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Il limite invalicabile del paradigma scientista nei confronti del supernormale

di Francesco Lamendola - 16/04/2013


 



Esistono le creature della notte? Esistono gli elementali, i “doppi” astrali, i fantasmi, i vampiri, i lupi mannari, i demoni?

Ed esistono le streghe e gli stregoni, persone dotate di poteri reali, di poteri malefici, e non soltanto degli abili cialtroni o dei poveri illusi?

Esistono i fenomeni legati al soprannaturale, la chiaroveggenza, la precognizione, la levitazione, la bilocazione, la possessione demoniaca?

È chiaro che per rispondere a tali domande è necessario, per prima cosa, avere una propria idea, anche approssimativa, di ciò che è possibile e di ciò che non lo è; e, per far questo, bisogna aver elaborato una concezione del reale, sia pur vaga e provvisoria: in altre parole, una propria visione del mondo, una propria filosofia.

Teoricamente, l’analisi dei fatti dovrebbe precedere la formulazione di leggi o asserzioni di carattere generale: ciò, almeno, in base alla regola fondamentale del ragionamento logico-induttivo, cui siamo abituati da circa quattro secoli di metodo scientifico sperimentale. Vi sono state altre epoche della storia, nelle quali prevaleva invece il metodo logico-deduttivo: formulare delle leggi universali e poi trarne le conseguenze pratiche; sistema che è caduto in disuso quando ci si è resi conto che esso non consentiva di ampliare la conoscenza mediante l’acquisizione di elementi nuovi, ma solo di trovare conferme (o smentite) alle teorie formulate in precedenza. Eppure stiamo assistendo, negli ultimi anni, a una ripresa del metodo deduttivo, specie nell’ambito della cosmologia e della fisica delle particelle sub-atomiche: dove l’osservazione diretta è impossibile, infatti, la cosa migliore sembra quella di delineare delle ipotesi e poi andare in cerca delle osservazioni che possano convalidarle o falsificarle.

In base al ragionamento deduttivo, è possibile partire da una credenza generale nell’ordine soprannaturale e trasferirla sul piano della natura; in base al ragionamento induttivo, è più difficile far accettare agli scienziati teorici, che oggi dettano legge a tutti gli altri studiosi, l’esistenza di entità e di fenomeni che non sono oggettivamente osservabili e che, per giunta, hanno il grave difetto di rievocare oscure memorie di processi alle streghe, folle terrorizzate e riti superstiziosi, tutte cose che quei signori considerano relegate una volta per tutte in un passato sul quale è meglio tracciare, per sempre, un segno rosso.

Le cose, un tempo, stavano altrimenti.

L’uomo pre-moderno non dubitava affatto che, accanto alla realtà materiale e visibile, esistesse una realtà immateriale e invisibile; che, al di là o al di sopra della dimensione naturale, percepibile mediante i sensi, vi fosse un’altra dimensione, soprannaturale o preternaturale, percepibile con i sensi solo in casi eccezionali, e tuttavia non meno “vera” e reale, anzi, semmai più vera e più reale di quella quotidiana.

Ciò è stato riscontrato da tutti gli etnologi presso tutte, ripetiamo tutte, le popolazioni native; da tutti gli psicologi presso tutti, ripetiamo tutti, i bambini; da tutti gli studiosi di miti e storia delle religioni, presso tutte le mitologie e tutte le religioni.

In tutte le società pre-moderne, inoltre, dalla Grecia di Platone alla più sperduta tribù della foresta amazzonica, questo sistema di credenze era condiviso sia dalle persone comuni, sia dalle caste intellettuali, sacerdotali e scientifiche (se pure queste funzioni erano considerate in maniera separata ed autonoma).

Nessuno ci scherzava sopra, tranne un unico caso, quello delle società materialmente più evolute, allorché esse giungevano a un grado di sviluppo che minava i fondamenti della precedente visione del mondo: così nella Grecia dei sofisti, nella Roma dell’epoca di Cicerone, nel tardo Medioevo; vale a dire, nelle epoche di crisi e di trapasso, di decadenza materiale e spirituale, di materialismo, di scetticismo e di ateismo, esplicito o implicito.

Ma questo solo da parte di ristrettissime élites culturali e solo in periodi ben definiti, e per così dire fisiologici, nella storia della evoluzione interna delle società umane; mentre la stragrande maggioranza della popolazione non ha mai abbandonato le precedenti certezze riguardo ai due ordini della realtà, anzi, le epoche di crisi hanno finito sempre per rafforzarle.

