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La neolingua del più forte: Orwell a Gaza

di Massimo Tessitore - 17/07/2006

 


I recenti gravi avvenimenti in Medio oriente, relativamente all'annoso ed endemico conflitto tra israeliani e palestinesi che configurano ormai una vera e propria questione israeliana, ci confortano nella nostra idea sulla realizzabilità dell'utopia: infatti, in quelle terre, l'utopia orwelliana si è fatta corpo!!

Mi riferisco, purtroppo, al doublespeak, alla neolingua che distorce i sensi delle parole, che Orwell coniò accogliendo la lezione di Lewis Carroll, quello di Alice nel paese delle meraviglie, il quale fa dire grosso modo ad un suo mitico personaggio, Tweedledee: "Il senso di una espressione la decide chi ne è il padrone".

I fatti in corso lo confermano. Un gruppo di guerriglieri legati alle fazioni in armi contro l'esercito occupante, in una improvvisa e fulminea azione di sorpresa, uccide due soldati e ne sequestra uno. Si tratta innegabilmente di un successo, tanto unico quanto raro, perché sul piano della forza armata non c'è mai stata partita, per dirlo in gergo, tra Tsahal e i palestinesi. Parliamo dunque di atto militare contro un esercito di potenza occupante, parliamo di cattura di un soldato nemico, trattenuto prigioniero, parliamo di trattativa, di riscatto.

Tuttavia, a quanto leggiamo, sembrerebbe che una banda di criminali malfattori, legati alla 'Ndrangheta locale, abbia commesso un reato di sequestro di persona, che ha scatenato una legittima operazione di polizia sul territorio, bonificato da elementi contigui alla banda – ossia l'uccisione di decine di palestinesi nel corso delle retate poliziesche – e da elementi legati ai mandanti politici del sequestro – ossia la detenzione di vari ministri ed esponenti del partito Hamas, legittimamente al governo della fantomatica Autorità palestinese nata dagli Accordi ad interim di Oslo.

A ciò si aggiunga, peraltro, che nonostante nessuna norma, nessun articolo, nessuna risoluzione dei vari orgasmi delle Nazioni Unite abbia mai riconosciuto e sancito l'occupazione illegale della Striscia di Gaza – restituita l'anno scorso ai palestinesi ma con diritto-privilegio di incursione e rioccupazione secondo il mero arbitrio dei comandi israeliani – e della West Bank nel giugno del 1967, i media riportano ormai la dicitura "Disputed territories", cioè "territori contesi", e non l'unica corretta dizione di territori occupati, come se Hitler avesse "conteso" i territori della Cecoslovacchi e della Polonia nel 1939, del Belgio e della Francia nel 1940, della Norvegia nel 1941 e via dicendo.

La neolingua, insomma, copre misfatti facendoli passare per fraintendimenti: occupazione di terre altrui vs. sicurezza dell'invasore (specie delle truppe di occupazione in territori altrui). La neolingua cancella con la sottigliezza linguistica, notoriamente foriera di confusione anziché di chiarezza, il fatto che, fino a prova contraria, chi sequestra sono gli israeliani: non solo i ministri di Hamas, ma palestinesi semplici, le cui case vengono abbattute senza ragione civile e legale, ma solo per arbitrio militare dettato dalle esigenze militari della guerra scagliata contro i palestinesi. Chi uccide è Tsahal in una proporzione dell'80% (ossia su 10 morti 8 sono palestinesi) a partire dalla seconda Intifada iniziata nel 2000 all'indomani della provocatoria visita di Sharon alla Spianata della moschea araba a Gerusalemme Est (parte araba annessa illegalmente a Gerusalemme ovest, parte israeliana, manu militari nel 1967). Proprio come i lanzichenecchi che occuparono Roma e il Vaticano tanti secoli orsono (con tutta l'antipatia verso i preti di Roma, sempre una occupazione militare fu).

In altri termini, le azioni criminali di Israele passano sotto silenzio grazie alla copertura linguistica che le presenta come una reazione, talvolta semplicemente sproporzionata, ma comunque legittima ad un attacco ingiusto di bande faziose e fanatiche, laddove la realtà del conflitto si vela dal suo opposto. Una brutale occupazione militare in cui persone e cose sono alla mercé della potenza occupante, spregiudicata nel portare avanti le sue operazioni militari, non più chiamate per nome e cognome, ma coperte da eufemismi dissuasori. La neolingua è senza dubbio figlia dei rapporti asimmetrici di forza sul posto, mentre la sua diffusione nella comunità internazionale diventa un problema per questa ultima, evidentemente pronta a prostrarsi di fronte ad essa pur di non dover prendere posizione a favore della giustizia, accanto alle vittime inermi. Non occorre scomodare la retorica del complotto sionista, la posta in palio abita a Washington, non tanto a Tel Aviv.

Neolingua e media egemoni costituiscono ormai un tutt'uno, non solo per quanto concerne il conflitto mediorientale. Certo, si tratta di un sistema di lettura e di resa al pubblico che è marcio perché impadronito da padroni e politici che fanno della carne macellata altrui l'alimento principale della loro professionalità e dei loro profitti. Addirittura il centro di ricerca che si occupa di selezionare e tradurre articoli dalla stampa araba in lingua inglese è sovvenzionato da… Israele! Forse, è eccessivo parlare di libertà di stampa e difendere i giornalisti pennivendoli che reiterano loghi comuni travisando i fatti e narrandoli falsamente. Anche loro sono embedded (alcuni senza saperlo, altri volontariamente, esattamente come i soldati), e qualcuno di loro, solitamente il meno coinvolto, ne paga pure il prezzo cadendo nello scontro. Eppure, anche in tale occasione, il sistema digerisce l'ennesima vittima pur di proseguire nella sua falsificazione costante. Di questa libertà abusiva, prima o poi, sapremo sbarazzarci consegnando all'oblio fogli e fogliacci di regime, e pazienza se avremo una massa di disinformatori di massa disoccupati e precari....


Umanità Nova, n 25 del 16 luglio 2006, anno 86