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La dittatura della tecnologia

di Luigi Zoja - 14/11/2012


 

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Attraverso un percorso sotterraneo, universale e trasversale, che investe ogni popolo con la ipermodernizzazione, si è imposta a noi una nuova «dittatura»: una egemonia autoritaria non di certe forme politiche, ma di un universo economico e tecnologico che non ha precedenti in tutta la storia umana.

Esso sconvolge e deforma i nostri affetti e le nostre relazioni con gli altri, le nostremozioni e il controllo del nostro sistema neuronale. La critica al consumismo esasperato ci dice da tempo che acquistando oggetti e progresso, la nostra attenzione è distolta dagli uomini, quindriversata sugli acquisti e sulle cose. Negli ultimi anni, però, abbiamo anche appreso che la tecnica genera (ad esempio attraverso internet o i telefoni cellulari) rapporti prima inesistenti con chi è lontano, ma in cambio si porta via l’affetto per chi è vicino e ci svincola dalle responsabilità chesso comportava.

Due sono dunque le cause - profonde e irreversibili - che concorrono alla attuale estraneazione. La prima è l’anonimato della civiltà di massa. Fino ad un secolo fa, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale (ben più del 90%) era agricola: una condizione dominante anche nei paesi già allora più ricchi, in Nordamerica e in Europa centro-settentrionale. L’economia e la socie erano fortemente locali: la maggioranza della gente viveva nello stesso luogo per tutta la vita (il fascino ambiguo del servizio militare stava in gran parte nell’essere uno dei pochi eventi che potevano portare lontano). E la maggior parte della popolazione conosceva solo 200, al massimo 300 personin tutta la vita. L’animale uomo, del resto, si è evoluto durante gran parte della sua storia comnomade che vagava in piccole bande su territori quasi vuoti. Il suo sistema nervoso è dunqupredisposto per riconoscere, memorizzare e accogliere positivamente un numero ben ristretto dvolti.


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VITA IN CITTÀ

Ma dal 2008, hanno detto le Nazioni Unite, più della metà della popolazione terrestre vive in città.

È una svolta senza precedenti, più importante del passaggio dell’egemonia mondiale dagli Stati Uniti alla Cina. Anche la Cina sarà una breve comparsa sul palcoscenico delle epoche: altri protagonisti vi saliranno e scenderanno come è capitato all’Impero persiano e a quello di Alessandro, a Roma, alla Spagna e all’Inghilterra. La città, invece, dice l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite non cederà più il primato alla campagna. Nelle città, l’individuo medio, che esce in strada, usa mezzi pubblici, visita uffici e supermercati, vede migliaia di nuovi volti anonimi: non durante la vita, ma ogni giorno. Il suo sistema nervoso, i suoi meccanismi (animali e naturali) di allarme di fronte agli sconosciuti, sono costantemente mobilitati: non se ne accorge solo perché si tratta di una condizione che non è particolare, ma permanente. Vive in un stato (strisciante, inconscio) di stress e diffidenza continui. Non sorride più riconoscendo i volti, come facevano i suoi antenati nel villaggio. Per riconoscere volti, accende la televisione. I sorrisi, artificiali e anonimi, di attori e presentatori che non ha mai incontrato, gli sono noti: sono la sua famiglia, tecnologica e preconfezionata.

Il secondo fattore di distanza e perdita del prossimo è infatti la tecnologia. La tecnologia ha fatto cose meravigliose che moltiplicano le possibilità di interagire con gli altri. Già da tempo, però, è stato lanciato l’allarme: gli uomini non sono capaci di usarla, ne divengono dipendenti come da una droga e perdono la capacità di comunicare anziché arricchirla. A questo fenomeno è stato dato il nome di «Paradosso di interne. Più recentemente, pubblicazioni scientifiche ci hanno fornito dati concreti. Nel ventennio 1987- 2007 le ore quotidiane che il cittadino inglese medio trascorre davanta mezzi di comunicazione elettronici sono passate da 4 a circa 8. Nello stesso periodo, quelltrascorse comunicando con persone reali sono scese da 6 a poco più di due.

media-addictedTutto questo è morboso in ogni senso. È ingiusto, ci suggerisce istintivamente ogni morale laica o religiosa. È dannoso psicologicamente, come ho cercato di argomentare in un breve saggio sulla Morte del prossimo. Ma è anche così innaturale per il nostro corpo da costituire un grave fattore patogeno: la sostituzione dei contatti sociali con quelli elettronici può, per esempio, favorire alterazioni nei leucociti e diminuire la resistenza ai tumori.

Secondo la Scuola di Medicina di Harvard, nelle persone di oltre 50 anni socialmente isolate la perdita di