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L'illusione democratica della primavera araba

di Gianluca Lattuada - 08/01/2012

 




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Democrazia e Islam. Una forma di stato e una forma di religione. Due termini apparentemente indipendenti, ma sempre più spesso usati in contrapposizione ad indicare una incompatibilità latente, supportata anche dalle analisi empiriche che vedono i paesi MENA (Middle East and North Africa) all'ultimo posto nella graduatoria delle libertà politiche e civili e allo stesso tempo caratterizzati da un'altissima percentuale di fedeli musulmani sul totale della popolazione.
Un credo che diventa parte attiva nella vita del cittadino, imponendo non solo un modo di pensare, ma anche un modo di agire. La dottrina –nel suo concetto più ampio- specifica infatti una dettagliata condotta comportamentale, che fa riferimento alla sfera personale (come il matrimonio e l'igiene), ma anche commerciale, penale ed educativa. È chiaro perciò il nesso tra dimensione teologica e dimensione istituzionale.
Un Islam quindi che pone il gruppo, il clan e la famiglia al centro degli interessi personali, chiarendo che un'equa distribuzione della ricchezza è fondamentale, garantita dal divieto di richiedere un interesse sui prestiti e in parte dal sistema ereditario. L'elemosina, poi, è un dovere morale. L'accumulazione di potere –e denaro– è quindi da evitare ad ogni costo, in nome dell'uguaglianza formale e sostanziale davanti a Dio e all'intera comunità. È semplice comprendere come l'assetto morale e politico dei paesi islamici non si possa conciliare con la democrazia, laica e capitalista, del mondo occidentale.
Per quanto riguarda lo sviluppo economico, si nota che i paesi MENA esportatori di materie prime, come Qatar, Emirati Arabi, Kuwait, Arabia Saudita e Bahrain, sono caratterizzati da un Pil pro capite che oscilla tra i ventitremila e gli ottantottomila dollari annui. Si tratta di “stati rentier” che, appropriandosi delle rendite del suolo, riescono a mantenere un'elevata spesa pubblica a fronte di una minima, nonché nulla, imposizione fiscale.
Le recenti rivolte che hanno preso il nome di “Primavera Araba”, nate in paesi privi di risorse naturali -fatta eccezione per la Libia che costituisce un caso a sé- possono essere ricondotte a una classe politica che non è riuscita a cogliere appieno le esigenze di una popolazione che vedeva il proprio potere d'acquisto corrodersi. Molti dei paesi MENA  più ricchi hanno di contro reagito aumentando la spesa pubblica, erogando, talvolta, anche sussidi diretti, scongiurando in questo modo l'insorgere di malcontenti.
Ciò significa che, indipendentemente da quale sia il modello istituzionale, quello che conta è il benessere economico percepito dalla popolazione. La richiesta di maggiori libertà è stata una conseguenza dell'evolversi delle rivoluzioni, non la causa scatenante, ma tuttavia condizione necessaria per presentare al mondo occidentale la visione di una repressione schiacciante da parte dei governanti, legittimando perciò l'intervento diretto delle organizzazioni mondiali.
In altre parole, la garanzia di una democrazia sembra essere più una richiesta avanzata dai paesi occidentali stranieri, invece che un'esigenza dei cittadini stessi. Il motivo è forse spiegato da una peculiarità di queste economie. I dati rivelano infatti che i paesi islamici sono caratterizzati da una scarsa apertura commerciale verso l'estero, fatta eccezione per le esportazioni legate a gas e petrolio. In passato hanno infatti preferito puntare sulla domanda interna, che da una parte ha causato un imperfetto sviluppo economico, ma dall'altro ha permesso di non risentire così negativamente della crisi finanziaria internazionale degli ultimi anni. Paesi impermeabili, fino ad ora, alla modernizzazione economico-finanziaria.
Cosa accadrà in futuro non è dato sapere. Si può però ipotizzare che se dal lato delle libertà non vi sarà un cambiamento radicale a causa della forte presenza religiosa nei partiti di maggioranza, sicuramente si avvertirà una forte spinta verso la colonizzazione (economica) di una regione geografica che conta più di trecentocinquanta milioni di individui. Un mercato che fa gola agli investitori stranieri, pronti  ad iniettare ingenti capitali come è accaduto in passato in altri mercati emergenti, con tutti i risvolti, positivi e negativi, del caso. Ma a differenza dell'America Latina, che ha visto le libertà individuali migliorare di pari passo con il processo finanziario, forse ci si indirizzerà maggiormente verso un modello che ricorda più la realtà asiatico-cinese. Come dire: un paese autoritario, ma democraticamente aperto verso l'estero sembra la soluzione migliore.