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Criminalità immigrata e mancanza di buon senso

di Enrico Galoppini - 03/02/2013

Fonte: Europeanphoenix



Sulla “società multinetnica”, l’“antirazzismo”e l’acritica infatuazione per tutto ciò che è “ibrido” e “meticcio” manifestata con un’ipocrisia insopportabile, ci siamo già espressi in quest’articolo, che ovviamente riconfermiamo in ogni sua virgola, e nel quale abbiamo cercato di essere il più equanimi possibile su una materia per la quale ci s’infervora facilmente e, quel che è peggio, spesso a sproposito e senza mai andare fino in fondo tenendo legati tutti i pezzi del discorso.

Ma per dovere di completezza, dobbiamo aggiungere qualche altra considerazione, visto che le notizie di cronaca di questi giorni inducono a farlo.

Non siamo così sprovveduti dal cadere nel tranello: ciò che è “notizia” per i media, falsi, opportunisti e mai dalla parte del “bene comune”, è in realtà il “notiziabile”, che corrisponde a quel che è spendibile e strumentalizzabile a seconda del momento, della particolare contingenza politica, allo scopo di orientare masse in un senso o nell’altro, in base alla convenienza dei padroni stessi dei “mezzi di informazione”.

Adesso poi si dà il caso che siamo alle porte dei ludi elettorali, perciò ogni cosa, compreso il polverone sul Monte dei Paschi (le cui magagne erano note da tempo), va letta alla luce delle baruffe chiozzotte tra una cricca e l’altra.

Così, se in questi giorni, sulla stampa e le tv a diffusione nazionale, trovano spazio notizie riguardanti efferati fatti di cronaca che vedono protagonisti negativi degli immigrati, qualche domanda bisogna comunque porsela. Infatti, questi gravi accadimenti sono all’ordine del giorno, ma vengono relegati di solito nella stampa locale (quando va bene), che risponde ad altre esigenze “informative” (cioè di formazione delle coscienze) ed è letta da un pubblico in media meno ‘raffinato’ e che dev’essere dunque gestito anche con una certa dose di ‘xenofobia controllata’.

Ma veniamo ai gravi comportamenti messi in atto da immigrati registrati in queste ultime ore in Italia.

Il primo è uno scontro frontale, in provincia di Terni, tra una macchina guidata a folle corsa da due albanesi, in fuga dopo un furto presso un’abitazione privata. Il secondo è l’investimento, ad Aosta, di due mamme coi loro due piccoli, in carrozzina, ad opera di un romeno.

Innanzitutto, alcune osservazioni su vari dettagli dei due episodi.

Per quanto riguarda il primo, va rilevato come ormai non si salvi praticamente più nessuno da queste bande di predoni che circolano liberamente in Italia: altro che “furti in villa”, qua si tratta di un anziano con 50 euro in casa… della serie: siamo tutti in pericolo! Ma anche la modalità con cui le Forze dell’ordine si sono lanciate all’inseguimento dei banditi desta qualche preoccupazione. Che senso ha prodursi in un inseguimento spericolato tipo telefilm americano su una statale sapendo che in direzione contraria arriverà qualcuno che non è stato avvertito con apposite segnalazioni poste lungo il percorso (a causa della penuria di mezzi e di personale)?

Per quanto riguarda il secondo episodio, si legge che l’autore di questo capolavoro era stato appena accusato di una rapina in una tabaccheria, realizzata all’inizio di gennaio, ma incredibilmente era in circolazione tranquillo come un pesce.


E ora passiamo alle considerazioni più importanti.

Per prima cosa va detto che questi appena descritti sono due fatti, non due opinioni, né due esagerazioni dettate da ostilità e pregiudizio preconcetti. Fatti che sono all’ordine del giorno in Italia, ma che sembrano non interessare a nessuna delle cosiddette “istituzioni”.

Naturalmente interessano eccome ai diretti interessati e ai loro familiari, parenti ed amici, che si ritrovano d’un colpo in mezzo ad una tragedia unicamente per un motivo: sull’immigrazione c’è troppa manica larga.

