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Il 2012 porterà la guerra tribale in Libia?

di Franklin Lamb - 04/01/2012

   
   

Il tempo a Tripoli in questa settimana di capodanno è inaspettatamente glaciale con le pesanti piogge che allagano le strade, ricordandomi più una tetra Londra che la costa meridionale magrebina del Mediterraneo. Il mio albergo fuori dalla via Omar Muktar, gestito da una modesta famiglia, è pulito ed economico, ma la mia stanza non ha riscaldamento a parte quello che si può riuscire a ottenere con una sfilza di coperte turche in felpa.

Sia io che l’unico altro ospite registrato, un ingegnere libico di Sirte la cui casa è stata incendiata dai ribelli all’inizio di ottobre, stimiamo molto il proprietario dell’albergo che ha riaperto ai primi di novembre dopo la chiusura che andava avanti da marzo. È un’enciclopedia di conoscenze e di opinioni sulla “situazione odierna”. Ma il proprietario dell’albergo e i suoi due figli che parlano inglese non sono i soli che non possono tacere sulla realtà della “nuova Libia” a quasi due mesi dalla sedicente vittoria della NATO, che ha praticamente ridotto in macerie questo paese, da un punto di vista militare, del Terzo Mondo con i più sofisticati arsenali del Primo.

La mia fortuna in questo viaggio è stata quella di ritrovare il mio migliore amico dei mesi che ho trascorso in Libia la scorsa estate. “Ahmad”, che come quasi tutti i contatti, era svanito senza lasciare traccia il 22 agosto dopo la presa di Tripoli da parte delle truppe della NATO. Come gia sapevamo, quelli che avevamo frequentato quest’estate erano fuggiti, sono stati imprigionati o uccisi. “Ahmad” è riapparso a settembre con un’email per spiegarmi dove si stesse nascondendo. Era sceso nella Libia del sud in una piccola città sahariana che non figura sulle carte geografiche, figuriamoci su Google Earth. Poi, dopo qualche settimana Ahmad è scomparso di nuovo quando si è avventurato per fare visita alla famiglia vicino Tripoli. Era stato tradito dagli amici per i soldi delle milizie, è stato arrestato, torturato e imprigionato senza imputazione solo sapevano che la sua famiglia sosteneva Gheddafi. Nell’ultima settimana di prigionia di Ahmad, che è terminata solo perché una delle guardie era un suo compagno di classe, lui e più di altri cento - tra cui Sheik Khaled Fantouch, tutti detenuti in una grande stanza di una prigione improvvisata a Misurata – non hanno ricevuto niente da mangiare e si sono divisi le bottiglie d’acqua per sopravvivere.

La vita in Libia è diventata per tutti più difficile, visitatori stranieri compresi. Un esempio: tornando all’estate, prima del 21 agosto, se ci si trovava di fronte sul marciapiede qualcuno pesantemente armato e corrucciato era una buona idea sussurrare “Allah, Muammar, Libya, al bas” (“è tutto quello che ci serve!”) e c’erano buone possibilità di essere salutati calorosamente. Ora è molto più complicato. Più di 55 milizie dei ribelli, per un totale di oltre 30.000 combattenti armati, controllano parti di Tripoli, alcune con una lasca protezione e direzione di Belhaj, il Comandante Militare di Tripoli del CNT. Belhaj, prima in Al Qaeda, ha trascorso qui sette anni di prigione quando gli Stati Uniti e il Regno Unito lo spedirono al regime di Gheddafi seguendo un programma di catture forzate. Il suo partito, che si è formato all’interno della Fratellanza Musulmana, probabilmente vincerà le elezioni del prossimo giugno. È nella terza più potente milizia di Tripoli. La più grande è guidata da Salh Gait, da Tripoli, e secondo il suo vice ha 5.000 combattenti e altri si stanno aggiungendo.

In questi giorni, in Libia è una buona idea memorizzare il nome della maggiore milizia locale e dei suoi leader, e così, quando si viene avvicinati da qualche soggetto poco amichevole e pesantemente armato si possono sfregare i due diti indice e dire il nome del capo aggiungendo “Mieh, mieh”, “Bene, bene”. Si vuole evitare di dire il nome sbagliato della milizia e del leader perché oggi c’è una strana calma a Tripoli dopo alcune settimane fitte di schermaglie poco riportate sulla stampa.

Poco riportate per la seguente ragione. Il governo di transizione sbandiera con quotidianità la nuova libertà della stampa, parlando dell’esistenza di 43 nuovi giornali o riviste. A prima vista sembra una cosa positiva e ogni settimana il numero varia quando i finanziatori locali e stranieri non riescono a recapitare i soldi promessi o altri iniziano a pubblicare un quotidiano o un settimanale.