Solo l’uomo occidentale moderno la pensa altrimenti; egli solo sorride con sufficienza, quando non con disprezzo, di tale concezione; egli solo è fermamente convinto che tutto quanto esiste, cada sotto i nostri sensi, possa essere descritto scientificamente e spiegato razionalmente; egli solo è certo, di una certezza che, per lui, è auto-evidente, che quanto non risponde a tali requisiti e non rientra in tali parametri, semplicemente non esiste.

Tale atteggiamento, quindi, è un fenomeno recente, iniziato verso il XVII secolo e limitato, inizialmente, ad alcune cerchie di intellettuali dell’Europa occidentale; solo il fatto che le nazioni di questa piccola parte del mondo abbiano incominciato, proprio allora, un processo di espansione economica, politica e militare verso gli altri continenti, destrutturando quasi tutte le altre società e culture e imponendo vittoriosamente, nel giro di pochi secoli, il proprio paradigma scientista, ha fatto sì che quest’ultimo si estendesse ovunque e divenisse la “Weltanschauung” del mondo globalizzato.

Peraltro, bisogna ricordare che anche là dove tutto ebbe origine, ossia nelle società dell’Europa occidentale, il vecchio paradigma sopravvisse a lungo e tenacemente nelle campagne e nelle zone che erano marginali rispetto all’asse principale dei commerci e della Rivoluzione industriale, tanto che, ancora pochi anni fa, in molte contrade rurali dell’Europa occidentale (per non parlare, a maggior ragione, di quella centro-orientale) sopravvivevano tracce più o meno vistose, non solo nei modi di sentire e di pensare, ma anche nelle manifestazioni della vita sociale, delle antiche credenze.

La credenza negli spiriti, nei diavoli, nelle fate, nei fantasmi, negli incantesimi, per esempio - e ci rendiamo conto di aver messo insieme ordini di fenomeni diversi, che vanno dalla teologia alla magia, dal folklore all’occultismo - era ancor viva e radicata in ampie zone rurali, e perfino in ambito urbano. Diremo di più: molte di queste credenze, cacciate dalla porta, sono rientrare dalla finestra; si sono reinsediate nella società moderna attraverso le modalità più disparate, fra le quali, comunque, predomina una specie di “nativismo” o di “primitivismo” di ritorno, mediato e filtrato dai media, dal cinema, dalla televisione, dalla letteratura di genere e dalla stampa di settore, ove è difficile dire se e in quale misura si tratti di un recupero di antiche credenze o della creazione di nuovi sistemi di credenze che, dalle precedenti, traggono solo vagamente ispirazione.

Sia come sia, il dato è questo: il razionalismo e lo scientismo si sono bensì insediati da padroni nella cultura egemone, dominano incontrastati nelle università, nei centri di ricerca, nelle strutture della sperimentazione scientifica, nella editoria “ufficiale”, nei modi di pensare e di parlare delle persone fornite di un titolo di studio, anche modesto; nondimeno, si trovano a dover convivere, ignorandosi reciprocamente, con credenze magiche e occultistiche che non sono appannaggio solo dei ceti sociali e intellettuali più umili, ma che penetrano, talora in maniera significativa, anche nelle classi benestanti e culturalmente più preparate.

È come se si fosse verificato uno sdoppiamento: gli stessi uomini e le stesse donne, spesso diplomati o laureati, che, per molti aspetti della loro vita, si ispirano ad un razionalismo pragmatico e ad un empirismo che confina con lo scetticismo, per altri aspetti sono fortemente attratti e tentati da altre credenze, da altri modelli interpretativi della realtà; si interessano al paranormale e al preternaturale, divorano grandi quantità di letteratura occultistica, frequentano sette spiritiste o magiche, si affidano a indovini e cartomanti, si lasciano dominare da inquietudini e angosce ancestrali, che parevano estinte e dimenticate.

Questa dicotomia e, a ben guardare, questa ipocrisia, per cui si coltivano contemporaneamente due sistemi di credenze inconciliabili, applicando il motto per cui la mano destra non sa, né deve sapere quel che stia facendo la mano sinistra, sono le cause principali della maniera schizofrenica di porsi della cultura moderna nei confronti della dimensione “altra” del reale: quella che non si può vedere, toccare, misurare e sottoporre ad esperimento, ma cui l’umanità ha sempre creduto e della cui esistenza emergono continuamente segni e indizi, almeno per chi sia disposto a vederli.

