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I tre miti sull'Iraq

di Scott Ritter - 11/07/2006

 

I tre miti sull'Iraq – le armi di distruzione di massa, al-Zarqawi e la sovranità irachena – sono ciò di cui i membri del Congresso Usa dovrebbero discutere nelle loro stanze dei bottoni, ciò di cui i media americani dovrebbero parlare sia mezzo stampa sia via radio. Il dibattito che ne scaturirebbe potrebbe così costituire il fondamento di un movimento responsabile

È difficile talvolta sapere cosa c’è di vero sulle notizie a proposito dell’Iraq. L’America si trova in una “stagione sciocca”, i mesi estivi porteranno alle elezioni nazionali e i media fanno di tutto per guadagnarsi il primato nell’arena delle news, sostituendo notizie reali con titoli solo accattivanti.

Così, mentre l'America celebra il 230esimo anno della sua nascita, mi appresto a scrivere un breve articolo su tre miti americani a proposito dell’Iraq nel momento in cui si “discute” di vari argomenti riguardanti il nostro terzo anno di occupazione di questo paese.


Il mito della sovranità

Immaginate che il presidente degli Stati Uniti voli in Russia, Cina, Inghilterra, Francia o in qualsiasi altro paese del mondo, e atterri in un aereoporto del cosiddetto “paese” per poi farsi condurre, accompagnato da una massiccia protezione militare, all'ambasciata statunitense: da qui, in cinque minuti, convoca i più alti ufficiali iracheni per un meeting.

Non sarebbe di certo possibile, a meno che la nazione in questione non fosse appunto l'Iraq. Un paese in cui la sovranità irachena continua ad essere l’aspetto più propagandato, mentre non è che una favola degna di quelle scritte dai fratelli Grimm. A parte le chiacchere sull’Iraq libero, la verità è che questo paese rimane una nazione sotto assedio dove gli Stati Uniti (e i suoi, in diminuzione, “paesi amici”) hanno preso il potere.

La polizia militare irachena è stata formata dagli Stati Uniti. I confini dell’Iraq sono controllati dagli Stati Uniti. La sua economia è controllata dagli Stati Uniti. In realtà, non esiste un solo segnale significativo del fatto che l’attuale sovranità irachena sia libera a prescindere dal controllo americano. I ministry iracheni continuano ad essere assaliti dai ribelli e la polizia irachena non ha il potere di investigare su attività criminali compiute dalle truppe americane ( o dalle controparti mercenarie, i cosiddetti “Fornitori militari privati”).

La realtà di questo mito è che la data del ritiro delle truppe americane dall'Iraq si sta discutendo a Washington e non a Baghdad. È certo che, come per ogni cosa in Iraq, la decisione finale spetta al popolo iracheno. Ma i voti verranno misurati con i proiettili, non agli scrutini. E non porteranno solo alla partenza dei soldati Usa, ma sanciranno la morte in partenza di ogni governo iracheno abbastanza sconsiderato da allinearsi con un paese che viola le leggi internazionali pianificando e finanziando una guerra di aggressione e continuando a condurne un'altra (ugualmente illegittima) di occupazione.


Il mito di Zarqawi

Come ho già detto in precedenza, i risultati dei sondaggi mostrano come non fosse affatto vero che gli americani erano contrari alla guerra. Solo il 28 percento degli americani non approvava l’invasione dell’Iraq. La percentuale è salita al di sopra del 60 percento non a causa di un improvviso risveglio della coscienza e della responsabilità sociale; piuttosto, il fatto è che le cose in Iraq non stanno andando affatto bene, e l’angoscia serpeggia in terra americana perché la sconfitta sembra vicina. A nessuno piacciono i perdenti.

Così, quando si è diffusa la notizia che il terrorista numero uno, Abu Musab Al-Zarqawi, era stato ucciso durante un’azione militare statunitense, il presidente Usa ha potuto trascorrere la settimana immediatamente successiva in modo particolarmente felice – con i sondaggi, per una volta, leggermente a suo favore.

In ogni modo, i fatti non possono essere riscritti, neppure dal maggiore e più servile media americano. Al-Zarqawi non è mai stato nulla più che una piccola pedina in Iraq, un criminale giordano di terza categoria le cui azioni sono state pubblicizzate dall'amministrazione Bush – ansiosa di dimostrare che la meglio gioventù americana era in Iraq per sventare gli attacchi di ribelli arrivati da terre straniere e tuttavia collegati agli esecutori degli attacchi dell’undici settembre.

