazione a giorni o a targhe alterne, sono provvedimenti ridicoli che rasentano il pietoso. Anni fa ebbi a scrivere, a questo proposito, sul periodico catanese “Sicilia Sera”, che la società capitalista rovina sopra la propria spazzatura. Poi ci sono gli “accordi di Kioto”, che restano sulla carta e che gli Usa, per estrema coerenza, propria di una “fogna a cielo aperto”, non firmano nemmeno. Per non disturbare i businesmen di casa.

L’esempio più intuitivo di una tecnologia “al servizio del peggio della specie” per far comodo ai padroni, ce lo dà la Fiat che - come i mulini a vento del paranoico Don Chisciotte, che continuano a girare incuranti dei colpi di durlindana del povero paranoico – continua , come detto più sopra, a somministrare una pubblicità “impositiva” al limite dell’asfittico e dello stomachevole.

 L’azienda Fiat – come tutte le consorelle, motivate dal solo calcolo dei profitti parassitari – ha dalla sua una ragione del tutto plausibile dal punto di vista capitalistico: se la sua produzione cala, aumenta la disoccupazione, e se cala ancora può perfino chiudere producendo un maggiore disastro sociale. Ma è proprio tale ragione (predonomica) che ci dice in maniera inequivocabile che il capitalismo non è  compatibile con gli equilibri della biosfera e quindi con la sopravvivenza della specie umana. Solo l’applicazione rigorosa dell’economia – intesa nel suo significato etimologicio-essenziale – è compatibile con la natura. Il suo concetto, infatti, coincide perfettamente con quello di socialismo, che produce secondo possibilità e distribuisce secondo bisogno.

Produrre secondo possibilità vuol dire anche “tornare al passato” (si parla impropriamente di “decrescita”), mantenere le modalità (varianti) di risposta ai bisogni essenziali (costanti) che rispettano la natura, usare la tecnologia secondo una rigorosa etica biologica. E’ l’esatto contrario della civiltà corrente. Dopo il requiem del socialismo, con la partecipazione in prima persona della Chiesa cattolica nella funzione di “campanara di rintocchi funebri”, è difficile convincere la massa (entità degenere del popolo), oggi anche abilmente ottusa dal tifo sportivo e da altri “sonniferi sociali”, che il socialismo non è un’opzione possibile tra altre, ma una scelta obbligata per non fare le valige: destinazione un ipotetico pianeta capace di accogliere una specie profondamente stupida e suicida degna di una natura “umanicida”!

 

Carmelo R. Viola – Centro Studi Biologia Sociale – crviola@mail.gte.it