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La grande fola dello "stile Juventus"

di Diego Novelli - 20/07/2006

 
Alla vigilia di un importante derby della Mole, alla domanda di Gino Rancati, inviato del Corriere della Sera, come distinguere i tifosi del Toro da quelli della Juve, l'avvocato Gianni Agnelli rispondeva lapidario: «E' una questione di stile». E aggiungeva: «Lei provi ad entrare in una stanza affollata, o in un qualsiasi luogo pubblico: non le risulterà difficile distinguere i tifosi della Juve dal resto della massa. È una questione di stile». Non aggiungeva particolari. Non precisava se i tifosi granata mettevano le dita nel naso, mentre quelli bianconeri erano tutti compunti, con le braccia conserte. Sottolineava semplicemente un concetto che per oltre un secolo ha ossessionato l'ex capitale subalpina e l'Italia intera.
Lo stile Juventus! Che era tutt'uno con lo stile Fiat, con lo stile della nuova Real Casa che si era sostituita ai Savoia, con i nuovi duchi della famiglia
Agnelli. Così, come nel XVII e XVIII secolo, i sudditi dei vari Vittorio, Amedeo, Carlo (come ci ricorda lo storico Guido Quazza) si identificavano nella Casa regnante anche moltissimi dei dipendenti della grande industria automobilistica torinese, per larga parte del secolo scorso, si sono identificati nell'Azienda. La Mutua Fiat, le Colonie Fiat, la Befana Fiat, il Dopolavoro Fiat, i pellegrinaggi a Lourdes Fiat... Non capita in nessuna parte del mondo di leggere, ancora oggi, su qualche quotidiano, l'annuncio funebre (il cosiddetto necrologio) nel quale si dà notizia della dipartita di un congiunto, accompagnando il nome e il cognome del caro estinto, con la qualifica di «Anziano Fiat».
Quando è morto l'avvocato Gianni Agnelli, oltre 500 mila torinesi, di origine e di adozione sono saliti sul tetto del Lingotto (dove era stata allestita la camera ardente a cielo aperto, sulla storica pista) per rendere omaggio al «vice-re» scomparso: un pellegrinaggio stile Mecca.

In queste settimane si è parlato molto di inchieste della giustizia sportiva e di quella ordinaria sulla società di calcio Juventus. È subito invece scomparsa dalle pagine dei giornali l'indagine avviata dalla magistratura per presunti illeciti borsistici (aggiotaggio), messi in atto per riassicurare alla famiglia Agnelli il 30% del pacchetto Fiat, vale a dire il controllo assoluto della società. Anche questo episodio rientra nello stile Fiat-Agnelli, direi storicamente. Infatti, nel lontano 23 agosto del 1909 il nonno dell'Avvocato (appena nominato Cavaliere del lavoro da Giolitti), veniva rinviato a giudizio «per truffa e aggiotaggio». Si salvò nel processo, anche grazie ad un intervento diretto del ministro della Giustizia dell'epoca, Vittorio Emanuele Orlando e soprattutto al repentino passaggio dai banchi della parte lesa a quelli della difesa, di un giovane contabile, il ragioniere Vittorio Valletta, futuro presidente della Fiat.
Ma torniamo all'attualità. In decine di interviste televisive e sulla carta stampata abbiamo sentito e letto che lo scandalo dell'illecito sportivo che condurrà la «Vecchia Signora» in serie B, non sarebbe accaduto se fosse ancora stato vivo il mai sufficientemente compianto Gianni Agnelli. È sceso in campo addirittura il settimanale della Curia torinese, La Voce del Popolo per sostenere in un editoriale di prima pagina, «che con l'Avvocato in vita lo stile Juventus non sarebbe stato infangato». Peccato che Luciano Moggi (l'imputato numero uno) sia stato ingaggiato alla Juve proprio dall'Avvocato.