La realtà di come tutto questo sia e sia stato sbagliato è segnata da tutto il sangue di cui ne è macchiata. Dalla morte di Zarqawi, la spirale di violenza in Iraq non è cessata, gli americani continuano a morire e gli iracheni a essere massacrati – mentre la banda e i successori di Zarqawi proseguono nella loro disperata irrilevanza. Gli iracheni stanno combattendo strenuamente la loro lotta contro l’occupazione americana. L’insurrrezione sta crescendo e diventando più forte giorno dopo giorno. Tutto ciò, ovviamente, costituisce una realtà che l’amministrazione Bush vuol tenere ben nascosta agli americani in vista delle elezioni. Complici i media, si è venduta l’anima al diavolo per pubblicizzare, nel 2002-2003, le virtù di un’invasione dell’Iraq; oggi l’avventura continua ad essere reclamizzata dalle posizioni repubblicane che continuano a sostenere le possibilità di vittoria.

Tra prospettive sbandierate e sempre più morti tra i soldati americani (e tra gli iracheni – a proposito, chi li sta contando?), si ha a che fare con una guerra che non finirà fino a quando gli Stati Uniti saranno costretti a svignarsela con la coda ben stretta tra le gambe.


Il mito delle armi di distruzione di massa

Senza dar credito a ciò che pensano il senatore Rick Santorum [senatore Repubblicano della Pennsylvania, NdT] e la lunatica frangia neocon, in Iraq non è stata trovata nessun arma di distruzione di massa.

Citando un rapporto del Ministero della Difesa Usa in cui si fa riferimento a cinquecento granate che sarebbero state trovate in Iraq dalle forze statunitensi dall’inizio dell’invasione e dalla conseguente occupazione del 2003, Santorum e i suoi si sono resi protagonisti di un mucchio di sciocchezze su come Bush avesse avuto ragione fin dall’inizio sul fatto che esistessero armi di distruzione di massa in Iraq.

Costoro hanno accuratamente evitato di riportare che non c’è nulla di “segreto” su questi dati e che le granate in questione provengono da vecchie munizioni di arteglieria prodotte prima del 1991, l’anno della prima guerra del Golfo, e dopo che il governo di Saddam Hussein dichiarò – a ragione, come si seppe più tardi – che nessun arma di distruzione di massa era stata prodotta in Iraq.

L’agente del gas nervino contenuto nelle munizioni ritrovate aveva perso da un pezzo la propria efficacia: non avrebbe potuto rappresentare la bencheminima minaccia. Inoltre, la casualità con cui queste granate sono state scoperte (lasciate sul terreno, invece che accuratamente nascoste) ha fatto eco alla dichiarazione del governo iracheno secondo la quale molte delle armi chimiche in Iraq si ritrovavano sparse in aree remote del deserto, a seguito del bombardamento americano ad alcuni depositi di munizioni avvenuto durante la prima guerra del Golfo.

Avendo ispezionato personalmente molti di questi depositi bombardati, potrei garantire sia sulla veridicità della dichiarazione irachena sia sull’assurdità delle affermazioni fatte da Santorum e da altri che continuano a beneficiare di un guadagno politico ottenuto con il sangue di più duemilacinquecento soldati americani.

I tre miti sull'Iraq – le armi di distruzione di massa, al-Zarqawi e la sovranità irachena – sono ciò di cui i membri del Congresso Usa dovrebbero discutere nelle loro stanze dei bottoni, ciò di cui i media americani dovrebbero discutere sia mezzo stampa sia via radio. Il dibattito che ne scaturirebbe potrebbe costituire così il fondamento di un movimento responsabile, attraverso il quale i cittadini americani possano chiedere di render conto a coloro che dovrebbero rappresentarli e che invece hanno fallito in quasi ogni occasione.

Ma di nuovo, sono io che, un po’ ingenuamente, credevo che in America ci fosse un particolare elettorato che conosce e comprende la Costituzione degli Stati Uniti e cerca di vivere ogni giorno all’insegna dei veri ideali e valori su cui essa si fonda. Ho accennato, dunque, al Quarto Mito: che i cittadini americani possano essere coinvolti nel nostro dibattito nazionale.

 

Scott Ritter è stato ispettore delle Nazioni Unite in Iraq (1991-1998) e responsabile dei servizi d’intelligence dei marines. È autore di 'Iraq Confidential – Intrighi e raggiri: la testimonianza del più famoso ispettore ONU' (prefazione del premio Pulitzer Seymour Hersh, prefazione all'edizione italiana di Gino Strada).

 

 

Fonte: AlterNet
Traduzione a cura di Simona Casadei per Nuovi Mondi Media