Non intendo ripetermi, quindi per tutta la ‘filosofia’ che puntella il cosiddetto “antirazzismo” e il “multietnico” rimando al precedente articolo, ma qui bisogna mettere i puntini sulle “i” e dire che la misura è colma, e da tempo, perché in troppi hanno subito angherie, anche atroci, da parte di individui, organizzati e non, venuti in Italia col preciso intento di fare del male.

Hanno voglia i paladini del “mondo a colori” a sostenere che “anche gli italiani” rapinano, spacciano, investono, molestano, stuprano ecc. La verità è che, in proporzione, tutte queste delizie sono molto più opera di immigrati che di italiani, e lo steso dicasi della popolazione carceraria, con la beffa che dobbiamo pure campare fior fior di delinquenti incalliti.

Non vale nemmeno la solita solfa degli “italiani che emigravano e venivano discriminati eccetera”. Vorrei vedere se uno ha il coraggio di sfoderarla davanti alle famiglie in lacrime della ragazza di Terni o delle madri investite che adesso temono per la vita dei loro piccini.

Questi ipocriti, ripetiamolo, vivono in un mondo virtuale, di belle parole, dalla quale è esclusa la realtà concreta, che infatti non vivono affatto, rinserrati come sono nei loro quartierini bene amministrati dalla sinistra al caviale (o dalla destra, o dalla Lega tutte fumo e poco arrosto, l’altra faccia della medaglia). Leggono “Repubblica” e tutto gli sembra perfetto, ma non si accorgono che intanto la Res Publica è “cosa loro”, cioè di individui che calano in casa nostra (horribile dictu!) per taglieggiarci e terrorizzarci in stile arancia meccanica.

C’è anche stato chi, negli anni scorsi, ha adombrato il sospetto che vi sia qualcosa d’inconfessabile dietro la strana “licenza di saccheggio” da parte delle bande albanesi, nel centro e nel nord d’Italia (si noti). In pratica, quelle sarebbero libere di scorazzare, con la nostra gente – specie quella che vive fuori dai centri abitati - alla loro mercé, e in cambio “l’Italia”, con ciò intendendo una sistema integrato d’interessi inserito in quello, più ampio, occidentale-atlantico-sionista, avrebbe mano libera nel fare affari in Albania, ricevendo tra l’altro dal nazionalismo albanese (che loro si possono permettere, ma noi no!), un valido sostegno nell’opera di destabilizzazione dei Balcani, in particolare ai danni della Serbia, longa manus della Russia, nemico atavico dell’Occidente da tenere il più lontano possibile dall’Europa per evitare che possa realizzare il temutissimo “superblocco” eurasiatico.

Esagerazioni? Chissà, ma almeno bisognerebbe chiedersi, liberamente, che cosa ne pensano gli italiani di tutti questi fatti che, ribadiamolo, sono fatti e non interpretazioni o punti di vista.

Invece, siccome esiste solo e sempre “il razzismo”, si evita accuratamente come la peste di affrontare seriamente la questione, sulla quale, una volta tanto, anche la famosa “gente” interpellata e stuzzicata nella sua vanagloria su tutto ciò su cui non ha alcuna competenza (le elezioni sono il tipico caso), potrebbe esprimersi con cognizione di causa perché assaggia sulla propria pelle la gravità delle conseguenze d’una politica immigratoria completamente scellerata.


Che cosa vi sarebbe di “razzista”, per l’appunto, se anziché permettere a chiunque di arrivare, anche senza che ve ne sia bisogno dal punto di vista economico (ripetiamo il concetto: mansioni per le quali non vi è una sufficiente manodopera autoctona, ma alle medesime condizioni ad essa garantite), s’istituisse un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di lavoro e, una volta finita l’esigenza, il lavoratore ospite con regolare invito da parte dell’azienda, potesse essere riaccompagnato alla frontiera? Questo, tra l’altro, era il sistema in vigore nella Germania Ovest (il Gastarbeiter), e nessuno s’è mai scandalizzato, ma con l’Europa unita (nella… volontà di pervenire alla dissoluzione su tutti i fronti nel più breve tempo possibile…), pare che la dottrina delle “porte aperte” e della “integrazione” non possa ammettere deroghe, né alcuna critica esprimibile sui media cosiddetti “autorevoli”, con leggi che sanzionano sotto la mannaia dell’“antirazzismo” ogni tentativo di trasportare in politica, anche in maniera seria ma determinata, la questione immigratoria.

