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Non faccio parte dei furfanti

di Massimo Fini - 26/06/2006

 
L'altro ieri l'onorevole Berlusconi, davanti a una platea di suoi fan, ha affermato: «Non credo che possa sentirsi degno di essere italiano chi non voterà sì» al referendum sulle riforme costituzionali. In serata ha poi corretto il tiro dicendo che «è indegno di essere italiano solo chi non va a votare». Per la verità l'esercizio del voto in generale, e tanto più in un referendum, è un diritto e non un dovere del cittadino. In Svizzera, dove di queste consultazioni se ne fanno ad ogni momento, va a votare solo la metà degli aventi diritto, ma nessuno si sognerebbe mai di dire che l'altra metà "è indegna di essere svizzera". Io non andrò a votare al referendum. Ho perso ogni fiducia nella democrazia rappresentativa che, come ho scritto tante volte, è una forma di feudalesimo mascherato, a pro di oligarchie politiche (leggi partiti) ed economiche.

Queste oligarchie, sotto il manto di una legalità solo apparente, compiono ogni sorta di abusi, di soprusi, di sopraffazioni sul cittadino e non credo proprio che un restyling costituzionale possa cambiare una situazione che è consustanziale ad ogni liberaldemocrazia e che da noi viene aggravata dalla mancanza di quell'etica protestante che in altri Paesi agisce un po' da freno alle peggiori degenerazioni del sistema.

Sono quindi "indegno di essere italiano". E me ne vanto. Sono felice di non far parte di quest'Italia di tangentisti, di rackettari, di mafiosi, di ricattatori, di raccomandati, di clientes, di latrones, di gente che ha rubato e ruba su tutto, sugli ospizi, sui cimiteri, sulle tombe, sulla salute dei cittadini e che è ben rappresentata, simbolicamente, dal suo sia pur defenestrato erede al trono, il principe Vittorio Emanuele che, come del resto aveva già fatto il ministro socialista e repubblicano Gianni De Michelis, taroccava i cosiddetti "aiuti al Terzo mondo" e vi forniva al posto delle medicine dei placebo di "acqua e zucchero". Sono felice di non far parte di questo Paese di furfanti che non si vergognano di essere tali, ma anzi se ne vantano («Sì, raccomando. Le "anime belle" devono rassegnarsi»). Sono felice di non far parte di un Paese di omuncoli, senza dignità e senza onore, che non sono nemmeno capaci di conquistare una ragazza senza ricorrere al ricatto del Potere e dove le donne si vendono con la stessa facilità con cui gli uomini le comprano. Sono felice di non far parte di un Paese dove il più pulito c'ha la rogna e che crede di poter riscattare l'orgoglio e la dignità nazionale perdute con qualche vittoria in quel calcio che peraltro ha ridotto, anch'esso, a una fogna.

Sono convinto che quando gli storici, col distacco che consente la distanza, valuteranno l'attuale Italia democratica la considereranno la peggiore di tutta la sua pur lunga storia (sempre che, dopo, non ne arrivi una ancor più malfamata, il che è sempre possibile). Peggiore non solo, va da sè, dell'Italia preunitaria, l'Italia dei Comuni e delle Repubbliche marinare, lo straordinario Paese-laboratorio che con l'ascesa delle classi mercantili fiorentine, biellesi, piacentine, diede il via alla Modernità (che poi questa si sia rivelata un boomerang non può essere addebitato a quei precursori), l'Italia delle arti e dei mestieri, di Piero della Francesca, di Paolo Uccello, di Leonardo, di Michelangelo, di Raffaello e dei suoi grandi letterati, di Dante, di Petrarca, di Boccaccio, di Cavalcanti, del Tasso e dell'Ariosto, ma peggiore anche della prima Italia unita, aristocratica ed elitaria dove però un ministro della destra storica si suicidò, non reggendo la vergogna, per essere stato accusato di aver portato via dal suo ufficio un po' di cancelleria (oggi i figli dei lestofanti, dei corruttori e dei corrotti, divenuti "martiri", hanno, come minimo, un posto assicurato in Parlamento), ma peggiore persino dell'Italia del Fascismo che aveva perlomeno in testa un'idea di Nazione che cercò di realizzare con alcune operazioni intelligenti (l'Iri, i primi piani regolatori, le prime leggi di tutela artistica e ambientale, l'attenzione alle "arti nuove", il design e il cinema, per parlare solo di alcuni aspetti), anche se poi fu travolta dalla responsabilità della sconfitta nella guerra. Oggi l'unica idea in testa alle nostre classi dirigenti, di qualsiasi colore politico esse siano, è quella di arricchirsi il più rapidamente possibile a spese dei cittadini.

Sono felice di non far parte di un Paese nel cui Parlamento, luogo sacro della democrazia, ci sono più di 150 pregiudicati o inquisiti. Sono felice di non far parte di un Paese che, da Caporetto in poi passando per Mussolini che fugge travestito da soldato tedesco, per il Re e Badoglio che abbandonano Roma al suo destino, per le orribili lettere di Aldo Moro e finendo con Craxi e oltre, ha una classe dirigente di vigliacchi che cercano sempre, al momento del dunque, di sottrarsi, magari confezionandosi anche qualche legge "ad hoc", alle proprie responsabilità. Italiano sarà lei, onorevole Berlusconi.