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Le premesse del conflitto permanente

di Massimo Fini - 11/07/2006

 

Il Primo Ministro serbo,
Vojislav Kostunica, è in
questi giorni in Europa
per discutere con i ministri
degli Esteri dei Paesi del
cosiddetto “Gruppo di contatto”,
fra cui c’è l’Italia,
della definitiva sistemazione
del Kosovo: piena indipendenza
o larga autonomia?
Al giornalista del Corriere
della Sera Franco Venturini,
che lo invitava ad essere
realista e a dare il Kosovo
per perso, Kostunica ha
risposto: «Perché la Serbia
dovrebbe essere smembrata?
Soltanto perché in una parte
del suo territorio (il 15% circa,
ndr) esiste una maggioranza
etnica albanese che
chiede l’indipendenza?
Vogliamo far passare questo
criterio ed applicarlo anche
ad altri? Qui si mettono in
discussione i princìpi fondamentali
dell’ordine internazionale
». Eh già, il punto - o
uno dei punti - della questione
kosovara è proprio questo.
Lasciamo pur perdere il
fatto che i serbi considerano
il Kosovo la culla storica
della loro Nazione (cosa giudicata
da Barbara Spinelli
una romanticheria priva di
senso, salvo poi trasformare
questa romanticheria in un
diritto intangibile quando la
stessa concezione riguarda
Israele rispetto alla Palestina),
certo è che il Kosovo fa
giuridicamente
(…) parte della Serbia da
molti secoli. Che diremmo e
faremmo noi se, per ipotesi,
un domani in Piemonte, a
causa di un’immigrazione
islamica tradizionalmente
fertile, si trovasse una forte
maggioranza musulmana
che, con la guerriglia e il terrorismo,
rivendicasse l’indipendenza?
Avremmo o no il
diritto di difendere quel
nostro territorio, anche con
le armi? Certamente sì. Perché
quel territorio non
appartiene solo agli ultimi
arrivati, per quanto divenuti
maggioranza, ma anche alle
generazioni passate che
quella terra l’hanno lavorata,
su quella terra hanno
sudato per farne quel che ne
han fatto, che per quella terra
sono morti, e quindi
anche ai loro figli, pur se
diventati minoranza.
Il diritto all’autodeterminazione
dei popoli, sacrosanto,
vale per le genti che si trovano
da sempre su un territorio
che porta il loro nome (i
curdi, i ceceni) e che è occupato
da potenze straniere,
non per i flussi migratori. Il
Kosovo si trovava in questa
situazione quando la Jugoslavia
fu aggredita dalla
NATO nel 1999 col pretesto
dell’“emergenza umanitaria”
e della “pulizia etnica”
(non c’era alcuna “emergenza
umanitaria” in Kosovo,
nessun “genocidio”, tale da
giustificare l’intervento militare
di Stati improvvisatisi
“giustizieri della notte”: c’erano
stati, in un anno e mezzo
di “guerra di guerriglia”,
205 vittime civili, niente di
nemmeno lontanamente
paragonabile a ciò che
avviene in Palestina per
mano d’Israele o in Cecenia
per mano russa. E non c’era
alcuna “pulizia etnica”. La
“pulizia etnica” l’hanno fatta
- dopo l’intervento della
NATO - gli albanesi kosovari,
con la copertura delle
truppe internazionali, frettolosamente
riverniciate, a
posteriori, da una legittimità
ONU - che vale a intermittenza,
qui come in Afghanistan
-, ai danni dei serbi che
da 360mila che erano sono
rimasti in 60mila, la più
grande “pulizia etnica” dei
Balcani).
Fu un intervento arbitrario,
arrogante e dissennato. Perché,
Perché,
abbattendo il principio
dell’intangibilità della sovranità
nazionale, in nome dei
“principi etici universali”,
abbatteva anche il principio
dell’appartenenza nazionale,
dell’obbligo morale di
schierarsi col proprio Paese
(“right or wrong, my
country”), ponendo così le
premesse per una profonda e
pericolosa spaccatura proprio
all’interno dei Paesi
occidentali. Perché mentre
l’appartenenza nazionale è
univoca (io sono italiano o
non lo sono), i “principi etici
universali”, a dispetto del
nome, non lo sono affatto:
alcuni sono “più universali”
di altri a seconda delle convinzioni
di cui ciascuno è
portatore.
E adesso si vuole proseguire,
col Kosovo, a scardinare
ulteriormente e definitivamente
l’intangibilità della
sovranità nazionale, sulla
base di un diritto all’indipendenza
di maggioranze etniche.
Ponendo così i presupposti
per altri sconquassi. Il
vecchio diritto internazionale
aveva alla base il principio,
pragmatico, che ogni Stato
sovrano ha il diritto di farsi i
fatti suoi in casa propria. Il
nuovo, universalizzando i
“diritti umani”, globalizzandosi,
apre la strada a un
conflitto permanente di tutti
contro tutti, nelle forme della
guerra e del terrorismo.
Massimo Fini
www.massimofini.it