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Cosa sta succedendo in Afghanistan?

di Mcs - 19/07/2006


 
 
   


La discussione in atto in Italia sul significato da dare al voto sul ddl sul rifinanziamento della missione militare in Afghanistan si dà, come da tradizione delle culture politiche in campo, su un piano morale, su uno legalitario e su uno politicistico. Quando quest’ultimo, immancabilmente rappresentato dal “non vorrete mica fare il gioco di Berlusconi” non riesce a contenere gli altri due la discussione si sposta sul fatto se siano applicati o meno i principi etici o della legalità internazionale. Nessuna di queste argomentazioni assume visioni strategiche: non a caso l’argomento meno dibattuto è quello su cosa stia accadendo in Afghanistan, quali siano le forze in campo e quali le dinamiche globali. Questo ci mostra che l’eticismo della sinistra radicale si concretizza con un approccio minimalistico alle questioni strategiche viste come immutabili alle quali applicare la logica della “riduzione del danno” secondo la quale anche una sottomissione volontaria alle strategie in atto rappresenta un passo in avanti, una “mediazione”.

Per capire quali strategie di resistenza adottare alla guerra per l'egemonia sulle risorse apertasi dopo l'11 settembre risulta quindi importante ritornare sul campo.
Partiamo quindi da un
articolo di David Rudd del Canadian Institute of Strategic Studies che riporta una serie di impressioni di ritorno proprio dall'Afghanistan.

Il Canada è uno dei paesi che compone la forza multinazionale, militare e di costruzione di uno stato filoccidentale, di Enduring Freedom. Il suo è un punto di vista doppiamente interno: all'Afghanistan, come ricercatore sul campo, e alla coalizione. Ebbene un mese fa Ruud, oltre ad affermare come "poche crisi siano complesse come quella afghana" (e quindi ben più complessa di una decisione politica basata sugli equilibri dell'Unione o sul rispetto dello spirito delle istituzioni internazionali), rileva come gli americani supportati dalla coalizione si stiano ritirando dal sud per preparare un'offensiva ai confini del Pakistan. La prima domanda che sorge spontanea è quale riduzione del danno da sinistra ci sia in un rifinanziamento a truppe che fanno, nel migliore dei casi, parte di un logistico a supporto dell'offensiva americana ai confini tra Afghanistan e Pakistan.
Ma del reportage di Ruud emerge un aspetto strutturale niente affatto tranquillizzante rispetto agli obiettivi della "ricostruzione civile", formula a doppio taglio dove convergono gli interessi della occidentalizzazione dell'Afghanistan e quelli delle ONG. Tutti i piani di occidentalizzazione della vita civile afghana si imbattono infatti su due potenti, ed intrecciate, contraddizioni: la prima è che la struttura sociale dei signori della guerra, una volta a contatto con le istituzioni occidentalizzate, tende a determinarne il funzionamento generando il paradosso per cui le risorse delle istituzioni occidentalizzate nutrono il nemico che gli fa la guerra. La seconda è che la federazione informale di narcostati che forma la struttura materiale dell'Afghanistan, e che nutre lo strato sociale legato ai signori della guerra, è la vera infrastruttura dell'economia sociale dell'area legata alla coltivazione del papavero. E questo fenomeno completa una notevole serie di contraddizioni: l'occidente finanzia l'occidentalizzazione delle istituzioni afghane che a sua volta sostiene i signori della guerra in conflitto con il governo filoamericano e, infine, da una parte prepara i piani di distruzione della coltivazione del papavero mentre sul piano informale ne è l'esclusivo consumatore. Siamo di fronte a strategie militari che poggiano quindi su una base sociale sul terreno perlomeno scivolosa e infida. Questa discussione non appartiene alla sfera politica ma a quella degli istituti di ricerca. Motivo semplice: la politica non è pubblicamente in grado di affrontare questi temi.

E' quindi da menzionare il
report, dopo un viaggio sul campo, di Teresita Schaffer del Center for Strategic and International Studies. Qui si riconosce come la strategia occidentale sia quella di integrare intervento militare e umanitario.
Una sorta di occidentalizzazione sulla canna del fucile della vita sociale afghana dove ogni intervento "umanitario" è integrato nell'istituzione del PRT che è l'applicazione sul campo di questa integrazione di militare e ONG. E' politicamente censurabile che la discussione sull'Afghanistan ben impantanata sui principi, per confinarsi della propaganda, si sia presto sganciata dal merito di questi PRT che sono il dispositivo istituzionale e militare dell'intervento occidentale in Afghanistan. Ma, nonostante questo, la logica dei PRT secondo la Schaffer lascia il passo di fronte al vero determinante della vita sociale afghana: coltivazione e circolazione dei narcoprodotti. Niente affatto curioso che questo tema strategico, per spiegare l'Afghanistan, sia scomparso dal dibattito politico: significa che questa dimensione fenomenica ha una complessità non affrontabile dalle tecnologie politiche in campo.
Infine una notizia più strettamente militare.
In queste ore le truppe americane, alle quali gli italiani sono alleati, hanno lanciato un'offensiva militare in Afghanistan contro i talebani. 10.000 effettivi tra occidentali e truppe lealiste all'occidente.

Alla vigilia del voto sull'Afghanistan questa notizia importante per capire lo scenario che si sta sviluppando non solo non la troverete nei Tg ma nemmeno su L'Unità, su Liberazione o sul Manifesto. Troverete tante discussioni sulle mozioni, l'unico piano sostenibile dalla sinistra "radicale".
Fausto Bertinotti sul Corriere di oggi ha detto che chi non vota la posizione della maggioranza sull'Afghanistan è fuori dalla politica. Con quel che sta avvenendo in Afghanistan c'è da chiedersi quando e se Fausto Bertinotti tornerà mai nel mondo reale.

Mcs
Fonte: http://www.rekombinant.org
Link: http://liste.rekombinant.org/wws/subrequest/rekombinant
16.07.2006