Siamo così all’assurdo: che mentre gli italiani sono monitorati in ogni loro attività, economica, politica e culturale, al punto che presto dovranno giustificare ogni loro spesa che ecceda pane e cipolla, esistono degli stranieri che saltano da un domicilio all’altro diventando uccel di bosco, fanno il bello e il cattivo tempo, la fanno sempre franca e alla fine, dopo aver distrutto delle vite e delle famiglie, troveranno a difenderli anche qualche paladino opportunamente inserito nei ranghi della magistratura, il quale deve aver scambiato l’esercizio della giustizia, “uguale per tutti” (ma quando mai!), per la militanza dei bei giorni della sua gioventù in qualche “collettivo”.

Purtroppo, di fronte a questa situazione apparentemente irrecuperabile non c’è che una via d’uscita: la rivolta di popolo. Ma non quella sgangherata e facilmente strumentalizzabile dal potere dei cosiddetti “scontri etnici”, in mezzo ai quali ci finisce inevitabilmente anche chi non ha né colpa né peccato tra gli stessi immigrati.


No, la questione va affrontata con quella cosa che ormai difetta in ogni compartimento in cui si aggirano coloro che hanno una qualche “posizione” e “responsabilità”: il buon senso.

Buon senso non significa affatto “un colpo al cerchio e uno alla botte”, per lasciare fondamentalmente tutto come prima. Buon senso è, a questo punto, avere il coraggio di fare, nella gestione della questione immigratoria, l’esatto contrario di quanto praticato sin qui.

Non è forse buon senso trovare un’occupazione stabile e dignitosa ai giovani italiani, piuttosto che parcheggiarli a scuola e all’università all’infinito per poi fargli scoprire che col loro “pezzo di carta” non ci faranno un fico secco, tanto passano avanti dei “disperati” (altra “categoria” acriticamente imposta) disposti a farsi sfruttare in un modo inaccettabile (da qui la leggenda dei “lavori che gli italiani non vogliono più fare”)?

E non ha per caso rapporto col buon senso cominciare a capire bene perché e per come uno straniero viene a stabilirsi da noi, vagliando attentamente la sua richiesta e controllando, una volta entrato, che abbia qualcosa da fare e si comporti in maniera ineccepibile, più e meglio degli autoctoni, proprio per il privilegio che ha ricevuto, facendogli capire che appena sgarrerà verrà semplicemente prima punito senza scappatoie e poi sbattuto fuori? Insomma, ci vuole tanto, per chi istituisce un sistema di controllo capillare per i connazionali (o quelli che, a questo punto, si presume siano tali!), a metter su un sistema di sorveglianza speciale per chi è ospite?

Per carità! Non si può, è contro i “diritti umani”, i “trattati internazionali” e, soprattutto, la moderna concezione del “vivere civile”, che non prevede “discriminazioni”. Ma come le vogliamo chiamare quelle che invece dobbiamo sopportare noi, che in Italia ci siamo nati e cresciuti, da generazioni, quando ci si accorge che mentre per l’italiano non c’è pietà, né alcuna forma di comprensione per il minimo sgarro, fosse anche un ritardo nel pagamento d’un divieto di sosta, per “il migrante” viene apparecchiato tutto uno stuolo di “servizi”, tutti rigorosamente gratuiti, per lui e tutti i suoi parenti che, in base a leggi completamente senza senso consentono i più improponibili “ricongiungimenti familiari”?

Così, mentre il vecchietto italiano con pensione da fame deve scervellarsi dove andare a svernare nell’ultima parte della sua onesta (e fessa, viene da dire) vita, l’immigrato piazza sul groppone del Servizio Sanitario Nazionale anche gli anziani della sua famiglia, che ringraziano, per l’inopinata manna ricevuta, la dabbenaggine di un popolo che un tempo fu nazione ma ora è più che altro una massa di pecore felici di farsi tosare, da sopra e da sotto, da una classe dirigente messa lì apposta dal Badrone a far la guerra agli italiani e da gente che il più delle volte arriva in Italia allo stesso modo in cui ci si reca alla stalla per mungere la vacca fino all’ultima stilla di latte.

No, non ci siamo proprio. Così non si può andare avanti.