Perché proprio questo è il problema: il paradigma scientista nega la realtà dell’invisibile, per cui, in presenza di fatti che non sa spiegare e che sembrano contraddire le sue razionalistiche certezze, si limita a girare la testa dall’altra parte o a parlare di truffe, illusioni, malintesi; con il bel risultato che, ad occuparsi di tali indizi, restano quasi solo i ciarlatani, i creduloni, le persone rozzamente superstiziose, dato che nessuno scienziato accademico sarebbe disposto a giocarsi la carriera, se li prendesse un minimo sul serio.

Prendiamo il caso dei “miracoli” e, più specificamente, delle guarigioni miracolose, ovvero scientificamente inspiegabili. Esistono, sono una realtà, attestata e documentata da fior fior di medici, a Lourdes e in altri luoghi, nelle più svariate circostanze; eppure viene considerato politicamente scorretto, nell’ambiente accademico, anche solo parlarne; chi lo fa, lo fa a proprio rischio e pericolo, ossia a rischio e pericolo della propria carriera: il minimo che può capitargli è di essere accusato di malafede o di fanatismo religioso.

Come ha mostrato Thomas Kuhn, quando un nuovo paradigma culturale subentra a quello vecchio, la comunicazione fra i due diventa impossibile: perfino il linguaggio concettuale risulta talmente diverso, che - per esempio - Aristotele non avrebbe potuto comprendere la fisica newtoniana, così come Newton non avrebbe potuto comprendere, e tanto meno accettare, la visione del mondo fisico basata sulla teoria della relatività di Einstein.

E tale incommensurabilità appare tanto più evidente, tale incomprensibilità risulta tanto più accentuata, allorché ci si inoltra nella tarda modernità, dove il ritmo delle scoperte scientifiche e delle relative applicazioni tecnologiche si fa ogni giorno più incalzante, più frenetico, tanto da costringere le persone ad una interminabile rincorsa per non restare indietro, per adattarsi agli incessanti cambiamenti e alle inesorabili trasformazioni: inesorabili, perché da esse non si tornerà mai più indietro, come, ad esempio, dalle modalità della comunicazione per via informatica.

È a causa di questa corsa frenetica che alcuni sociologi parlano di “shock del futuro”, registrando il crescente disagio di quanti, per ragioni di età o psicologiche, trovano sempre più oneroso adattarsi al continuo cambiamento; così come è a causa di questa irreversibilità che alcuni politologi paventano rischi per la democrazia o, quanto meno, per la libera autodeterminazione dei singoli cittadini nei loro stili di vita quotidiana.

In ogni caso, il problema è reale: chi si occuperà dei fenomeni misteriosi, inspiegabili, in un paradigma culturale che ha bandito il mistero e ha decretato che “inspiegabile” è solo il non esistente, perché l’esistente è, per definizione, anche spiegabile?

Eppure, lo ripetiamo: qui è in atto un avvitamento, un corto circuito fra ciò che si crede e ciò che si è disposti a studiare. Se non si crede nella realtà soprannaturale, non si è nemmeno disposti a studiarla; o, se pure la si studia, ciò avviene con il pregiudizio di poterlo fare con gli stessi strumenti e le stesse modalità di pensiero che sono propri della scienza occidentale modera, che è empirista, materialista, meccanicista, riduzionista.

La parapsicologia è un buon esempio di questo avvitamento concettuale: essa pretende di studiare l’invisibile con i metodi di ciò che è visibile, di fotografare ciò che non si può catturare con l’obiettivo, di registrare ciò che non rimane impresso sul nastro di un magnetofono. Non c’è da stupirsi se, poi, questi signori non trovano nulla di ciò che cercavano e se, in accordo con il loro pregiudizio ideologico, si vantano di aver sciolto un enigma o smascherato una frode.

«Se vanno in cerca di maiali, maiali troveranno», dice rozzamente, ma efficacemente, un personaggio del film di Peter Weir «Picnic a Hanging Rock»: ciascuno trova soltanto quel che è disposto a trovare, ossia a riconoscere come possibile e come vero. Quando capiranno, i signori scientisti, che, per trovare elefanti, non ci si munisce della rete per farfalle?