Ma sempre per restare al leit motiv dello stile Juventus-Fiat-Agnelli, vale la pena segnalare l'uscita in queste settimane di un interessantissimo libro di Giorgio Garuzzo, un manager di razza, per molti anni ai vertici della grande industria automobilistica, dall'eloquente titolo: «Fiat i segreti di un'epoca» (Fazi editore). Garuzzo, pur provenendo dalla Olivetti, non ha la cultura manageriale del fondatore del Movimento di Comunità. Anzi. Manifesta abbastanza esplicitamente, un certo fastidio, se non addirittura disprezzo per quei suoi colleghi che in Fiat «mancano di forte personalità», e da lui definiti «sognatori», «filosofi», «affetti da intellettualismo» (come Tufarelli, Rossignolo ecc.). Non sufficientemente rozzi nelle human relation.
Il libro di Garuzzo ha però un grande valore storico: è costruito attraverso una ricca anedottica non fondata sul filo della memoria che, come ci insegnano gli storici, può riservare giganteschi abbagli. «I segreti di un'epoca» sono svelati da documenti, da verbali giudiziari di consigli di amministrazione e di comitati direttivi, da appunti scritti all'istante, a «caldo», a poche ore dai fatti accaduti, magari in una stanza d'albergo o in una sala d'attesa di un aeroporto dopo un'intensa giornata di lavoro.
Il quadro che emerge della Fiat, vista dall'interno, è semplicemente sconvolgente: 430 pagine spietate dalle quali risulta con chiarezza (mutuando dal Gramsci del «Risorgimento») che la grande Casa automobilistica più che una «classe dirigente», ha avuto una «classe dominante». Immorale due volte: non solo per la criminosa attività antisindacale praticata senza scrupoli, ma perché tutta la dirigenza si faceva retribuire in larga misura «in nero», estero su estero, per frodare il fisco all'amata Italia.

In tutta questa amara, squallida, inquietante storia costata a decine di migliaia di lavoratori sacrifici, povertà e disperazione, lo «stile» non manca mai. Brilla su tutti, l'Avvocato «sempre affascinato dall'intraprendenza del primo venuto», dal «dinamismo dei suoi interlocutori». «L'apparenza per lui - scrive Garuzzo - faceva premio sulla sostanza». «Gli intraprendenti bricconi esercitavano un fascino particolare su Giovanni Agnelli». E l'Avvocato assisteva, a volte divertito, alle faide di corte. Il Gruppo Fiat, sotto l'impero Agnelli-Romiti, «poteva aspirare al primato mondiale per coefficiente di "mortalità" di alti dirigenti».

Garuzzo è stato anche arrestato per un breve periodo, durante Tangentopoli, quando la Fiat venne coinvolta nello scandalo dell'Impresit Metropolitana di Milano e in un'altra inchiesta relativa alla vendita di autobus Iveco al Comune ambrosiano, con il pagamento di tangenti. L'ex direttore generale della Fiat ci rivela che l'intervista di Gianni Agnelli (con la quale aveva designato come suo successore il nipote Giovannino) rilasciata a un giornale francese, venne dall'Avvocato censurata all'ultimo momento, attraverso l'Ufficio stampa che depennò dal testo scritto destinato a tutti i giornali italiani, una frase. Alla domanda «quali fossero stati per lui i tempi più duri», Gianni Agnelli aveva testualmente risposto (come risulta dalla velina posseduta da Garuzzo): «Non quelli delle Brigate Rosse, che ti sparavano addosso, ma sapevi chi erano e perché lo facevano, bensì gli attuali, quando ti spara addosso la magistratura, ma non sai né una cosa né l'altra». Piuttosto scarso il senso dello Stato e della legalità.
Tornando da dove siamo partiti, cioè, dalle vicende della Juventus, la sorella dell'Avvocato, Susanna Agnelli, ci ha fatto sapere in un'intervista tv che l'amore per la squadra bianconera rimarrà per lei immutato. «La squadra di calcio è come una bella donna di cui un uomo si innamora. L'amore rimane per tutta la vita, anche se la bella donna diventa una troia». Niente male come «stile».