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Caucaso. Paradigma di gruppi etnici a confronto

di Eliseo Bertolasi - 09/01/2012

Fonte: geopolitica-rivista


 
Caucaso. Paradigma di gruppi etnici a confronto

Da un punto di vista storico, il Caucaso per secoli, ha rappresentato la cerniera, il punto di scontro incontro tra Europa e Asia, tra Cristianesimo e Islam, una connotazione che lo può legittimamente designare come una sorta di “crocevia”.

Per Mosca il Caucaso è stato sempre la porta per il Medio Oriente. Il secolare dominio russo (zarista prima, sovietico poi) non è riuscito a cancellare né le molteplici identità né le rispettive richieste d’indipendenza dei vari gruppi etnici della regione. Un insieme di popoli molto diversi tra loro, che fondano la propria identità sia sul senso d’appartenenza ad un dato luogo e gruppo, sia sulla percezione di contrapposizione con altre località e altri gruppi, anche se confinanti, avvertiti comunque estranei.

Una regione che ha assistito e che continua ad assistere in maniera quasi ossessiva a lotte interetniche, interreligiose, interregionali, per la rivendicazione di “confini”. Confini che vanno interpretati nel loro senso antropologico più completo: sia con la loro funzione di definire ciò che “sta dentro”, ma anche di delimitare al contrario, ciò che di diverso “sta fuori”.

Negli studi antropologici la discussione sui confini ricevette un contributo decisivo con la pubblicazione, nel 1969, del libro dall’antropologo norvegese Fredrik Barth Ethnic Groups and Boundaries. A questo proposito Barth sosteneva come i confini tra i gruppi continuino a persistere nonostante vi siano costanti passaggi di individui tra un gruppo e l’altro.

I contenuti culturali (i segni espliciti e gli orientamenti valoriali) dei singoli gruppi, più che a determinarne la differenza, servono a definirne l’identità in modo contrastivo. Il fatto, che un determinato numero d’individui condivida la stessa cultura, dovrebbe essere considerato, allora, la conseguenza e non la causa dell’esistenza dello stesso gruppo. Barth sostiene quindi che invece di guardare al gruppo etnico come a qualcosa di definito dai “contenuti culturali”, sarebbe più appropriato sostenere, che sono proprio tali contenuti a stabilirne il confine e la cultura.

Per gruppo etnico, Barth intende un insieme d’individui che rivendicano origini storiche, linguistiche e culturali comuni, pur osservando che non sono questi parametri che lo determinano, poiché è definito in base a criteri che gli stessi membri del gruppo elaborano per fissare una distinzione tra sé e gli altri. Il sentimento d’appartenenza ad un gruppo definito culturalmente linguisticamente e territorialmente in maniera rigida e definita, tralascia, infatti, che tutti i gruppi umani sono il frutto di processi più o meno lunghi d’interazione con altri gruppi. Di solito i gruppi coinvolti non sono per niente radicalmente diversi gli uni con gli altri, ma al contrario sono invece molto simili tra loro: sul piano culturale, hanno lingue in comune, occupano lo stesso territorio, hanno spesso una lunga storia di relazioni reciproche.

Riferendoci alla regione caucasica, gli studiosi ritengono che le usanze delle popolazioni presenti, dopo secoli di contatti reciproci e di convivenza, più che insieme, gli uni accanto agli altri, anche a causa dalla particolare conformità montuosa della regione, si sovrappongono per l’80% – 90%. Nel Caucaso, ad esempio, i canti, i balli, il modo di vestire differiscono di poco; tutti gli uomini soprattutto nel passato vestivano la čerkeska, adottata in seguito anche dai cosacchi affluiti nella regione.

Ugo Fabietti sostiene che i gruppi si contrappongono non perché portatori di culture diverse, ma perché la loro diversità culturale agisce come elemento catalizzante d’interessi all’interno di un quadro politico economico ideologico abbondantemente definito da condizioni storiche ben precise.

Le identità non sono riducibili a delle categorie fisse come la cultura, la lingua, la religione, l’etnia… In effetti, sono categorie vuote che acquisiscono dei significati secondo il modo in cui le comunità interessate entrano in relazione, sia tra loro, sia con organismi nazionali od internazionali, che a loro volta, sono sottoposti all’effetto delle forze della globalizzazione. Va aggiunto che queste diverse comunità sono sottoposte al gioco della “cooptazione” da parte dell’Occidente, ossia dalla designazione e dall’enfatizzazione di alcuni componenti culturali ed etnici di certi gruppi rispetto ad altri.