La cosa da rimarcare “sulla nuova Libia libera, sui nuovi media liberi” è che è al 100% solidale col “nuovo governo”. Mi è stato detto che solo in parte viene dalla paura delle conseguenze che verrebbero da non seguire il copione di un sostegno generalizzato per il CNT. Un altra ragione, secondo un ambasciatore occidentale che ha risposto a questo post, è che i nuovi media provengono dalla miriade di milizie e hanno un problema psicologico nel criticare i problemi che sembrano lievitare giorno dopo giorno. Ahmad puntualizza: “Erano così vicini alla NATO e ai ribelli che non vogliono ammettere che si erano sbagliati su molte questioni e allora ignorano quello sta avvenendo davanti ai loro occhi.

Ho assistito ieri a un esempio in Piazza Verde. Il proprietario dell’albergo mi ha spiegato che quasi tutti continuano a chiamarla Piazza Verde invece di Piazza dei Martiri secondo la ridenominazione del CNT “perché è stata la Piazza Verde per decenni e cosa c’è di sbagliato in quel nome? Se dici a qualcuno di incontrarsi in ‘Piazza dei Martiri’, la cosa sembra stupida. Cosa succederebbe se il nuovo governo egiziano desse un altro nome a Piazza Tahrir? La gente in Egitto lo accetterebbe?”

Ieri sono stato sorpreso dall’assistere a due ben nutrite manifestazioni contro il governo indette alle opposte estremità di questo grande spazio. Una era organizzata da due donne che avevo conosciuto durante l’estate che erano e apertamente sono ancora sostenitrici del regime di Gheddafi. La prima guidava la scorsa estate un gruppo di donne avvocato e l’altra un gruppo di donne. Questa dimostrazione chiedeva la cittadinanza per i mariti e i bambini delle mogli e delle madri libiche. La stessa lotta che prosegue da decenni in Libano.

L’altra dimostrazione, tenuta da una signora avvocato che avevo visto parlare a una conferenza al Corinthia Hotel pochi giorni prima della caduta di Tripoli, era organizzata da un gruppo che chiedeva giustizia per quelli che erano scomparsi e che a decine sono stati confinati nelle prigioni segrete delle milizie in tutto il paese. Secondo la ricerca del suo comitato, oltre ai 7000 e più lealisti di Gheddafi che sono stati imprigionati dal CNT – l’80% identificato per nome -, il Comitato per la Giustizia degli Scomparsi afferma che sono più di 35.000 i libici reclusi segretamente dalla milizia che sono fuori dal controllo e talvolta persino ignoti al fondamentalmente esautorato CNT. Ahmad ritiene corretti questi dati da quello che ha potuto capire in prigione e mi ha spiegato che, se mi avesse portato in una scuola nei pressi dell’albergo prima della riapertura del 7 gennaio, se si cammina di notte senza il rumore del traffico si possono sentire le grida delle guardie e le urla dei prigioni.

A me sembra che, almeno per il momento, le manifestazioni vengono permesse anche se c’è una pletora di osservatori che controllano tutto e tutti capiscono quali sono quelli del CNT e delle forze di sicurezza della milizia.

Ahmad è appena arrivato a prendermi e mi ha informato che nessuna manifestazione è stata riportata sui giornali di questa mattina grazie ai nuovi media libici, così magnanimi da non fare mai critiche al nuovo governo.

