Dal Cile all’Egitto
di Miguel Martinez - 23/08/2013
Cile, 1973.
Un presidente eletto da una minoranza del popolo cileno cerca di introdurre delle riforme.
Agisce in condizioni difficilissime, contrastato dalla maggior parte del ceto imprenditoriale, politico, militare e burocratico.
E con il senno di poi, i governanti, per quanto ben intenzionati, non brillano per competenza. Non mancano né pittoreschi estremisti da una parte, né persone compromesse proprio con ciò che si vorrebbe cambiare.
La crisi economica, dovuta in buona parte al sabotaggio delle imprese nazionali ed estere, farà scendere in piazza grandi folle, e il paese sarà paralizzato dagli scioperi.
L’esercito, dopo aver promesso di sostenere il presidente, ottiene il permesso dagli Stati Uniti per effettuare un colpo di Stato, sostenuto da buona parte della popolazione (nonché del clero). Riporta così l’ordine e caccia gli estremisti, evidentemente con un certo successo, visto che ancora nel 1988, il 44% dei cileni avrebbe votato contro la costituzione democratica.
Le principali differenze con ciò che sta succedendo in Egitto oggi non stanno nella posizione dei “religiosi” (il papa dei Copti e il mufti di al-Azhar hanno fatto a gara per farsi fotografare accanto al generale golpista). Stanno in questi quattro punti:
1) Salvador Allende fu eletto con il 36,6% dei voti (in seguito, in elezioni locali, i suoi sostenitori sarebbero arrivati a circa il 50%). Mohammed Morsi con il 51% (ma la sua proposta di modifica alla Costituzione avrebbe ottenuto il 64%).
2) Durante il colpo di stato in Cile, morirono 60 persone, di cui 34 militari, anche se molti di più morirono o “scomparvero” durante i mesi e i quindici anni successivi. La stima totale, fatta dai nemici di Pinochet, è di circa 3.000. Ma non dimentichiamo che la stima ufficiale dei morti in Egitto negli ultimi due anni, fatta dagli amici dei militari, è di oltre 5.000. Quasi tutti uccisi dai militari o dall’esercito informale di pregiudicati al loro servizio.
3) Il golpe di Pinochet ebbe luogo in un piccolo paese lontanissimo, ai tempi in cui non esisteva Internet; quello di al-Sisi, in un paese assai affollato, vicinissimo, e ai tempi del villaggio globale. Dove per villaggio potete intendere tanto Internet, quanto Sharm el-Sheikh.
4) La quarta differenza ce la presenta perfettamente Vittorio Feltri, con questo titolo sul Giornale:
“Vi spiego perché gli italiani se ne infischiano dell’Egitto
Un conflitto che non capiamo, in cui è impossibile distinguere buoni e cattivi. E per noi è rimasto il Paese delle vacanze felici.”
Tra tutti gli insulti che mi verrebbero da rivolgere a Vittorio Feltri, non ci metterei mai stupido.
Ignorante, però sì. Per avere un parere ben più informato, gli anglofoni leggano questo fondamentale articolo di Esam al-Amin, che mi sembra la cosa più importante e documentata che io abbia letto finora sull’Egitto.