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Incapaci di piegare la resistenza, gli americani cercano di provocare lo scontro civile

di Roberto Zavaglia - 11/10/2005

Fonte: lineaquotidiano.it

Il giornalismo occidentale non si limita più a propagandare la “giusta causa” in Iraq

Guerra di disinformazione
Incapaci di piegare la resistenza, gli americani cercano di provocare lo scontro civile

Roberto Zavaglia

Lunedì 19 settembre nella
città di Bassora, in
Iraq, è avvenuto un fatto
gravissimo che i maggiori
giornali italiani, il giorno
seguente, hanno riportato senza
degnarlo di alcun commento.
La polizia del governo collaborazionista
aveva tentato di fermare
un’automobile sospetta
con due uomini a bordo, i quali
avevano reagito sparando e
uccidendo uno dei gendarmi.
In seguito, la polizia era
comunque riuscita a catturare il
conducente e il passeggero della
macchina, ma - grande sorpresa
- non si trattava di terroristi
o di delinquenti comuni: i
due, che indossavano abiti arabi,
erano inglesi delle forze
speciali Sas. Nella macchina
veniva rinvenuta una ingente
quantità di materiale esplosivo.
Alcune ore dopo, una decina di
carri armati britannici sfondavano
il muro di cinta della prigione
in cui erano stati rinchiusi
gli arrestati e li liberava.
Approfittando della breccia,
anche un centinaio di prigionieri
riusciva a fuggire, mentre
i cittadini attaccavano con bottiglie
molotov i carri armati,
danneggiandone un paio. Al
leggere questa notizia sono
rimasto esterrefatto. I giornali,
infatti, riferivano
dell’accaduto con
articoli anodini in
cui non c’era
alcun interrogativo
su cosa ci facessero
due agenti speciali
inglesi, travestiti
da arabi, in
giro per Bassora,
con una macchia
piena di esplosivo.
Si tratta di un caso
talmente eclatante,
per via dell’attacco
dei tank - ho
pensato - che la
stampa ufficiale,
solitamente così
restia a parlare di
operazioni “coperte”
delle forze di
occupazione, non
ha potuto ignorarla.
Se non ci sono
commenti, ho concluso,
sarà per via
dell’orario di chiusura dei quotidiani
che hanno consentito
solo una cronaca frettolosa, ma
da domani, non essendo ormai
più censurabile la notizia,
divamperanno le polemiche. E
invece niente: della vicenda, in
tutti questi giorni, non ho quasi
più trovato traccia sui giornali,
come se si fosse trattato di un
fatterello insignificante.
Il silenzio della stampa rispetto
a un tale avvenimento è vergognoso,
ma non incomprensibile.
Le guerre degli statunitensi
e dei loro alleati sono diventate
anche, o soprattutto, guerre di
informazione e disinformazione.
Intendiamoci, non è certo
da oggi che le potenze in conflitto
sfruttano la stampa per
demonizzare il nemico e
mascherare le proprie colpe.
L’esportazione a mano armata
della democrazia ha
però cambiato l’ordine
dei fattori: il network
giornalistico
occidentale non si
limita più a fornire la
propaganda per rinsaldare
le file dei
combattenti e per
demoralizzare e confondere
gli avversari.
Oggi, il presupposto
delle guerre è l’asservimento,
o nel
migliore dei casi, l’inganno
ai danni dell’informazione
che
viene usata per fabbricare
le inesistenti
motivazioni della
guerra. La campagna
sulle armi di distruzione
di massa di
Saddam e sui suoi
rapporti con Al Qaeda
lo dimostra inconfutabilmente.
Poiché le guerre democratiche
sono conflitti del bene contro
il male, occorre che la disinformazione
accompagni massicciamente
l’andamento delle
operazioni. I giornali possono
fare critiche, ma esse non
devono mai arrivare al punto
da mettere in dubbio l’intrinseca
malvagità del nemico e la
bontà, quantomeno sul piano
intenzionale, degli aggressori.
La canzone è nota: una grande
democrazia può commettere
degli errori, ma se ne serve per
imparare ed emendarsi eccetera,
eccetera. Chi non sta a questa
regola viene declassato da
serio giornalista a dilettante
visionario, oppure a pazzo, criminale
e fascista, parole che,
poi, nel linguaggio delle redazioni,
vogliono dire sempre la
stessa cosa. Come ci si fa a
opporre al bene, anche se esso,
talvolta, segue vie un po’ contorte
e misteriose?
A chi non si sia del tutto bruciato
il cervello a colpi di Magdi
Allam e di Oriane Fallaci, il
fatto accaduto appare per quello
che è. I due agenti del Sas
stavano evidentemente per
compiere un attentato da attribuire
in seguito al fantomatico
e ubiquo Zarkawi. Sui piccoli
giornali indipendenti come il
nostro e nei siti internet di controinformazione
si denuncia,
da tempo, l’azione di provocatori
dietro una parte delle bombe
che, in Iraq, provocano stragi
tra la popolazione. Si tratta
di una mossa disperata degli
invasori che, incapaci di piegare
la resistenza, tentano di provocare
la guerra civile tra sciiti
e sunniti. Certo, non manca
spazio,
(…) nel disastrato Iraq odierno,
per jihadisti che le bombe
le mettono in proprio, ma non
è assolutamente credibile che
la vera resistenza, di impronta
prevalentemente nazionalista
e baathista, si screditi massacrando
il suo stesso popolo.
Del resto di cosa ci si sorprende
se, fino a non molto tempo
fa, l’ambasciatore Usa a
Baghdad era John Negroponte,
indimenticabile (per chi ha
voglia di ricordare) organizzatore
di squadroni della morte
nell’Honduras degli anni
Ottanta e, di recente, nominato
da Bush coordinatore di tutti
i servizi segreti statunitensi?
Eppure, anche sulla scelta di
simili personaggi per cariche
così importanti, i grandi giornali
e le televisioni non sembrano
avere molto da dire. La
diceria dello scontro di civiltà
copre tutto. L’Occidente cristiano-
popperiano dei Marcello
Pera e dei neo-teocon vuole
che ci si ricompatti tutti nell’immane
lotta contro il fanatismo
musulmano. Se poi si è
giornalisti in una testata progressista,
si può sempre invocare
un pizzico in più di Onu
che, del resto, ha autorizzato
ex post l’occupazione irachena
e rimpiangere Clinton, il
quale aveva sì fatto bombardare
i serbi, ma era tanto
meno burino di Bush. L’importante
è non sollevare il tappeto
della propaganda per
mostrare la sporcizia di quanto
accade realmente. Non è
chic e serve proprio a poco
per fare carriera.