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A proposito di complottismo

di Federico Zamboni - 22/01/2012

   
   
Dovrete avere un po’ di pazienza, stavolta. Soprattutto se siete di quelli che prediligono gli articoli incentrati su degli avvenimenti specifici, con dei fatti da ricostruire e dei responsabili da identificare. O addirittura, per restare in tema, con delle rivelazioni più o meno scottanti, e scioccanti, da mettere nero su bianco, rigettando le versioni preesistenti e sostituendole con interpretazioni di tutt’altro segno. Come nel caso dell’Undici Settembre, ad esempio. «Tutto chiaro», afferma la Casa Bianca. «Gli attentati sono opera dei terroristi di al-Qaeda.» «Non è chiaro per niente», replicano le controinchieste. «Semmai ne sono stati gli esecutori. Ma il resto è ancora da spiegare.»

È arrivati a questo punto, che emerge il fenomeno che intendiamo affrontare. È nella reazione a catena che si innesca tra le due parti, e tra tutti quelli che a vario titolo si accodano all’una o all’altra, in un’ansia crescente di screditarsi a vicenda. Fino ad andare molto al di là della questione di cui si discute e a irrigidire il dissidio in una contrapposizione assai più ampia, e impossibile da superare. «Troppe incongruenze», denunciano i sostenitori delle tesi alternative. «E questo significa una sola cosa: siete in malafede. Mentite sapendo di mentire.» La risposta può essere stringata o minuziosa, ma ruota puntualmente sul medesimo assunto. Che si riassume in una sola parola, lanciata come una condanna definitiva e inappellabile: «Complottisti».

Il significato è palese, ma vale la pena di ribadirlo. E di metterne a fuoco i riflessi. In questa accezione negativa i “complottisti” sono quelli che travolti dalla loro personale fissazione – secondo cui dietro la realtà apparente si celerebbero dei poteri occulti impegnati a perseguire scopi illeciti e disegni criminosi, compiendo i peggiori misfatti e manipolando in ogni modo l’opinione pubblica – smarriscono qualunque barlume di raziocinio e sprofondano in un pantano di fantasie nevrotiche. Costellate di intrighi internazionali e di ristrettissime oligarchie che agiscono nell’ombra: avide all’estremo; spietate oltre ogni dire; disposte a qualunque abuso e a qualsiasi bassezza pur di realizzare i piani, perversi, di un’egemonia assoluta. Oscure consorterie che sono responsabili di ogni sorta di sopraffazioni economiche e sociali, e che non di rado operano dietro il paravento degli stessi governi e dei relativi apparati di controllo e di repressione. Vedi in particolare gli Stati Uniti, l’Inghilterra e Israele, nonché le varie organizzazioni sovrannazionali di natura politica, come l’Onu, o finanziaria, come il Fondo monetario Internazionale. Senza dimenticare le associazioni semi segrete come le diverse forme di massoneria e affini, che da un lato vantano elevatissimi principi morali, e persino spirituali, ma dall’altro sviluppano, in nome della solidarietà tra i confratelli, vincoli inesorabili basati sul favoritismo reciproco e orientati a finalità assai più prosaiche. E tutt’altro che limpide.

Riassumendo, i suddetti “complottisti” non sarebbero altro che un miscuglio di faziosità preconcetta e di incompetenza galoppante. Poco meno – ma non è detto – che degli psicotici in preda dei loro fantasmi. Gente della più diversa estrazione, sia pure con un’ovvia prevalenza di estremisti di destra o di sinistra e di integralisti religiosi, che reagisce alla frustrazione rifugiandosi in un universo parallelo, e delirante, di false certezze. Salvo poi abbandonarle, o piuttosto espanderle, aderendo a ulteriori e più suggestive elucubrazioni, propalate da altri maniaci della medesima risma oppure (business is business) da accorti ciarlatani che ci guadagnano sopra.

Insomma, una masnada tanto furente quanto inattendibile. Da liquidare appunto – e in blocco – come un sottoprodotto della libertà di parola. Benevolmente elargita dalle democrazie occidentali ma di per sé suscettibile, ahimè, di innumerevoli distorsioni. Che è doveroso rintuzzare come si conviene, tra una risata di scherno e una scomunica preventiva. 

Parafrasando il classico detto latino, “dileggia et impera”. 

Un atteggiamento suicida

Bisogna riconoscerlo. Moltissimi dei “complottisti” ci mettono del loro, per agevolare il compito a chi li vuole infamare. Pervasi dal sacro fuoco di quella che ritengono la verità, e dal desiderio spasmodico di renderla nota a chi è rimasto vittima delle mistificazioni di turno, finiscono con l’assumere un atteggiamento indignato e abbandonarsi all’invettiva. Col risultato, fatale, di assecondare i tentativi di chi mira a farli passare per degli esagitati.

Beninteso: non stiamo affatto dicendo che se i modi fossero diversi, e più accorti, quei tentativi si esaurirebbero, per lasciare il posto a una vera attenzione e a un’effettiva disponibilità al confronto. Vuoi per ordini di scuderia, vuoi per zelo cortigiano o per mera ottusità, chi sostiene le tesi ufficiali è altrettanto arroccato sulle sue posizioni. E siccome non intende discuterle davvero, ma solo imporle, simula il dibattito e lo riduce a una requisitoria. Si erge come un pubblico ministero, nello stile arrogante di quelli statunitensi che abbiamo visto in tanti film, e ondeggia tra il cipiglio dell’inquisitore e il sarcasmo del tribuno, per mettere in cattiva luce gli imputati e accattivarsi la giuria.

Eppure, bisognerebbe resistere alla tentazione (comprensibilissima) di rispondergli per le rime e di annichilirlo con le stesse armi. Soprattutto se, nel farlo, non ci si limita ad alzare i toni per una scelta consapevole e padroneggiata in ogni istante, ma ci si lascia risucchiare in un conflitto personale. Che, come dovrebbe essere noto a chi ambisce a operare efficacemente nell’ambito della comunicazione pubblica, decade ben presto a una rissa verbale. Magari gli spettatori si divertono, e magari la spettacolarità della “performance” assicura un ulteriore invito a partecipare a iniziative analoghe, ma degli aspetti sostanziali recepiscono ben poco. O niente del tutto. 

Se questa deriva ha almeno delle attenuanti durante un confronto che avvenga davanti a una platea, non ne ha nessuna quando invece si può operare con la dovuta calma e ponderare a priori l’effetto delle parole che si sceglieranno. Come dimostrano innumerevoli articoli, e interi libri, i “complottisti” tendono purtroppo a non rendersi conto che l’enfasi non aiuta, e che anzi è controproducente. Più una tesi va in direzione opposta all’omologazione generale, più si pone la necessità di essere consci delle resistenze che incontrerà nell’essere accettata, o anche solo nell’essere presa sul serio. Lo scopo non è soddisfare il proprio ego, assumendo toni ieratici da iniziati che conoscono i segreti dell’universo e, bontà loro, li svelano al volgo. Lo scopo è avviare un processo di ripensamento, che si snodi via via fino ai passaggi più impegnativi. 

Invece di annunciare a gran voce il complotto e poi darsi da fare per dimostrarne la fondatezza, sarebbe assai meglio evidenziare l’organicità di certi processi di medio e di lungo periodo, in modo da rendere naturale che ci si chieda perché, a fronte di una strategia così nitida, non dovrebbero esserci degli strateghi che l’hanno immaginata, pianificata e messa in opera. 

Metodo induttivo, anziché deduttivo. 

Complotti? No, poteri

Ah ah ah, ridono in tanti appena gli si parla di oligarchie internazionali che dominano il mondo. Ah ah ah. E via a ironizzare su riunioni segrete tra membri di improbabili organizzazioni in stile Spectre: uomini e donne ultra selezionati che si incontrano di nascosto e, all’insaputa dei popoli e degli stessi governi, ordiscono trame di inarrivabile ambizione e di raggelante cinismo. Benché nel chiuso di edifici di lusso, o a bordo di jet privati e di yacht miliardari, la cornice modernissima e dispendiosa non basta a riscattarli dall’aria un po’ grottesca che si attribuisce di solito ai congiurati. Ah ah ah. Vengono in mente gli incappucciati del tempo che fu. Radunati col favore delle tenebre in saloni sotterranei noti solo a loro, o se non altro in scantinati ben nascosti e al riparo da occhi e orecchie indiscreti. Ah ah ah. Figurarsi se oggi, all’inizio del Terzo Millennio, potrebbe accadere qualcosa del genere. Oggi che è strapieno di mass media. Che c’è Internet. Oggi che basta un ragazzino col cellulare per filmare qualsiasi cosa e per metterla in Rete, a disposizione, e a beneficio, di tutti.

Il primo antidoto, per superare queste preclusioni, è essersi liberati del medesimo immaginario da quattro soldi, con le sue ambientazioni da spy story di serie B. Non bisogna sentirsi come gli agenti speciali del Bene che hanno avuto l’abilità e il privilegio di scoprire gli orrendi misteri del Male, ma come dei normali cittadini che si sono guardati intorno e che a forza di farsi domande su quello che vedevano – dalla diseguaglianza sociale alla corruzione dilagante, dalla distruzione ambientale alle guerre di conquista travestite da missioni di pace – hanno individuato delle spiegazioni possibili. E verosimili. 

A meno di essere seguaci di personaggi alla David Icke, con le sue bizzarre teorie su una razza aliena di uomini-rettili che agisce da millenni per schiavizzare noi terrestri, non c’è alcun motivo di perdersi in improbabili rappresentazioni delle élite globali. La tendenza ad accoppiare al male interiore delle manifestazioni esteriori altrettanto inquietanti è puerile. Ovvero, per dirla in termini più garbati, una proiezione dell’inconscio. Non c’è nessun bisogno di essere dei satanisti per comportarsi in modo diabolico. E così come certi efferati serial killer hanno un aspetto ordinario e persino rassicurante, a cominciare da Ted Bundy, nulla vieta che i più spietati finanzieri, o uomini politici, o comandanti militari, non facciano nient’altro di inquietante e deprecabile, a parte depredare il prossimo, o fare strame del bene comune, o sterminare non solo i soldati nemici ma anche la popolazione civile. 

Siamo sul filo dell’ovvio, ma è proprio qui che si deve ritornare. In maniera da ricondurre i cosiddetti complotti ai loro termini effettivi. Che non hanno, e non devono assumere, contorni romanzeschi o addirittura esoterici. Perché viceversa sono quanto mai concreti, nei loro obiettivi e nelle loro pratiche, e quindi, al di là della rilevanza delle poste in gioco e della complessità degli strumenti utilizzati per aggiudicarsele, si riducono all’applicazione di un unico e banalissimo principio: fare tutto quello che si è in grado di fare per avere la meglio su chiunque altro.

C’è qualcosa di strano? Di sorprendente? Di inverosimile? 

Partiamo dal basso. La vita quotidiana ci mostra infiniti esempi di accordi “occulti” che hanno come scopo l’ottenimento di ogni sorta di vantaggi, da quelli leciti a quelli illegittimi, o addirittura illegali. Ci si coalizza per fare carriera, guardandosi bene dal dirlo ai colleghi o ai superiori. Oppure per convogliare su di sé, o sul candidato preferito, i voti di un’elezione, dalla polisportiva di quartiere o dalla sezione periferica di partito in su. E se poi passiamo a qualcosa di più consistente, e con profitti più cospicui, si stringono patti fra operatori commerciali per rafforzare le proprie aziende a danno dei concorrenti. O magari per uniformare al rialzo i prezzi di vendita, in barba alle regole, assai astratte, della libera concorrenza.

E infine, naturalmente, ci sono i veri e propri reati. Vedi il calcioscommesse, per restare sulle notizie di attualità: una ragnatela internazionale che connetteva delinquenti abituali e giocatori professionisti, in un intreccio sistematico e abbastanza diffuso da essere quasi all’ordine del giorno. 

La domanda è elementare: perché mai al crescere degli interessi dovrebbe fare riscontro una minore elaborazione strategica e un maggiore rispetto delle leggi e della morale? Quando si ipotizza (ipotizza?!) che vi siano dei potentati finanziari che usano le loro immense risorse per piegare a proprio vantaggio i mercati, e condizionare le stesse attività dei governi, non si fa altro che applicare un criterio del tutto logico. 

Niente incappucciati, negli spogliatoi dove si vendevano le partite – e dove con ogni probabilità si continua a farlo. Niente incappucciati nelle sedi dell’alta finanza dove si affossano le economie di nazioni come la Grecia. Solo uomini che vanno fermati. E che prima, naturalmente, vanno smascherati nei loro maneggi e identificati con nomi e cognomi.

Federico Zamboni