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Bahrain: colpo di spugna del regime

di Michele Paris - 28/11/2011


Sono state finalmente rese pubbliche le conclusioni della speciale commissione d’indagine “indipendente” sulla repressione delle proteste popolari andate in scena la scorsa primavera in Bahrain. Il gruppo di esperti che ha cercato di fare luce sugli abusi nella piccola monarchia del Golfo Persico, da un lato ha denunciato l’uso eccessivo della forza da parte del regime, dall’altro ha escluso qualsiasi responsabilità del governo nel pianificare il brutale soffocamento della rivolta.

La commissione era stata creata nel mese di giugno dal sovrano del Bahrain, Hamad bis Isa al-Khalifa, ed era guidata dal giurista egiziano, esperto di crimini di guerra, Mahmoud Cherif Bassiouni. Nonostante una simile iniziativa appaia finora come una novità assoluta nei regimi del mondo arabo travolti dalle proteste, il compito assegnatole era sostanzialmente quello di coprire le responsabilità dei vertici del regime nella repressione per attribuirle solo ad alcuni membri delle forze di sicurezza.

Già lo scenario nel quale si è svolta la presentazione del rapporto di 500 pagine la dice lunga sulla presunta indipendenza della commissione. Nella capitale del Bahrain, Manama, Bassiouni è apparso in una conferenza stampa di fronte a numerosi esponenti del governo locale - oltre che a giornalisti e associazioni a difesa dei diritti umani - sostenendo che durante le proteste sono stati impiegati metodi violenti e commesse torture per estorcere false confessioni agli attivisti arrestati.

Le parole di Bassiouni non hanno lasciato spazio a molti equivoci su ciò che è accaduto nel paese tra febbraio e marzo. “I metodi usati dalle forze di sicurezza”, ha denunciato il giurista egiziano, “hanno causato gravi violazioni dei diritti umani, comprese uccisioni e torture. Il ricorso ingiustificato ad una eccessiva forza si è accompagnato ad un comportamento che ha diffuso il terrore tra la popolazione civile”. Inoltre, “numerosi detenuti sono stati sottoposti a torture fisiche e psicologiche”. Secondo Bassiouni, infine, i responsabili degli abusi hanno goduto finora di una totale impunità.

La vera natura dell’iniziativa di facciata del sovrano del Bahrain, nonché della stessa commissione, è emersa dalla conclusione tratta da Bassiouni, secondo il quale non esisterebbero prove per sostenere che il governo abbia deliberatamente messo in atto dall’alto una politica repressiva fatta di abusi e torture per reprimere la rivolta. Con il sostegno più o meno esplicito dei suoi principali sponsor - Arabia Saudita e Stati Uniti - il sovrano del Bahrain e la sua cerchia di potere, invece, hanno precisamente deciso da subito di reprimere nel sangue le manifestazioni pacifiche che potevano mettere a rischio la stabilità del paese. Proprio per questo, nessuno dei responsabili materiali degli abusi, né tanto meno i loro superiori, é stato chiamato a rendere conto delle proprie azioni, come ha appunto rilevato la commissione.

Nel suo rapporto, Bassiouni raccomanda poi al governo l’istituzione un corpo indipendente per indagare ulteriormente sui responsabili delle violenze e per riesaminare le centinaia di sentenze di condanna emesse in questi mesi dai tribunali speciali contro gli attivisti arrestati. Il tutto, ovviamente, per cercare di ripulire l’immagine del Bahrain agli occhi della comunità internazionale, soprattutto in Occidente.

Nel piccolo stato del Golfo Persico a maggioranza sciita, sulla scia degli eventi in Tunisia ed Egitto, nel mese di febbraio erano scoppiate proteste di massa contro il regime sunnita di Hamad bin Isa al-Khalifa. Centinaia di migliaia di manifestanti scesi nelle piazze - in particolare sciiti, nonostante le proteste non avessero evidenziato un carattere settario - intendevano dare sfogo a frustrazioni decennali nei confronti di un regime anti-democratico e discriminatorio.

La rivolta è stata alla fine soffocata duramente, anche grazie all’intervento militare dei vicini Arabia Saudita ed Emirati Arabi, spaventati dal possibile contagio delle proteste. In un paese che conta poco più di 1,2 milioni di abitanti, alla fine il bilancio fu di svariate decine di morti, centinaia di arresti e migliaia di licenziamenti, sia nel settore pubblico che in quello privato, per coloro che avevano partecipato alle manifestazioni.
 
Dopo la pubblicazione del rapporto, il sovrano ha ammesso “una serie di mancanze da parte di alcuni organi del governo” ma ha allo stesso tempo elogiato le forze di sicurezza per aver difeso il paese dalle “provocazioni di agenti interni ed esterni”. Il riferimento è ancora una volta al vicino Iran sciita, accusato fin dall’inizio della rivolta di aver alimentato i disordini e di cercare un cambiamento di regime. Di legami tra la Repubblica Islamica e le proteste in Bahrain, peraltro, non è mai stata presentata alcuna evidenza, come ha confermato la stessa commissione d’indagine presieduta da Bassiouni.

Al tentativo di occultamento delle reali responsabilità delle violenze in Bahrain si sono accodati anche gli Stati Uniti, per i quali questo paese ricopre un’importanza strategica fondamentale in Medio Oriente. Qui trova infatti ospitalità la Quinta Flotta della Marina americana, responsabile delle forze navali dispiegate nel Golfo Persico, nel Mar Rosso, nel Mare Arabico e al largo delle coste orientali dell’Africa fino al Kenya. Nel corso della crisi la scorsa primavera, perciò, gli USA emisero al massimo alcuni comunicati generici chiedendo moderazione sia ai manifestanti che ad un regime a cui hanno continuato a garantire il loro appoggio.

Per Washington, il rapporto della commissione sarebbe ancora da valutare a fondo, anche se già mercoledì la Casa Bianca ha espresso il proprio apprezzamento per l’iniziativa del sovrano del Bahrain per avviare il paese verso un percorso di democratizzazione e riconciliazione. In realtà, è più che probabile che la stessa commissione d’indagine sugli abusi della repressione sia stata promossa dall’amministrazione Obama, sotto pressione da tempo per non aver preso le distanze dal regime e per aver impiegato un doppio metro di giudizio nell’approccio alle rivolte in corso nel mondo arabo.

La situazione in Bahrain, in ogni caso, a tutt’oggi non ha fatto registrare passi avanti significativi, né il rapporto della commissione Bassiouni contribuirà a pacificare il paese o a soddisfare le legittime richieste della maggioranza della popolazione. Proprio mercoledì, infatti, si sono verificati nuovi scontri nel paese, questa volta tra un gruppo di giovani e le forze di sicurezza del regime in una località nei pressi della capitale, in seguito alla morte di un uomo causata da un’auto della polizia.