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Panoramica antropologica sulla visione

di Franco Cardini - 27/04/2012


Alla vigilia dell’apertura dell’annuale Salone del Libro di Torino, una riflessione sul mercato di libri in Europa e in modo speciale in Italia si presenta come opportuna. Che da noi si comprino pochi libri e che si legga poco, è noto e, se vivessimo tempi normali, sarebbe allarmante. Ma allo stato in cui siamo ridotti, preoccuparsi perché la circolazione di buoni libri è asfittica sarebbe come aver la polmonite doppia e lamentarsi di un foruncolo sul naso. Sta comunque di fatto che ormai le librerie, per sopravvivere, si debbono truccare da qualcosa d’altro: da tea rooms,  da negozio di gadgets e così via. Sotto gli immensi, austeri capannoni fordisti del Lingotto torinese che ospita il Salone del Libro la gente circola, chiacchiera, sbircia, sfoglia, soprattutto mangiucchia e sbevazza: ma compra poco. Chi può, semmai, i libri se li fa regalare oppure offrire in omaggio (a parte i recensori di professione, che recensiscono il 10% di quel che ricevono e leggono il 10% di quel che recensiscono). Perché il problema dei libri non è soltanto che se ne stampano troppi e se ne acquistano pochi: ma, soprattutto, che se ne leggono pochi.
Eppure, il peggio è che il vero problema non è ancora questo. La cosa più preoccupante non sta nei troppi italiani che confessano candidamente di acquistare meno di tre libri all’anno in libreria (o che in effetti non ci hanno mai messo piede in vita loro). Il peggio sta nel fatto che la maggior parte di quelli che comprano qualcosa, magari per regalarla, non sa scegliere: e allora si butta sui libracci che puntualmente ogni anno vengono sfornati per Natale dalla fabbrica di porcate sponsorizzata dalla firma del solito mezzobusto televisivo oppure sulla roba a sfondo esoterico-misterico, anch’essa magari targata anchor man TV; e resta un insondabile mistero come mai gente che non ha mai messo piede nel Museo Egizio di Torino o nella cattedrale di Chartres sia poi così appassionata  alle piramidi faraoniche o alle vicende dell’Ordine templare.
Ma ecco un libro che, se gli amanti dei Misteri e dei Segreti avessero anche un minimo di cultura, dovrebbe andare letteralmente a ruba. Già la sponsorizzazione di esso è tale da far venire l’acquolina in bocca ai gourmet delle avventure intellettuali. Si tratta di una pubblicazione della  già piuttosto esclusiva editrice Medusa di Milano,  con tanto di garanzia nientepopodimenoché della Fondazione Cini. Sotto tali auspici si pubblica una collezione di volumi dal nome “Viridarium”, diretta da due studiosi della raffinatezza dell’indianista Alessandro Grossato e del filologo Francesco Zambon. Essa ha il fine di mettere a confronto – al di là dei vecchi limiti concettuali e metodologici del comparativismo – idee e forme di civiltà che in apparenza sono estranee oppure addirittura “avversarie” e “conflittuali” tra loro; e già pubblicato libri quali Forme e correnti dell’esoterismo occidentale e La Montagna cosmica. Ora è uscito da poco, in questa collezione, il volume collettaneo dal titolo La visione, curato appunto da Francesco Zambon: e il leggerlo è un’autentica avventura dello spirito (Milano, Medusa, 2012, pp. 227, illustrato, euri 38 che non vi epntirete di avere spesi).
Punto  di partenza dell’analisi è l’idea dell’ “occhio interiore”, presente in molte tradizioni mitico-religiose, secondo la quale esistono strumenti, metodi ed esperienze  che consentono di percepire e tradurre in immagini e in sensazioni la realtà divine e spirituali, o comunque quelle che hanno rapporto con quanto qui due aggettivi indicano nella tradizione occidentale.
Siamo quindi in un àmbito mistico-estatico, quello nel quale è possibile accedere a esperienze visive a carattere iniziatico di un tipo che sta alla base sia di molte intuizioni  religiose, sia di molte fantasie artistico-estetiche. Un àmbito che si potrebbe definire “sciamanico”, ma la sostanza del quale è spiritualmente creativa (nel senso del termine greco poiesis).
Una densa premessa dello Zambon, che si apre su una riflessione della grande mistica tedesca del XII secolo Ildegarda di Bingen (“Queste cose non le ascolto con le orecchie del corpo e neppure nei pensieri del mio cuore, e non le percepisco per interazione dei miei cinque sensi, ma unicamente all’interno della mia anima, con gli occhi aperti, per cui nelle mie visioni non subisco mai il venir meno dell’estasi: le vedo in stato di veglia, di giorno e di notte”), ci pone subito dinanzi a uno dei problemi cruciali di questo libro: il rapporto tra la visione – compresa la visio nocturna, che per Meister Eckhart coincide con quella del Nulla e di Dio come Nulla – e il sogno. Non a caso, due dei saggi più interessanti di questo libro sono quelli  (rispettivamente della grande studiosa di mistica e di simbologia Victoria Cirlot e dello stesso Alessandro Grossato) incentrati sul cosiddetto Libro Rosso o Liber Novus di Carl Gustav Jung, di recente edito a cura di Sonu Shamdasani presso la Norton e, nella versione italiana, presso la Bollati Boringhieri.
Il libro nasce essenzialmente dal lavoro del Gruppo di Ricerca della “Bibliotheca Mystica et Philosophica Alois M. Haas” dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona. Esso, oltre ai saggi della Cirlot e del Grossato,  presenta saggi ricerche dedicate all’estasi nella mistica ebraica (Moshe Idel), al sufismo  duecentesco (Carlo Saccone),  alla “donna-albero” della duecentesca Marguerite d’Oingt (Sergi Sancho), alla mistica due-trecentesca Marguerite Porete che insegna “a non vedere Dio” (Pablo Garcìa Acosta), a Giovanni della Croce (Anna Serra Zamora), alla “irruzione dell’invisibilità” nella pittura del celebre artista americano Mark Rothko, del quale sono celebri gli affreschi della cappella della St. Thomas University di Houston (Amador Vega). Ma questo rapido elenco non rende giustizia all’ampiezza e alla profondità di un lavoro collettivo che tocca in realtà anche molti aspetti di culture che non sono diretto e immediato oggetto dell’analisi dei singoli autori, ad esempio  quelle sciamaniche del mondo centroasiatico e di quello, ad esso collegato, dei native Americans. Nelle attuali circostanze, sarebbe auspicabile che il “popolo della Sinistra”, alcuni settori del quale sostengono ancora di essere in qualche modo sensibili alla cultura, si occupasse di più della mistica e della cultura iniziatico-ermetica, popolo della Sinistra: è una cosa troppo seria per lasciarla a quel miserabile mondo di paccottiglia ch’è diventata negli ultimi tempi la “cultura della Destra”, quella che un tempo andava da Mircea Eliade a Ezra Pound e da Georges Dumézil a Elémire Zolla mentre  oggi – emarginate nicchie a parte – sembra essersi data a propagandare discutibili intellettualastri liberal  e pomposi pagliacci theocons .