E ora affrontiamo la questione da cui siamo partiti dal punto di vista più serio e delicato.

Chi potrà confortare i genitori e il fidanzato della ragazza di Terni ammazzata per colpa di due balordi in circolazione solo perché c’è chi, abdicando dalla sua funzione, permette che queste cose accadano? Le solite frasi di circostanza – del sindaco o del prete - non possono bastare, perché ormai sono troppe volte che succede la stessa cosa.

Che cosa si potrà dire di sensato a quelle mamme che si sono viste travolgere i loro bimbi da uno che doveva starsene quantomeno al fresco?

“Il paese, costernato, si stringe attorno alla famiglia”, è una delle tipiche frasi che si leggono in simili occasioni. Ma può bastare?

Non sarebbe più opportuno che a stringersi fosse un bel cappio intorno al collo di personaggi che, in più casi, sono recidivi per crimini molto più efferati dei due balzati agli onori delle cronache delle ultime ore?

Se ne sono lette di cotte e di crude: gente immobilizzata e torturata sadicamente in casa propria, e pure insultata in quanto italiana (ecco cosa succede quando ci si mostra deboli); donne violentate da branchi di mostri in preda a chissà quale demone; uomini massacrati per futili motivi con una furia che non è “normale”; gang criminali che infestano interi quartieri (si pensi a Genova); bambini rapiti e mai più ritrovati, il che non è affatto una “diceria”, ma una di quelle tante, troppe cose di cui in Italia non si deve parlare, come se anche in questo caso vi fosse qualcosa d’indicibile che non deve venire fuori, perché è meglio pensare che esistano solo degli innocui “zingarelli”.

C’è chi si scalda tanto per l’“omofobia” o il “femminicidio” arrivando a stravolgere la realtà, altri che invocano leggi speciali contro il “razzismo” e le ottengono, altri ancora che istituiscono “fondi speciali” a sostegno di alcune categorie “vittime” di soprusi ed ingiustizie. Ma chi difende gli italiani, cioè noi stessi, dal pericolo rappresentato da chi è ospite ma crede (o meglio, gli han fatto credere) di essere il padrone di casa?

La verità è che siano un popolo che non solo non sa difendersi, ma neppure ha a cuore la sorte dei suoi simili, delle persone più vicine, mandando a “rappresentarci” i peggiori individui, per i quali l’immigrazione è solo un affare che mette in moto una marea d’interessi. E se poi ci scappa il morto, tanti saluti, era preventivato. La macchina del buonismo e della “accoglienza”, nella quale lavorano solidalmente pretesi “avversari” (dall’imprenditore al “comunista”, dal prete al laico dirittumanista), non può fermarsi.

Come la macchina di quei due delinquenti fuori controllo, che alla fine della loro folle corsa hanno stroncato la vita di una ragazza italiana, la quale, nel giro d’una giornata, verrà dimenticata... in attesa del prossimo.

Ma quando avviene il contrario, quando è lo straniero la vittima (anche di un coro da stadio), la gran cassa dell’“antirazzismo” batte per giorni ad un ritmo parossistico, e tutti devono conformarsi per non ingenerare l’atroce dubbio: “scusi, lei per caso è razzista?”.

Accade addirittura in qualche caso che il carnefice diventi una specie di divo al quale si offrono lauti contratti e comparsate! Ma non parliamo di cosa succede invece agli italiani: per loro c’è “l’aggravante per motivi razziali”, per il solo fatto di aver recato offesa ad uno straniero, il che è palesemente senza senso.

Ma siccome il senso c’è sempre, eccolo spiegato: quando una nazione smette di essere tale, di percepirsi come una comunità coesa con lingua, storia e tradizioni in comune; quando viene meno il vincolo solidale che sta alla base del “vivere insieme” perché gli si preferisce l’ideologico e una concezione astratta e contrattualistica della società, ecco aprirsi le porte del non senso… paradossalmente sotto le insegne del sentimentalismo e del razionalismo (da sempre alleati) di cui si fan schermo i fautori della “accoglienza” per tutto e tutti, in una macabra rincorsa al cupio dissolvi, al fondo della quale, come testimonia questo vero e proprio bollettino di guerra, c’è l’autodistruzione e il disfacimento di una nazione.