La signora che guida l’altro consesso ha proposte varie questioni che il suo gruppo vuole sollevare. Una è il fatto che molte donne sono scomparse dalle vie e che non se ne sente più parlare. Lei sospetta che alcune siano finite nelle case che prima erano dei parenti di Gheddafi e dei sostenitori del regime. Ritiene che solo a Tripoli più di novanta di queste case - tutte in zone pregiate, spesso sul mare – siano state saccheggiate da varie gang dei ribelli e derubate dei beni che si possono ora trovare in vendita nei suk. Vedendo la distruzione di queste proprietà, molti membri della milizia hanno avuto un’idea migliore. Perché tornare a Bengasi, Misurata o in qualsiasi altro posto quando possono vivere qui a Tripoli in un relativo lusso? Sono centinaia gli uomini delle milizie che stanno facendo questo, secondo “Mara”, l’attivista per le donne. “Sono ben armati, vivono di una piccola paga della milizia, ma più che altro di svariati delitti, stanno iniziando a riparare quello che hanno prima distrutto e si sono trasferiti per rimanerci, tanto da affittare stanze ai nuovi arrivati”. Mara ha aggiunto, “Se vedono una casa vuota, specialmente se è bella, ritengono, spesso giustamente, che fosse dei parenti, dei funzionari o dei sostenitori di Gheddafi e pensano quindi che sia a loro disposizione. E se la prendono. E sfidano chiunque, le altre milizie e l’inesistente nuovo governo a cercare di farli sgomberare. Non hanno alcuna intenzione di tornare da dove sono venuti, tanto meno di posare le armi. Al contrario, si stanno accaparrando sempre più armi ed esplosivi, sia per la sicurezza che per aumentare il proprio potere contrattuale in campo politico. Sembra proprio che la Libia sia terreno di conquista per molte operazioni, sia locali che provenienti dall’estero.” La stessa signora mi ha detto che la popolazione di Tripoli è aumentata di un milione e i locali vogliono che gli “estranei” ritornino alle loro città e che permettano ai veri residenti di Tripoli di prendersi cura della propria. Gli estranei aggiungono problemi al traffico e provocano problemi di sicurezza, tanto che le persone non escono la sera.

Alcuni degli invasori di queste case hanno spostato le proprie famiglie dalle altre zone della Libia, altri sono accusati dai gruppi di tutela delle donne di tenere recluse le lavoratrici domestiche straniere e di aver sequestrato ragazze nelle strade e di averle schiavizzate nei propri rifugi.

Ma molti sono infuriati perché il nuovo “governo” non riconosce neppure l’esistenza del problema, visto che non ha alcun desiderio di assistere a un’indagine della Corte Penale Internazionale sui crimini delle due parti, e non vuole controllori che vadano in giro a fare domande.

I libici all’interno del paese e quelli che cercano sicurezza nelle nazioni vicine si stanno sempre più affidando alle dieci maggiori tribù per porre fine a questa situazione e a tanti altri problemi.

Un problema che si pensa sia sul punto di esplodere con violenza viene dalle aree di Bani Wallid e Sirte, dove la NATO e le forze locali hanno ucciso molti civili di cui nessun gruppo a sostegno dei diritti umani è venuto a conoscenza. Un comandante di una milizia locale ha spiegato a me e altri due colleghi qualcosa che ha appreso mentre stava aiutando a gestire una prigione segreta: “Anche se un anno fa erano già presenti divisioni intra-tribali o geografiche, ora sono 500 volte peggiori. Le tribù si stanno armando e hanno dato al governo diverse scadenze sugli impegni per ricostruire le abitazioni e le aziende distrutte, per aiutare le famiglie senza casa, per togliere le armi dalla strada e rispedire le bande armate nei posti di provenienza. Al momento il governo non ha fatto niente e la gente è sempre più arrabbiata.”

Uno dei problemi che crea più attrito è l’aumento generalizzato dei prezzi, a parte l’elettricità che, secondo le mie fonti, nessuno sta pagando in tutta la nazione dallo scorso febbraio. Ma le interruzioni del servizio sono analoghe a quelle dei bombardamenti della NATO. La mancanza di soldi è un problema per i cittadini a cui non è consentito prelevare più di 750 dinari al giorno. Il denaro è ancora relativamente scarso e, oltre ai 7 miliardi che sono stati portati via dalle banche libiche dagli ex funzionari e dagli uomini d’affari la scorsa primavera, altri 8 sono stati ritirati durante l’estate dai cittadini in preda al panico prima che venisse imposto dal governo di Gheddafi il limite di 500 dinari al mese.

Mi è stato suggerito, sia nelle nazioni vicine che in Libia dai rappresentanti delle Tribù, che la guerra potrebbe già arrivare il 1° marzo: “La nostra storia, la nostra cultura, la nostra dignità, sono in pericolo. È responsabilità delle Tribù ripulire il paese da questi fuorilegge come abbiamo fatto con i colonizzatori italiani.”

Nel corso di una riunione in un paese confinante, un lealista di Gheddafi ha spiegato: “Conosciamo le tribù che hanno collaborato con la NATO e che hanno svenduto i nostri diritti di nascita. Era successa la stessa cosa con gli italiani e negli anni con le compagnie petrolifere straniere. Lotteremo per rimettere in sella il popolo libico, sapendo che il regime di Gheddafi ha fatto degli errori, ma anche che il sostegno oggi va dal 90% nelle aree della Tribù Wafala come a Bani Walid a quasi il 60% a Tripoli. Lui non tornerà, ma lo faranno molte delle sue buone politiche, enshallah.”

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Fonte: Will 2012 Bring Tribal War To Libya?

01.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE