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Afghanistan? A caro prezzo

di Carolina De Simone, Giulio Maria Raffa - 24/01/2012

 
Afghanistan a caro prezzo

La conferenza internazionale sull’Afghanistan svoltasi a inizio dicembre a Bonn ha fissato per il 2014 l’inizio del graduale ritiro delle forze militari impegnate nel paese . Sono ormai trascorsi dieci anni dall’avvio delle iniziative militari e civili della comunità internazionale a seguito dei tragici eventi dell’11 settembre 2001. Pur trattandosi dello sforzo più ingente intrapreso dall’Italia dalla fine della seconda guerra mondiale, sull’ammontare della spesa complessiva e sulle modalità di stanziamento delle risorse aleggiano ancora dubbi e incertezze. Il decimo anniversario della missione può dunque rappresentare l’occasione per fare maggiore chiarezza.

Risorse militari

Secondo una ricerca presentata alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa nel 2011, tra l’ottobre del 2001 e il primo semestre del 2011 l’Italia avrebbe speso circa 4,07 miliardi di euro, di cui il 13% per spese civili e l’87% per quelle militari.

Dal punto di vista militare l’Italia ha partecipato sia all’Operation enduring freedom (Oef) sia all’International security assistance force (Isaf). La prima è la missione a guida statunitense, condotta sulla base dell’esercizio del diritto di legittima difesa da una coalizione di Stati a partire dai primi giorni dell’ottobre del 2001 e ancora operante in alcune parti del territorio afgano. Il contributo italiano, in questo caso, è costato circa 583 milioni di euro ed è consistito nel supporto navale e aereo fornito tra il 2001 ed il 2006 e, soprattutto, nella partecipazione della Task Force Nibbio alle operazioni militari terrestri svoltesi tra il marzo ed il settembre del 2003.

La seconda, invece, è l’operazione multinazionale di peace-keeping istituita in seguito agli accordi di Bonn del dicembre 2001 attraverso la risoluzione 1386 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, posta sotto il comando della Nato a partire dall’agosto del 2003 e tuttora in corso in Afghanistan.

Fin dall’inizio, l’Italia ha partecipato in modo significativo ad Isaf, soprattutto attraverso l’assunzione della responsabilità del Regional command west, ampia regione dell’Afghanistan occidentale comprendente le quattro province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah. In questo caso il contributo italiano, concretizzatosi nell’invio di un numero tendenzialmente crescente di militari nel teatro afgano e giunto recentemente a 4200 unità, è costato circa 2,97 miliardi di euro.

Il totale delle spese militari ammonta pertanto a circa 3,55 miliardi di euro, in cui non sono incluse, però, alcune spese difficilmente quantificabili sostenute dal bilancio del ministero della difesa per accrescere l’efficacia dei militari italiani nel paese.

Cooperazione allo sviluppo

Tra gli interventi di tipo civile per la ricostruzione e lo sviluppo dell’Afghanistan, invece, figurano le iniziative deliberate dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del ministero degli esteri e gestite dall’Unità tecnica locale di Kabul e dall’ufficio di Herat, di concerto con l’ambasciata d’Italia in Afghanistan.

Le risorse allocate in quest’ambito hanno raggiunto circa 516 milioni di euro, pari dunque a quasi un settimo dell’ammontare delle spese per le operazioni militari. Dopo gli iniziali interventi di emergenza, la cooperazione italiana ha erogato le risorse principalmente nei settori della governance e della sicurezza (36%), degli aiuti umanitari (24%) e delle infrastrutture (20%), seguiti da quelli dell’agricoltura e dello sviluppo rurale (11%), della sanità (5%) e delle politiche sociali e di genere (4%). Sotto la voce governance spiccano le iniziative a favore della ricostruzione del settore dell’amministrazione della giustizia, per la quale l’Italia ha anche assunto in una prima fase il ruolo di paese guida nell’ambito della comunità dei paesi donatori. Dal punto di vista geografico, l’impegno di Roma si è focalizzato negli anni in special modo sulla capitale Kabul e sulla regione occidentale, dove si concentra la presenza militare italiana.

L’Italia ha veicolato la maggior parte degli aiuti attraverso canali multilaterali (58%), mentre in un minor numero di casi ha optato per iniziative bilaterali (42%), in forma di contributi diretti al governo afgano, di finanziamenti in gestione diretta o, in minima parte, di fondi gestiti da organizzazioni non governative italiane e afgane, università o altre amministrazioni dello stato. Privilegiare l’impegno multilaterale verso il paese è stata una costante prerogativa del governo italiano.

Bilancio in chiaroscuro

Tra i punti di forza dell’impegno civile italiano in Afghanistan figurano senza dubbio la scelta di privilegiare la concentrazione degli interventi nelle zone di maggiore interesse per l’Italia, (Herat in primis), e il discreto livello di coordinamento riscontrato tra le attività della Dgcs e quelle civili finanziate dal ministero della difesa, queste ultime nel quadro della cooperazione civile-militare (civil-military cooperation, Cimic).

Pur con delle difficoltà riscontrate soprattutto nella fase iniziale, è in particolare nel Provincial reconstruction team a conduzione italiana (Prt-Isaf di Herat), che trova spazio, infine, la collaborazione tra militari e civili italiani, inquadrati in una componente civile guidata da un diplomatico del ministero degli esteri e composta da un team di esperti della Dgcs.

In dieci anni tra le principali motivazioni a sostegno dell’impegno italiano in Afghanistan – che fino a quel momento non era in cima all’agenda internazionale di Roma – vi è stata sicuramente la volontà di non perdere terreno nel quadro delle Nazioni Unite, dell’Alleanza atlantica e della lotta al terrorismo internazionale. Tale esigenza, connessa all’estrema precarietà della sicurezza nel paese e all’emergenza umanitaria in cui versava la popolazione, si è tradotta in un impegno di carattere prevalentemente militare.

Da una prospettiva strategica più ampia è però lecito avanzare qualche dubbio sull’efficacia dell’azione dell’Italia sul fronte della cooperazione civile. Quest’ultima è infatti indispensabile non soltanto per la stabilità dell’Afghanistan, ma anche per il futuro dei rapporti bilaterali, per quanto possibili, tra Roma e Kabul.


NOTE:
* Carolina De Simone è dottoranda in Relazioni Internazionali presso la London School of Economics and Political Science di Londra. È stata allieva di Scienze Politiche presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e stagista nell’Area Sicurezza e Difesa dello IAI.
Giulio Maria Raffa è allievo di Scienze Politiche presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È stato stagista nell’Area Sicurezze e Difesa dello IAI.