Per conseguenza, bisognerebbe leggere l’etnicità come il prodotto di un’interazione tra gruppi con interessi diversi, il più delle volte generati da elementi esterni (il capitale delle multinazionali, il predominio sulle risorse energetiche, l’espansione geopolitica da parte delle potenze occidentali) in quei luoghi dove sono venute meno le istituzioni politiche, e non come effetto di una semplice tendenza al separatismo.

La nozione di etnia è quindi un costrutto culturale, mediante il quale un «gruppo produce una definizione del sé e dell’altro collettivo». Si tratta di definizioni attraverso le quali un gruppo: si attribuisce una omogeneità interna e contemporaneamente una diversità nei confronti di altri. A questo fine vengono enfatizzati elementi idiosincratici del gruppo, che per questo stesso fatto, sono considerati immutabili.

L’identità etnica non corrisponde a realtà immutabili, ma è invece il risultato di processi di produzione dell’identità. Processi che prevedono la creazione della memoria etnica mediante un meccanismo essenzialmente di selezione storica attraverso la quale si forma il sentimento di appartenenza. Attraverso tale processo, l’identità etnica è sottoposta a un continuo “riassetto” dei tratti ritenuti cruciali dell’etnicità. Questi tratti possono cambiare nel tempo e subire un “riaggiustamento” in direzione, di una ulteriore differenziazione da altre identità, o di fusione con queste ultime.

La memoria etnica porta così alla trasformazione simbolica di elementi funzionali, finalizzati sia alla produzione che alla riproduzione e ridefinizione dell’identità etnica. Per esempio: si sanciscono delle origini uniche e poi si dice che tutti gli individui di una comunità discendono da quelle origini.. Nell’800 l’orientalista Ernest Renan a proposito dell’ idea di nazione scriveva: «L’oblio, e dirò perfino l’errore storico costituiscono un fattore essenziale nella creazione di una nazione». Oggi l’antropologo belga Marcel Detienne, un grande esperto di miti, scrive: «Nelle storie nazionali troviamo le più grandi costruzioni mitologiche. La maggior parte dei miti sono miti fondatori… Ogni nazione si costruisce a partire da un’origine…».

L’identità etnica non è però solo il frutto di pura immaginazione, ma ha una sua ontologia, che, una volta costruita, assume una consistenza molto concreta. I conflitti etnici ne sono una drammatica manifestazione.
Il fatto che alcuni individui affermino di appartenere a un certo gruppo etnico è un dato di fatto. Come sosteneva l’antropologo Siegfried Frederik Nadel alla base di questo sentimento vi è un dogma che fonda, crea una sua ontologia, che per quanto prodotta soggettivamente, ha poi un valore oggettivo per coloro che a quel dogma aderiscono. Credere, dal loro punto di vista, equivale a esistere. Noi possiamo essere lecitamente scettici sulle credenze degli altri ma non dobbiamo essere altrettanto scettici sulla reale adesione che gli stessi hanno alle proprie credenze, né sull’effetto reale che queste credenze possono produrre.

Tornando al Caucaso, alla luce di quanto detto sulle dinamiche di produzione dell’etnicità, relativamente alla interferenza esterna che determinati interessi hanno sugli stessi processi, si può scorgere allora, come elemento significativo e in parte esplicativo della sua attuale conflittualità etnica il fatto che, negli ultimi anni, tale regione ha acquisito un’importanza strategica fondamentale per la sua ricchezza di idrocarburi e per la peculiarità geografica di rappresentare lo snodo cruciale degli oleodotti (alcuni già operanti, altri in fase di realizzazione) che collegano le riserve energetiche naturali dell’Asia centrale al Mar Nero.

 
* Eliseo Bertolasi è laureato in Lingue e letterature araba e russa (Università degli Studi di Sassari) e in Scienze antropologiche e etnologiche (Università degli Studi di Milano – Bicocca); dottorando di ricerca in Antropologia culturale e sociale (Università degli Studi di Milano – Bicocca).

 
Bibliografia

Fredrik Barth, Ethnic Groups and Boundaries, University Press, Oslo, 1969.
Ugo Fabietti, Culture in bilico Antropologia del Medio Oriente, Mondadori, Milano, 2002.
Ugo Fabietti, Elementi di antropologia culturale, Mondadori università, Milano, 2004.
Ugo Fabietti, L’identità etnica, Carocci, Roma, 2004.
Ugo Fabietti, Storia dell’antropologia, Zanichelli, Bologna, 2001.
Aldo Ferrari, Il Caucaso. Popoli e conflitti di una Frontiera europea, Lavoro, Roma, 2005.