Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Islam di Marocco

Islam di Marocco

di Michele Paris - 30/11/2011


    


Venerdì scorso in Marocco si sono tenute le prime elezioni dopo l’approvazione delle timide riforme costituzionali promosse dal sovrano, Mohammed VI, in risposta alle proteste di piazza che dall’inizio dell’anno stanno interessando anche questo paese nordafricano. A conquistare la maggioranza relativa è stato il partito islamista moderato Giustizia e Sviluppo (PJD) il quale, nonostante la necessità di fare affidamento su altre formazioni politiche per la creazione del nuovo governo, potrà per la prima volta indicare il nome del prossimo primo ministro.

Quello del PJD in Marocco è il secondo successo elettorale in poche settimane ottenuto da un partito d’ispirazione islamica, sia pure moderata, dopo l’affermazione di Ennahda in Tunisia, mentre precede la probabile vittoria dei Fratelli Musulmani in Egitto, dove la prima fase del discusso processo di transizione ha preso il via con il voto di lunedì.

Secondo i risultati definitivi annunciati dal governo, il PJD ha conquistato 107 seggi sui 395 complessivi del parlamento marocchino, vale a dire più del doppio della sua attuale rappresentanza (46). Come stabilito dalle recenti modifiche costituzionali, il nuovo premier verrà scelto dalle fila del partito con il maggior numero di seggi che procederà poi a formare la coalizione di governo. Candidato alla carica di primo ministro è il segretario del partito, Abdelilah Benkirane, il quale dovrebbe diventare non solo il primo capo di governo marocchino espressione di una consultazione popolare, ma anche il primo appartenente ad un partito islamista. Fino ad ora, il sovrano aveva facoltà di indicare un primo ministro di sua scelta e l’incarico era perciò sempre stato assegnato ad un esponente dei partiti che tradizionalmente orbitano attorno alla corte alauita.

Non avendo raggiunto la maggioranza assoluta nel nuovo parlamento, il PJD dovrà trovare dei partner di coalizione. Molto probabile appare un accordo con l’attuale formazione di governo, il partito nazionalista conservatore Istiqlal (Indipendenza). Quest’ultimo, storico partito della monarchia marocchina, ha ottenuto 60 seggi (+ 8 rispetto al 2007) e l’attuale premier, Abbas El Fassi, nella giornata di sabato ha già confermato di essere pronto ad entrare in un governo di coalizione con Giustizia e Sviluppo. Al terzo posto, con 52 seggi (+ 13), si è posizionato poi un altro raggruppamento vicino al sovrano, l’Unione Nazionale degli Indipendenti (RNI) di centro-destra, guidato dal Ministro delle Finanze in carica, Salaheddine Mezouar.

Come nel resto del mondo arabo, anche in Marocco a inizio anno avevano cominciato a diffondersi proteste popolari che chiedevano una democratizzazione del sistema, monopolizzato dall’istituzione monarchica. Qui, tuttavia, le manifestazioni sono sempre state relativamente contenute e non si sono verificati gravi episodi di violenza come in altri paesi. In risposta alle richieste avanzate principalmente dal Movimento 20 Febbraio, Mohammed VI si era comunque mostrato disponibile a rinunciare ad alcune prerogative reali e a lanciare riforme di facciata.

Un’apposita commissione da lui istituita aveva così studiato una serie di riforme costituzionali che sono state poi approvate a larga maggioranza tramite un referendum popolare nel mese di luglio. In base alle nuove misure, il sovrano è stato privato del potere di controllo sul sistema giudiziario, ma anche, come già anticipato, di scegliere il primo ministro senza tenere conto dei risultati elettorali e di sciogliere il parlamento. Queste e altre modifiche, tuttavia, hanno mantenuto sostanzialmente immutata la struttura del potere in Marocco, dove la monarchia continua ad avere un ruolo centrale. Il re conserva, infatti, tutto il proprio potere decisionale, ad esempio sulle questioni religiose, sulla politica estera e in materia di sicurezza e difesa.

Mohammed VI era salito al trono nel 1999 in seguito alla morte del padre, Hassan II, e viene generalmente considerato in Occidente come un riformatore che ha relativamente aperto la società marocchina e limitato gli abusi dei diritti umani nel paese. Nonostante una serie di misure di impatto limitato, il Marocco in questi dodici anni non ha in realtà evidenziato progressi democratici significativi, come confermano le persistenti detenzioni per motivi politici e le distorsioni seguite alla partnership con Washington nell’ambito della cosiddetta guerra al terrore.

La risposta della maggioranza della popolazione marocchina ai presunti cambiamenti del panorama politico marocchino negli ultimi mesi è sembrata in ogni caso piuttosto tiepida. L’affluenza alle urne ha fatto segnare qualche progresso dalle ultime elezioni nel 2007, passando dal 37 al 45,4 per cento. Il dato di venerdì è però nettamente inferiore rispetto al 2002, quando votò il 51,6 per cento degli elettori registrati. Oltre alla disillusione per un sistema in gran parte identico al recente passato, sul numero dei votanti ha influito anche l’appello all’astensione del Movimento 20 Febbraio, che ritiene inadeguate le riforme di Mohammed VI e continua a chiedere una monarchia costituzionale sul modello britannico.

Il partito Giustizia e Sviluppo si ispira all’omonimo partito di governo turco e promuove un Islam moderato. Nel corso della campagna elettorale appena conclusa sono stati pressoché totalmente tralasciate le questioni religiose, per puntare piuttosto sulle emergenze economiche e sociali degli strati più disagiati della popolazione. Come Ennahda in Tunisia, d’altra parte, anche il PJD intende dare un’immagine rassicurante di sé come prossima forza di governo, così da non inimicarsi i partner occidentali del Marocco.

Il PJD, oltretutto, appoggia la casa reale, al contrario di al-Adl Wal Ihsane (Giustizia e Carità), un altro movimento islamista di massa, ufficialmente illegale anche se tollerato dal governo, che ha partecipato alle proteste di piazza promosse dal Movimento 20 Febbraio e, come quest’ultimo, ha insistito per il boicottaggio delle elezioni. Il successo del PJD conferma comunque il discredito dei partiti vicini al sovrano o nominalmente di opposizione. In mancanza di valide alternative, la maggioranza dei marocchini che si sono recati alle urne ha scelto di votare per gli islamisti moderati, i cui appelli populisti hanno avuto un certo successo tra le classi medie e quelle più povere.

Nonostante alcune agenzie di stampa abbiano scritto di insolite apparizioni sulle TV locali di giornaliste marocchine con l’hijab all’indomani del voto, è improbabile che la vittoria del PJD possa produrre una svolta in senso islamista o anti-occidentale in Marocco. A confermarlo sono stati, tra l’altro, i commenti positivi dei governi di Francia e Stati Uniti. Da Parigi, il Ministro degli Esteri, Alain Juppé, ha affermato che “il risultato del voto va rispettato” e che a suo parere il PJD “ha posizioni moderate”. Da Washington, invece, il Segretario di Stato, Hillary Clinton, si è congratulata per il “successo delle elezioni”, ricordando che i leader scelti dal voto “non saranno giudicati soltanto da quello che dicono ma anche da quello che fanno”. A cominciare dalla disponibilità a continuare ad assecondare gli interessi americani, ovvio.