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Ci mancavano i curdi

di Christian Elia - 20/07/2006

Botta e risposta tra Turchia e Usa per il Kurdistan iracheno
“Il terrorismo è terrorismo, in qualunque angolo del mondo. Non è possibile accettare determinate cose per un paese e ritenerle inaccettabili per un altro. Il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) non è solo un problema dell’Iraq del nord, è anche un problema europeo e della Turchia”.
 
miliziani curdi in marciaLa Turchia non ci sta. Il premier turco Racep Tayyip Erdogan risponde così a Ros Wilson, ambasciatore Usa in Turchia, il quale aveva dichiarato ieri in un’intervista che “Washington mette in guardia Ankara dallo svolgere qualsiasi operazione militare entro i confini iracheni per colpire i ribelli del Pkk, nel nord dell'Iraq”. Il rappresentante degli Usa in Turchia aveva sottolineato che il suo paese ha più volte ribadito che un'azione militare unilaterale da parte di Ankara non sarebbe stata accettata. Erdogan ha risposto subito, accusando gli Stati Uniti di usare due pesi e due misure rispetto alla lotta al terrorismo nel mondo.
Un eventuale attacco da parte dell’esercito turco in territorio iracheno non sembra all'ordine del giorno, ma la tensione al confine tra i due paesi è molto alta. Il Pkk, nel 1984, ha iniziato la lotta armata per la secessione di alcune regioni del sud-est, quelle dove i curdi sono la maggioranza, e il conflitto tra l’esercito turco e i separatisti curdi ha causato la morte di circa 35mila persone. A giugno del 2004, il Pkk ha dichiarato la fine della tregua che durava dall’arresto del suo leader Abdullah Ocalan, nel 1999. Ma è nell’ultimo anno che il conflitto è tornato ai livelli di 10 anni fa. Da più di 10 anni Ankara mantiene circa 1.500 militari delle forze speciali al confine con l’Iraq. A gennaio 2006 il governo turco ha deciso di aumentare di 40mila unità il contingente militare nella zona curda, al confine con l’Iraq, portandolo a 220mila uomini, allarmando l’Iraq che in questo momento non può permettersi una crisi con i curdi, l’unica delle tre principali comunità irachene a non essere sul piede di guerra, come i sunniti e gli sciiti. Il resoconto degli episodi dell'ultimo mese è indicativo del livello dello scontro.
 
ocalan alla sbarraGli Usa nel mezzo. Il 23 giugno le forze di sicurezza turche hanno ucciso otto membri del Pkk in uno scontro a fuoco nel sudest della Turchia, nella provincia di Hakkari, vicino al confine con l'Iraq. Il governo turco denuncia che vi sono basi di guerriglieri del Pkk nel Kurdistan iracheno. Il 30 giugno due soldati turchi sono rimasti uccisi e altri cinque altri feriti in seguito ad un attacco sferrato da ribelli del Pkk ad una caserma della gendarmeria nella provincia di Bingol in Turchia orientale. Il 6 luglio un uomo e' rimasto ucciso in seguito all'esplosione di un'autobomba a un posto di guardia della polizia turca in un villaggio della provincia di Diyarbakir, massimo centro della zona curda. L’11 luglio due poliziotti turchi sono rimasti uccisi nel corso di un attacco armato nei pressi della città orientale turca di Sirnak, vicina al confine tra la Turchia e l'Iraq e il 13 luglio 5 soldati turchi sono morti e altri cinque sono rimasti feriti dall'esplosione di una mina nella regione orientale di Bitlis.
Il bilancio di una vera e propria guerra. Il governo turco è furibondo e sotto la pressione dell’opinione pubblica interna. Il premier Erdogan minaccia di porre fine alla questione del Pkk attaccando le basi curde nel Kurdistan iracheno dove, dopo la caduta di Saddam, i curdi godono di un’autonomia totale. Hoshyar Zebari, ministro degli esteri iracheno, il 6 luglio scorso, ha messo in guardia la Turchia dal compiere qualsiasi incursione militare nei territori dell'Iraq settentrionale per contrastare i guerriglieri curdi attestati in quella zona, e alle sue parole sono seguite le dichiarazioni dell’ambasciatore Wilson. La reazione di Erdogan è indicativa però di un malessere della Turchia che, di fronte alla contesa tra due alleati importanti, solo Washington sembra poter dirimere. Con l’Iraq, il Libano e la Palestina in fiamme, la diplomazia Usa non ne sentiva il bisogno.